sabato 31 luglio 2010

Ci vediamo a Venezia!


Non ci sarà Terrence Malick, e nemmeno Pupi Avati e Sandro Bondi. Del primo ci dispiace molto, ma conoscendo i suoi tempi biblici di lavorazione non è una sorpresa. Del secondo ce ne faremo una ragione, e del terzo... chissenefrega!
Per il resto, però, la 67. Mostra del Cinema di Venezia si presenta appetitosa come non mai. Certo, spesso l'antipasto è ingannatore e rischia di rovinare il resto della cena (e quindi è bene non aspettarsi troppo) ma, insomma, se il buongiorno si vede dal mattino quest'anno al Lido avremo un menù coi fiocchi. E' l'applicazione di quella legge non-scritta ma sempre valida il cui assioma recita che... se Cannes piange, Venezia sorride (e viceversa). Ergo: quest'anno sulla Croisette di grandi film non se ne sono visti, e questo fa ben sperare in vista dell'appuntamento in laguna.
Grandi speranze e grandi attese dunque per la settima Mostra targata Marco Muller, a cominciare dal Presidente di Giuria che sarà nientemeno che Quentin Tarantino. Gran mossa, questa di Muller: con un personaggio come lui non sarà di sicuro un'edizione "normale", e potete star certi che il vulcanico cineasta di Knoxville non mancherà di farsi notare, in una maniera o nell'altra. Ma, Tarantino a parte, il sale della kermesse sono naturalmente i film. E allora vediamo, sezione per sezione, che cosa potremo aspettarci di buono da Venezia 67 :

CONCORSO
Un nome su tutti balza agli occhi del sottoscritto: Sofia Coppola. E' vero, sono di parte: da sempre nutro una stima e un'ammirazione incondizionata per questa giovane regista autrice di un cinema "meraviglioso", nel senso letterale della parola: i suoi film sono opere che "meravigliano" lo spettatore, lo portano a sognare, riflettere, lo sorprendono con una grazia e un'eleganza tipicamente femminili. Dopo la straordinaria biografia-pop di "Marie-Antoinette", la Coppola arriva al Lido con "Somewhere" , interpretato da Benicio Del Toro e Michelle Monaghan. E alla Coppola si aggiungeranno altre tre pellicole a stelle e strisce: "Black Swan" di Darren Aronofsky (vincitore nel 2008) con Natalie Portman, "Promises written in water" di Vincent Gallo e "Road to Nowhere" del veterano Monte Hellman (77 anni) già produttore di Tarantino (e qui le malelingue già si sprecano).
Alla cinematografia d'oltreoceano si contrappone, naturalmente, quella orientale: e anche qui ce n'è per tutti i gusti: da Miike Takashi ("13 assassins") a Tsui Hark ("Detective Dee..."), passando per il vietnamita Tran Ahn-Hung, vincitore tanti anni fa con "Cyclo", che porta sullo schermo la riduzione cinematografica di un libro straordinario: "Norwegian Wood" di Murakami Haruki. L'impresa è di quelle da far tremare i polsi (il libro è, apparentemente, difficilissimo da tradurre in immagini), ma se centrata potrebbe diventare l'Evento della Mostra. Vedremo.
Ci aspettiamo buone prove, poi, da registi relativamente giovani ma agguerriti, e già affermati: il tedesco Tom Tykwer ("Drei"), il francese François Ozon ("Potiche"), lo spagnolo Alex De La Iglesia ("Balada triste de Trompeta") e quello che è forse, a scatola rigorosamente chiusa, il vero favorito al Leone d'Oro: l'antipaticissimo ma innegabilmente talentuoso Abdellatif Kechiche, che torna a Venezia a quattro anni di distanza da "Cous Cous", stavolta con l'ambizioso "Venus Noire". E poi, ovviamente, le immancabili sorprese...

