domenica 30 gennaio 2011

IL DISCORSO DEL RE (G.B. ,2010) di Tom Hooper


Esiste un genere cinematografico che non conosce crisi, e che viene sempre fuori puntualmente di questi tempi: è il cosiddetto 'film da Oscar': dicesi così, infatti, del classico prodotto 'perfetto', ben recitato, con confezione extra-lusso e politicamente corretto al punto giusto. Sono quei film che sembrano costruiti apposta per accaparrarsi il più alto numero possibile di statuette (anche se poi non sempre succede), e che consentono ai protagonisti la classica 'prova d'attore', vale a dire un ruolo confezionato apposta per consentire ad un bravo interprete di fare breccia nel cuore dei giurati dell'Academy. E bisogna dire che gli inglesi sono maestri in questo: dai tempi di Shakespeare in Love, passando per Ragione e Sentimento, Espiazione, The Hours, The Queen, Casa Howard... tutti rigorosamente premiati o quasi.

Ecco, Il discorso del re non è che l'ultimo esponente in ordine cronologico di questo particolarissimo genere, e rispecchia fedelmente tutte le caratteristiche fin qui elencate: ha una coppia di attori straordinari (Colin Firth e Geoffrey Rush), una sceneggiatura impeccabile, una cura maniacale dei dettagli (costumi, scene, musiche, trucco). Il classico film che, insomma, si presenta ai tuoi occhi come un'opera d'arte ma... badate bene, senza esserlo affatto.
Eh sì, perchè i film 'da Oscar' presentano praticamente tutti lo stesso punto debole: sono accuratissimi nella messinscena, ma difficilmente emozionano e coinvolgono. Sono algidi, distaccati, impersonali, e lasciano agli attori l' 'onere' di scaldare i cuori degli spettatori.

E anche Il discorso del re non fa eccezione alla regola: senza la 'coppia d'oro' prima citata sarebbe davvero difficile lasciarsi prendere dall'entusiasmo per una storia tutto sommato non troppo interessante, e abbastanza oscura ai più: quella di re Giorgio VI d'Inghilterra, padre dell'attuale regina Elisabetta e uomo pacato, timido e scostante, con un 'difetto' piuttosto imbarazzante per un sovrano: l'essere balbuziente e antrofobico, così da spaventarsi e non riuscire a spiccicare parola ogni volta che deve presentarsi in pubblico o leggere un discorso alla radio, con milioni di persone in ascolto. Se poi aggiungete che il timido re ha alle spalle un'infanzia difficile, un fisico non proprio da atleta, una salute instabile e un carattere volubile e irascibile, le cose si complicano ulteriormente... ovviamente vengono consultati tutti i più importanti psicologi e scienziati d'Inghilterra, ma nessuno riesce a cavare un ragno da un buco. Finchè, come nelle favole, ecco che a un certo punto si materializza il 'salvatore', nelle sembianze di un logopedista 'sui generis', drammaturgo fallito ed ex-birraio, perennemente squattrinato, che con metodi poco ortodossi ma efficaci riesce finalmente a far leggere al sovrano un discorso accettabile e... decisamente importante: la dichiarazione di guerra dell'Inghilterra alla Germania (siamo nel 1939).

Intendiamoci: parlo di storia 'poco interessante' dal punto di vista cinefilo, nel senso che onestamente non si sentiva la necessità di portare sullo schermo la biografia di un re balbuziente. Ma non voglio assolutamente sminuire nè prendere in giro chi soffre di questa patologia, nel modo più assoluto. Anche perchè solo chi ne ha sofferto capisce bene quello che comporta: grande vergogna e grande timidezza, con conseguente terrore di rapportarsi col mondo esterno. La balbuzie non è malattia, ma uno stato mentale, psicologico: nasce dall'insicurezza, dall'ansia, dalla paura della gente, e l'unico modo per guarirne è sforzarsi di vincere queste fobie raggiungendo una maggiore autostima e tranquillità interiore.
Esattamente quello che cerca di far capire a Giorgio VI lo stralunato 'dottor' Logue (un bravo Geoffrey Rush) riuscendo alla fine nella sua missione. E il finale, guardacaso, è l'unico momento davvero commovente, grazie soprattutto alla consueta prestazione-monstre di Colin Firth, che prenota con pochi patemi d'animo l'Oscar per il miglior protagonista. Ma rimane l'unico 'scatto' in avanti di un film bello ma 'ingessato'.