FUORI CONCORSO
Qui c'è davvero l'imbarazzo della scelta: ci vorrebbero dieci pagine di questo blog per elencare tutti i film che passeranno fuori concorso nei dieci giorni di festival. Per non fare torto a nessuno, elenco solo i nomi dei registi, in rigoroso ordine alfabetico. Giudicate voi: Ben Affleck, Casey Affleck, Bellocchio, Placido, Rodriguez, Salvatore, Scorsese, Taymor, Tornatore, Turturro, John Woo, Zhang Yuan... troppa grazia davvero!

ORIZZONTI
Molti documentari quest'anno, in quella che è da sempre la sezione più sperimentale e proiettata verso il futuro della rassegna veneziana: il più toccante per noi italiani sarà senz'altro "Un anno dopo" di Carlo Liberatore, Matteo DiBernardino, Antonio Iacobone, Stefano Ianni e Marco Castellani, sul dopo-terremoto de L'Aquila. Ma ci saranno anche la poliedrica (e spesso polemica) Catherine Breillat ("La belle endormie"), Paul Morrissey ("News from nowhere"), Patrick Keiller (Robinson in ruins"), Pasquale Scimeca ("I Malavoglia")...

GLI ITALIANI
E dulcis in fundo, eccoci alla nostra pattuglia! Che, come da tradizione, sbarca in forze in laguna. Ben quattro i film italiani in concorso, molto diversi e ben assortiti, e frutto di scelte (almeno speriamo) mirate e coraggiose, con buona pace di Pupi Avati. Il titolo di punta, sul quale (forse) si fondano le maggiori speranze per il Leone è senz'altro "Noi credevamo" di Mario Martone, magniloquente e corposo affresco storico (tre ore e mezza di durata!) sul Risorgimento, con un cast che racchiude il meglio delle potenzialità attoriali del nostro Paese: Toni Servillo, Luigi Lo Cascio, Anna Bonaiuto, Luca Zingaretti, Francesca Inaudi. Ci aspettiamo molto, inutile nasconderlo.
Desta attenzione e curiosità anche "La solitudine dei numeri primi" di Saverio Costanzo, tratto da un best-seller di successo del giovane scrittore Paolo Giordano. Soggetto molto cinefilo, tematiche universali (la solitudine, la diversità, la ricerca di se stessi), una coppia di giovani bravi attori (Alba Rohrwacher e Luca Marinelli). Gli ingredienti sono buoni, staremo a vedere. Così come ci ispira "La Passione" di Carlo Mazzacurati, regista umile, schivo e mai troppo apprezzato da noi, ma capace di realizzare sempre film interessanti e ricchi di spunti ("Il toro", "La lingua del santo", "La giusta distanza"). Si presenta al Lido con "La passione", con Silvio Orlando e Cristiana Capotondi.
Un discorso a parte lo merita, invece, il "quarto uomo" in concorso. Parliamo di Ascanio Celestini, regista esordiente ma già affermato scrittore e autore di culto, specie tra i giovani. La sua opera prima, "La Pecora Nera", è un viaggio all'interno dei manicomi e del difficile mondo della pazzia. Film ambizioso, sentito, forse rischioso per un esordiente. Ma conosciamo bene Celestini, è un virtuoso della parola, un artista a tutto tondo, uno spirito libero che ben si adatterà anche al grande schermo. E se anche non ci dovesse riuscire... beh, pazienza. Ma continueremo mille volte a preferire film coraggiosi e sinceri come questi piuttosto che gli scontatissimi, nostalgici e noiosi pastiche sentimental-provinciali "alla Pupi Avati", che tanto si è scandalizzato per l'esclusione dal concorso del suo film a vantaggio, appunto, di Celestini.
Tanta Italia anche fuori concorso, col già discusso "Vallanzasca" di Michele Placido, "Gorbaciof" di Stefano Incerti, "Notizie dagli scavi" di Gabriele Greco, "1960", documentario di Gabriele Salvatores, eccetera eccetera...