VOTO: * * *

martedì 25 gennaio 2011

La strada per l'Oscar

Con puntualità svizzera, ecco che anche per quest'anno arriva il rituale delle nominations all'Oscar: comincia dunque la grande corsa verso le prestigiose statuette e cominciano le sorprese: sono passati appena dieci giorni dalla premiazione dei Goden Globes (che, per tradizione, sono ottimi 'anticipatori' dei risultati dell'Academy), e abbiamo il primo colpo di scena: The Social Network, che ai Globes aveva vinto a mani basse, viene superato come numero di candidature non solo da Il discorso del re (che a questo punto diventa il favorito numero uno per il successo come miglior film), ma anche dal sorprendentissimo Il Grinta, il remake dell'omonimo film del '69 diretto dai fratelli Coen e con Jeff Bridges nel ruolo che fu di John Wayne. i numeri dicono dodici candidature per il primo e dieci per il secondo, mentre il film di David Fincher sulla genesi di Facebook si ferma a quota otto. Va detto che, comunque, tutti e tre i film citati concorrono in egual misura per i premi più importanti: la differenza sta soprattutto nel cast attoriale per quanto riguarda Il discorso del re (che oltre a Colin Firth come miglior attore piazza anche Geoffrey Rush e Helena Bonham-Carter nella cinquina dei non protagonisti) e le categorie tecniche per Il Grinta (scene, sonoro, costumi, dove non figura The Social Network).


E' abbastanza evidente comunque che la lotta sarà circoscritta a queste tre pellicole, con poche speranze per tutti gli altri: l'aver portato a dieci il numero di fim candidati è apparso più un colpo di teatro per 'movimentare' dal punto di vista televisivo la serata che per un effettivo aumento della concorrenza: ne è la riprova che film come Inception o The Fighter tutto sommato hanno ottenuto ben poco. Abbastanza clamorosa appare, ad esempio, la bocciatura di Christopher Nolan tra i registi, e qui si potrebbe discutere all'infinito... Unico outsider potrebbe alla fine risultare Black Swan di Aronofsky, ma onestamente ci credo poco: finirà che Natalie Portman si porterà a casa la statuetta come miglior attrice, tra l'altro meritatissima, e tutti contenti.

In ogni caso, lo dico chiaramente e senza tentennamenti, il sottoscritto tifa spudoratamente per The Social Network: film epocale, tristissimo e straordinario, agghiacciante ritratto della società moderna vista attraverso la genesi dell'invenzione più infulente degli 'anni zero': vero film 'di rottura' tra quelli in gara, splendidamente classico nella sua impostazione ma decisamente 'oltre' a livello di contenuti e tasso emotivo. Non so se i giurati dell'Academy, tradizionalmente conservatori, capiranno la portata di una pellicola come questa: ma comunque vada a finire, David Fincher ha costruito un'opera che sarà ricordata negli anni a venire, questo è certo.

Non ho ancora visto Il discorso del re, ma francamente mi attira poco: la sensazione 'a pelle' è che sia il classico film 'costruito' appositamente per gli Oscar: algido, impersonale, stilisticamente perfetto, ottimo nella confezione ma tutto sommato insignificante a livello di contenuti. Ricorda, tanto per capirci, altre pellicole del genere come 'Shakespeare in love' o 'Ragione e sentimento'. Belle, ma alquanto 'furbette' e inutili. Vedremo.

Apparentemente clamorose invece le dieci nominations per Il Grinta, ma anche qui la sorpresa è relativa: il western, ciclicamente dato per defunto, rientra sempre dalla porta principale e non c'è da stupirsi: è un genere immortale, l'unico vero genere inventato dagli americani e che da sempre identifica il loro paese, ed è normale ritrovarselo tra i piedi... e se pensiamo che questo remake è diretto dai Coen ed ha Jeff Bridges come 'mattatore' assoluto, non posso che vederlo con simpatia. Diciamo che lo aspetto al varco!

Due parole sulle altre categorie (tanto avremo modo di riaprlarne): Colin Firth è stra-favorito tra gli attori protagonisti (e sarebbe anche l'ora), mentre tra le donne l'Oscar andrà con tutta probabilità a Natalie Portman per la sua notevolissima performance in Black Swan (e anche questo sarebbe un bel premio, anche se la concorrenza di Annette Bening, Nicole Kidman e Michelle Williams è di tutto rispetto). Incertissime, come sempre, le candidature tra i non protagonisti dove spiccano comunque nomi eccellenti come Christian Bale, Geoffrey Rush, Mark Ruffalo e Melissa Leo. Sembrerebbe scontata invece la vittoria di The Social Network tra le sceneggiature adattate mentre per quella originale probabile duello tra Inception, Il discorso del re e il 'politicamente scorretto' I ragazzi stanno bene. Niente da fare invece per Io sono l'amore, la bella pellicola di Luca Guadagnino che ha ottenuto solo la candidatura per i costumi (disegnati da Antonella Cannarozzi).

E le bocciature? Anche quest'anno ce ne sono di eccellenti, a cominciare da Christopher Nolan, clamorosamente escluso dalla cinquina dei registi: e qui mi sembra un tantino evidente l'antipatia dell'Academy per il talentuoso cineasta londinese...
Inception è un film freddo, cerebrale e forse troppo poco coinvolgente, ma sulla qualità delle riprese davvero non si può discutere. E che dire di Roman Polanski, nemmeno considerato col suo bellissimo L'uomo nell'ombra? Così come si conferma l'assoluta incompatibilità tra i giurati e Leonardo DiCaprio, nuovamente e doppiamente snobbato sia con lo stesso Inception che con Shutter Island. Che cosa dovrà fare ancora il povero Leo per portarsi a casa un Oscar? Sinceramente non so darmi risposta... appuntamento al 27 febbraio!

GUARDA QUI tutte le candidature

domenica 23 gennaio 2011

ALBANESE E ZALONE : RISATE (AMARE) SULLA POLITICA. A SUON DI MILIONI DI EURO

Ormai è chiaro che non è un fenomeno passeggero: Checco Zalone frantuma ogni giorno che passa tutti i record d'incasso (Benigni compreso), e scusate se è poco. Qualunquemente, appena uscito, fa già registrare file da capogiro ai botteghini (l'ho sperimentato in prima persona oggi pomeriggio). E naturalmente non dimentichiamoci di Benvenuti al Sud, che seppur uscito ben prima di Natale (il periodo di 'vacche grasse' per il nostro cinema), ha raggiunto la ragguardevole cifra di 30 milioni di euro.
Con questi numeri, è evidente che c'è un nuovo tipo di comicità che si sta facendo strada, e non possiamo che rallegrarcene. Anche perchè arriva all'indomani dei risultati non esaltanti dei 'cinepanettoni', che segnano parzialmente il passo. Insomma, per la prima volta da tempo immemorabile le classifiche registrano un clamoroso dominio del cinema italiano, che piazza (per ora) tre film ai primi tre posti con risultati da capogiro.
E a questo punto, due sono le domande che più interessano l'appassionato di cinema: 1) quale è il motivo? 2) Si tratta di vera gloria? Inteso come: ad un consenso così alto corrisponde anche la qualità?