Insomma, tanta carne al fuoco. E un invito: venite a Venezia!
Insieme al sottoscritto... perchè no?

martedì 27 luglio 2010

Il Pupi furioso e lo Zerbino di Arcore

Com'è triste Venezia...
E' francamente penoso stare qui a parlare, in un blog di cinema, di una polemica che col Cinema (con la "C" maiuscola) c'entra poco o niente. Ma mi sento in dovere di farlo per dimostrare a tutti coloro che leggono queste pagine in che razza di paese viviamo (e stavolta "paese" lo scriviamo, rigorosamente, con la "p" minuscola). Semmai ce ne fosse bisogno.

La notizia è di pochi giorni fa, ed è stata riportata da un po' tutti i quotidiani: la commissione selezionatrice della Mostra del Cinema di Venezia ha deciso di escludere dal concorso principale l'ultimo film di Pupi Avati "Una sconfinata giovinezza", relegandolo nelle sezioni collaterali. L'orgoglioso regista bolognese, informato della cosa, non l'ha presa proprio benissimo e si è lasciato andare a dichiarazioni abbastanza grottesche (per non dire peggio), arrivando ad affermare che "Dopo tanti anni di professione non credevo di meritare un trattamento così ambiguo e non consono a chi si trova a dirigere uno dei festival più importanti al mondo. Non potevo tenere solo per me il grande dolore che sto vivendo".

E vabbè.
Ora, aldilà del fatto che ogni Direttore Artistico di un festival ha il sacrosanto diritto di selezionare i film che vuole, proprio non si capisce in base a quale criterio Avati (che ha già partecipato nove volte alla competizione!) pretenda di essere selezionato sempre e comunque in concorso ogni volta che fa un film, privilegio che in passato non era stato concesso nemmeno a Orson Welles... tantopiù, aggiungo io, se andiamo a vedere il livello medio qualitativo della produzione di Avati (specialmente negli ultimi anni...) Ma qui entriamo nel campo della soggettività di giudizio e quindi lasciamo stare. Giova ricordare però che il buon Marco Muller nel corso del suo mandato ha avuto il merito di portare al Lido una notevole quantità di pellicole coraggiose e fuori dagli schemi, e che quindi si presume che il suo lavoro un pochino lo sappia fare...


Ma fin qui niente di nuovo sotto il sole. Venezia è un po' come Sanremo, le polemiche sono all'ordine del giorno e sono anche un po' il "sale" della manifestazione.
La cosa grave è accaduta dopo. A distanza di un giorno. E il fattaccio si annida (ma guarda un po'!) ancora una volta negli scranni romani dei nostri politicanti.
Che è successo? Semplice: l'ineffabile Sandro Bondi, pseudo-ministro della cultura nonchè camerlengo-zerbino-maggiordomo-barbaresco di Sua Emittenza Silvio da Arcore, informato dell'argomento, ha prontamente e candidamente espresso la sua volontà "affinchè il mio amico Pupi Avati e la Biennale trovino una soluzione all'altezza del grande maestro".
Di cosa stiamo parlando???? Ma dell'ennesimo caso di ingerenza politica di un governo nelle attività culturali di una nazione, naturalmente!
Del fatto che Bondi, ormai, si sente a pieno titolo Curatore e Direttore Artistico della Mostra, e che se io fossi Muller da oggi non dormirei davvero sogni tranquilli... E poi ricordate? Era già successo l'anno scorso con Katyn, il film del polacco Wajda sugli orrori del comunismo, prima rifiutato dalla Commissione poi riammesso in Laguna grazie al "suggerimento" interessato del ministro. Ma non è finita qui: mica penserete Bondi spinga l' "amico Avati" a Venezia solo per ragioni sentimentali? Che ingenui! Sentite, a tale proposito, cosa ha dichiarato Gasparri del PdL:
"Non vorremmo che ci fossero delle ragioni ideologiche-culturali dietro questa decisione, e il sospetto viene vedendo coloro che sono stati privilegiati"
Oooh, ecco che si getta la maschera!!
E sapete chi è il "privilegiato" in questione? Il povero Ascanio Celestini, regista debuttante, di simpatie politiche non proprio affini al centro-destra, che porta al Lido un coraggioso film sul mondo dei malati di mente e dei manicomi.
Figuratevi se per Bondi è ammissibile che un regista debuttante, e per giunta comunista, "rubi" il posto al cattolicissimo e "allineato" Avati, poverino, che a Venezia c'è stato appena nove volte!
Meglio non aggiungere altro.
Questo è il paese in cui viviamo...

domenica 11 luglio 2010

Caldo.


Non ho mai amato l'estate: stagione falsa, ingannatrice, straniante. Dove tutto è rallentato, dove il caldo ti annichilisce, ottenebra la mente, i pensieri, le forze, la creatività. Dove tutto è irreale, dove è obbligatorio divertirsi, dove nascono amori effimeri, dove chi è solo diventa ancora più solo... Ma come diceva Bruno Martino, tanti e tanti anni fa, "Tornerà un altro inverno / cadranno mille petali di rose / la neve coprirà tutte le cose / e forse un po' di pace tornerà".

1. CANICOLA (Austria, 2001) di Ulrich Seidl
Un caldo weekend in una sperduta, inquietante periferia austriaca. Il caldo può dare alla testa.

2. RAPACITA' (Usa, 1924) di Erich Von Stroheim
Quando penso al caldo mi viene sempre in mente questo grande e maledetto film. La scena finale, nel deserto, è terribile e immaginifica insieme.

3. IL SORPASSO (Italia, 1962) di Dino Risi
Il Ferragosto più famoso (e tragico) della storia del Cinema.

4. HOT SPOT-IL POSTO CALDO (Usa, 1991) di Dennis Hopper
Un omaggio al compianto Hopper: l'estate, stagione disinibita e pruriginosa, è fatta per i più torbidi intrighi. Disarmante la bellezza di Jennifer Connelly.

5. LA LUNGA ESTATE CALDA (Usa, 1958) di Martin Ritt
Un titolo scontato e... obbligatorio per questa playlist.

6. LE TRE SEPOLTURE (Usa, 2005) di Tommy Lee Jones
Il confine tra Usa e Messico, in mezzo al nulla del deserto californiano, è il vero protagonista di questa bella e sorprendente opera prima.

7. I LUNEDI' AL SOLE (Spagna, 2002) di Fernando Leon de Aranoa
Sono quelli dei disoccupati, perchè in estate ci sono anche loro: e sono quelli che soffrono di più, nell'osservare da lontano il (finto) benessere che il consumismo impone.

NATALIE PORTMAN

Una 'nerd' di successo: questo si è sempre detto di Natalie Portman, ovvero la "brava ragazza" che fa carriera puntando su un'immagine pulita, sobria, acqua e sapone. E invece... beh, è proprio così!! La bella Natalie è una mosca bianca nel panorama hollywoodiano, tutto stelle e paillettes: non concede nulla al gossip, non ha mai abusato di droghe, non è mai stata ricoverata in clinica, non si è mai fatta "pizzicare" in pose o foto sconvenienti, non ha mai frequentato cattive compagnie... insomma, una delle poche "testoline pensanti" nel mondo dorato degli Studios. Tutto questo equivale a dire noia totale? Assolutamente no! Natalie, malgrado la sua apparente "normalità", è un concentrato di bellezza, intelligenza ed enorme sensualità! Ve lo dice uno che... beh, ha avuto la fortuna di trovarsela davanti e stringerle la mano!