Cominciamo dalla prima. Quali sono le ragioni di questo 'ritorno di fiamma' alla comicità nuda e pura (e non spacciata da 'commedia' ?). Principalmente, come detto, la parziale disaffezione del pubblico nei confronti dei cinepanettoni. E sottolineo parziale perchè non dimentichiamo che Natale in Sudafrica ha incassato quasi 19 milioni di euro, mentre La banda dei babbi natale è arrivata a 21: sono comunque risultati di tutto rispetto per il nostro botteghino. Ma il calo c'è, è innegabile. E la ragione è tutto sommato abbastanza semplice, come dice Diego Abatantuono: 'Sono ormai venticinque anni che in Italia si producono cinepanettoni, e la gente si è un po' rotta le balle...' Come dargli torto?

Sarà per questo che Checco Zalone è piombato nelle nostre sale con la furia di un uragano: portandosi dietro la faccia de 'l'uomo nuovo', il 'comico giusto nel momento giusto'. Che bella giornata non sarà paragonabile a un film di Billy Wilder (per citare una battuta di un mio carissimo amico) ma ridere fa ridere, e anche parecchio. Certo, non è assolutamente vero che si tratta di comicità 'graffiante', 'alternativa', 'di pancia', come ho letto in molte recensioni... anzi, direi che è tutto il contrario: Zalone attinge a piene mani da Benigni e non s'inventa niente: prende bonariamente in giro il terrorismo, i pregiudizi razziali, l'eterna contrapposizione tra Nord e Sud (che aveva fatto anche la fortuna di Bisio) e lo fa in modo semplice, diretto, efficace ma non volgare. E anche abbastanza convenzionale, se vogliamo dirla tutta. Ma forse ha ragione Gianni Canova quando dice che 'Zalone mette in scena la 'prevalenza del cretino' : tutti abbiamo ogni tanto la tendenza a sentirci stupidi: Zalone, mettendo in scena uno più cretino di noi, ci fa auto-assolvere dalla nostra stupidità'. Ma, aldilà di questo, il merito principale di Che bella giornata è quello di essere un film 'vero', costruito e pensato con tutti i crismi, con una sceneggiatura semplice semplice ma non tirata via, e in grado di sostenere i tempi e i ritmi del lungometraggio. E di questo bisogna dargliene atto.

Cosa che invece non fa Antonio Albanese in Qualunquemente. Certo, qui siamo su altri binari di comicità. Albanese porta al cinema uno dei suoi personaggi più riusciti, baciato clamorosamente dalla buona sorte: i fatti (tragici...) di questi giorni superano di gran lunga la fantasia, facendo sembrare il film un instant-movie sulle 'dolorose' vicissitudini sessuali del nostro premier. Non poteva esserci miglior traino per Qualunquemente: la gente si riversa in sala per farsi amare risate, cercando la feroce complicità del comico siculo-brianzolo sulla degenerazione e l'imbarbarimento dei costumi del nostro ex-belpaese. E' una comicità 'cattiva', acida, masturbatoria alla Tafazzi se vogliamo dirla tutta: si va in sala per avere la conferma di quanto siamo stupidi e cialtroni, e di quanto davvero assomigliamo al personaggio di Cetto, che come dice lo stesso Albanese 'al confronto di certi politici di oggi può considerarsi un moderato' . Fin qui tutto bene. Però Qualunquemente crolla in maniera pateale nella sua struttura filmica: la pellicola non è altro che un susseguirsi di sketch, gag feroci quanto esilaranti ma tenute insieme senza nè capo nè coda. E che alla fine stancano lo spettatore invece di farlo divertire. Si ride nei primi venti minuti, ma poi la ripetitività di certe scene fa affiorare la noia, e alla fine l'oretta e mezza stiracchiata di proiezione sembra più lunga del solito... Albanese funziona bene da Fazio o a Zelig, dove in un quarto d'ora ti fa scompisciare dalle risate. Ma ancora una volta (come in Uomo d'acqua dolce e La fame e la sete) dimostra di non aver ancora preso le misure del film vero e proprio.
Da questo punto di vista meglio, decisamente meglio Checco Zalone.

VOTO A 'CHE BELLA GIORNATA' : * * *

VOTO A 'QUALUNQUEMENTE'     : * *

venerdì 21 gennaio 2011

VALLANZASCA, GLI ANGELI DEL MALE (Italia, 2010) di Michele Placido


Certo che il nostro è proprio uno strano paese... Mi ero convinto, chissà poi perchè, che fossimo diventati un popolo insensibile e anestetizzato a tutto, senza alcun pudore e vergogna. E invece incredibilmente mi sbagliavo! Devo perciò porgere le mie più sentite scuse al 'valoroso' deputato leghista Davide Cavallotto che, con grande coraggio e dignità, ha preso una dura posizione contro Michele Placido, regista che sta per sbarcare nelle sale italiane col suo Vallanzasca-Gli angeli del male, biografia romanzata del celebre bandito.  Dice Cavallotto: "Dopo aver pubblicizzato la mafia in tutto il mondo e reso celebre da Nord a Sud la sanguinaria Banda della Magliana di Roma, non ancora soddisfatto il cattivo maestro Michele Placido e' salito in cattedra per elevare a eroe lo spietato assassino Renato Vallanzasca".
Oooh! Finalmente qualcuno che si indigna per cose serie! Altro che le baggianate di questi giorni... tanto chiasso per qualche 'scappatella' erotica di un pover'uomo che è unto dal Signore, lavora tutto il giorno per noi ed è più perseguitato di Gesù Cristo! Insomma, il solito complotto comunista che è capace di alzare un  polverone dal nulla per nascondere le vere nefandezze italiche, come questo film blasfemo ed eretico firmato da un noto regista sovversivo e vetero-comunista... e che diamine!

Tornando seri (anche se non è affatto facile), se fossi in Michele Placido non darei assolutamente peso alle polemiche che hanno accompagnato la creazione e la distribuzione del suo film. Intanto, perchè è tutta pubblicità gratuita (e credo che Placido, cineasta ormai navigato, sotto sotto se la rida sotto i baffi). E poi perché non ha davvero nulla da rimproverare alla sua coscienza, in quanto sarebbe assurdo crocifiggere un regista per aver girato una fiction su un bandito. Come se film di gangster non ne fossero mai stati girati e come se non si sapesse che, da quando esiste il cinema, i personaggi ‘belli e dannati’ hanno sempre affascinato le platee, senza per questo essere emulati o glorificati dal pubblico. Sarebbe come se gli americani, tanto per capirci, accusassero Michael Mann per aver diretto Nemico Pubblico, il film che racconta le ‘gesta’ di John Dillinger… via, siamo seri! E allora Il Padrino? E C'era una volta in America? E anche Scarface, Taxi driver, Quei bravi ragazzi, The Departed, Carlitos Way, Gli Intoccabili... se Scorsese, Pacino e DeNiro avessero vissuto e lavorato in Italia avrebbero fatto la fame!

Ok, chiudiamola qui che è meglio. E cerchiamo di parlare un po' del film, che è la cosa più importante.
L’unica preoccupazione, per noi cinefili, era semmai cosa aspettarsi da questo film, in quanto il Placido regista è un personaggio più double-face del dottor Jekyll, capacissimo di alternare pellicole belle e di spessore (Del Perduto Amore, Un Eroe Borghese, Romanzo Criminale) a indicibili pasticci (vedi il tremendo Ovunque Sei o l’irrisolto Il Grande Sogno). Nessun problema, invece. Vi dico subito che Vallanzasca è un buon film. Una pellicola di genere che ricorda i film ‘poliziotteschi’ italiani degli anni ’70, pieni di ritmo, sparatorie, azione e sgommate. E prima che possiate obiettare qualcosa… sappiate che in questo caso tutto ciò non è un difetto: non siamo di fronte, infatti, né a un trattato sugli anni di piombo, né a un’apologia del gangster come temevano i familiari delle vittime, ma ad un onestissimo prodotto medio che ricostruisce molto bene sia la figura del bandito che il clima dell’epoca senza perdersi in meandri storico-sociologici. Non aspettatevi, insomma, un altro Romanzo Criminale: questa è, semplicemente, la storia di un uomo che ha scelto (pur non avendone la necessità, come da lui stesso dichiarato) di stare dalla parte sbagliata.
Inutile dire che buona parte della riuscita del film va attribuita a Kim Rossi Stuart, che è grandioso nella sua intepretazione del ‘bandito più bello d’Italia’ (come Vallanzasca veniva definito all’epoca): lo ricalca perfettamente, in maniera impressionante per portamento, sguardo, fisionomia e parlata… un motivo un più per vedere questa pellicola, e per respingere al mittente le polemiche create ad arte.