Già, proprio così. Era la Mostra di Venezia del 2008 e la "nostra" assisteva in Sala Grande alla proiezione del suo primo lavoro da regista, un cortometraggio dal titolo Eve: la sala, malgrado la presenza di una stellina di Hollywood, era semideserta e a fine proiezione ebbi gioco facile nell'avvicinarla e stringerle la mano. Sorvolerò in questa sede di descrivervi l'imbarazzo misto a adrenalina del sottoscritto... In fin dei conti stiamo parlando di Lei: era vestita nel modo più semplice e anonimo possibile, camicetta celeste e jeans, eppure il suo viso il suo sorriso contribuivano a far sprigionare tutto il suo incredibile e inarrivabile fascino. Lo stesso fascino che aveva contagiato i milioni di spettatori che l'avevano vista in Closer di Mike Nichols, la sua prima nomination.

Ma i veri cinefili si erano accorti ben presto di lei: esattamente nel lontano 1994, quando una disinvolta ragazzina tredicenne si distingue per carisma, personalità e determinazione nel torbido Leòn di Luc Besson, nel ruolo di una smaliziata adolescente che entra nelle grazie di un killer spietato... è il ruolo che la lancia nel firmamento hollywoodiano: seguiranno poi due particine incisive in Mars Attaks di Burton e Tutti dicono I love you di Allen, fino ad ottenere (a soli diciassette anni) la popolarità planetaria (è il caso di dirlo!) nella nuova trilogia lucasiana di Guerre Stellari, dove sarà la splendida regina Amidala, giovane e battagliera sovrana che si innamorerà del "bello e dannato" Anakin.

Tuttavia, è lontano dai blockbuster che la Portman ottiene le parti migliori, a conferma di un intuito e un impegno cinematografico niente male: sarà la musa del regista Wes Anderson nello sconclusionato e poetico The Darjeeling Limited, dove la vediamo senza veli e disarmantemente erotica nel corto che precede il film (Hotel Chevalier), e sarà disinibita e "selvaggia" in My Bluberry Nights di Wong Kar-Wai. Ma il suo vero capolavoro, il ruolo (per ora) della vita, glielo regala James McTeague nel suo visionario e dolente V per Vendetta, un anatema potente, simbolico e malinconico contro ogni forma di totalitarismo e prevaricazione. Natalie interpreta Evie, giovane donna che viene rapita e imprigionata dal cospiratore V, e che nella detenzione troverà il modo di aprire gli occhi e rendersi conto della terribile dittatura perpetuata dal Governo Mondiale. La sua immagine smagrita, sofferente, terrorizzata, con la testa rasata a zero e le spalline ossute in bella evidenza faranno innamorare milioni di fans, decretandola stella di prima grandezza.

Il resto è storia di oggi: la sua strepitosa performance in Black Swan - Il cigno nero le vale il primo, Oscar. Non solo... il 2010 sarà davvero l'anno della svolta per Natalie: proprio sul set dello stesso film conosce l'uomo della sua vita, il fascinoso coreografo francese Benjamin Millepied, e subito si regalano un bel pargolo. Tanto per non farsi mancare nulla ! 
meritatissimo

Natalie Portman è nata a Gerusalemme, e non ha mai rinnegato le sue origini israeliane (impegnandosi spesso, anzi, in prima persona contro il conflitto israelo-palestinese). Ragazza estremamente intelligente e colta, parla correttamente ebraico, francese, tedesco e giapponese. Da sempre attenta ai ruoli da interpretare, sceglie sempre parti positive e edificanti, rifiutando quelle troppo "pruriginose", in linea con i suoi princìpi e il suo modo di essere. Per questo non abbiamo potuta vederla in Lolita di Adrian Lyne, in Tempesta di ghiaccio di Ang Lee, ne L'uomo che sussurrava ai cavalli di Robert Redford... nel frattempo però ha trovato il tempo di laurearsi in psicologia e conseguire il prestigioso "Stagedoor Manor Performing Arts Camps" ad Harward, una specie di Laurea in recitazione.

Tutto sommato non male per una ragazza appena trentenne...