VOTO: * * *

lunedì 17 gennaio 2011

GOLDEN GLOBES: Trionfa 'The Social Network'


David Fincher e The Social Network fanno man bassa ai Golden Globes 2010: sarebbe banale e fin troppo facile parlare di vittoria 'annunciata': naturalmente nel nome di Facebook, la più redditizia e rivoluzionaria invenzione degli 'anni zero'. Ma il film di Fincher non è solo questo: è un grande e spietato ritratto della società contemporanea, realizzato in maniera splendidamente classica e accattivante. Uno straordinario 'thriller dei sentimenti' che è già un icona del nostro tempo, e che merita tutti i riconoscimenti ottenuti: oltre a quelli per miglior film drammatico e miglior regista si aggiungono quello per la miglior sceneggiatura (doveroso!) e, a sorpresa, anche quello per la colonna sonora. E se il buongiorno si vede dal mattino è facile prevederne il successo ai prossimi Oscar, di cui i Golden Globes sono l'anticamera più attendibile.

Certo, i Globes come sanno gli appassionati differenziano i premi in due categorie: drammatico e commedia (a differenza dell'Oscar che è unico), ma è davvero difficile pensare che quest'anno ci siano commedie in grado di strappare a The Social Network il premio più ambito. In primo luogo perchè, come detto, siamo di fronte a un capolavoro assoluto, e poi perchè in verità il livello dei film brillanti in lizza quest'anno era abbastanza basso: se pensiamo che tra i candidati c'era anche l'improponibile The Tourist capite bene cosa voglio dire... Alla fine il successo è andato a I ragazzi stanno bene di Lisa Chodolenko, pellicola che racconta le disavventure familiari di una coppia di lesbiche alle prese con i problemi di tutti i giorni. Ma crediamo che il premio ad Annette Bening (che ha battuto sul filo di lana la 'mogliettina' Julianne Moore) sia già più che sufficiente.

Niente da dire anche sulla coppia di attori drammatici premiata: se il premio a Colin Firth era prevedibile (magnifico Re Giorgio VI in The King's Speech) meno scontata ma meritatissima è stata la vittoria della bella e brava Natalie Portman in Black Swan di Darren Aronofsky: il film non è ancora uscito da noi ma sulla performance artistica dell'attrice israelo-americana scommettiamo ad occhi chiusi. Così come ci sembra meritata anche la statuetta al bravo Paul Giamatti ne La versione di Barney: la sua interpretazione 'salva' letteralmente un film altrimenti deboluccio. Tra i non protagonisti, infine, premiata la 'coppia d'assi' Christian Bale-Melissa Leo di The Fighter, ennesimo film drammatico sul mondo della boxe... non certo originalissimo, ma in ogni caso i due attori premiati meritavano da tempo un riconoscimento.

Questi dunque i verdetti principali. L'attenzione si sposta adesso sul premio 'maggiore', cioè l'Oscar, le cui nominations saranno annunciate il prossimo 25 gennaio, mentre bisognerà poi attendere un altro mese (il 27 febbraio) per conoscere i nomi dei vincitori. Ma vedrete che i nomi in lizza non si discosteranno molto da quelli sopra citati... si prevede già quindi una lotta all'ultimo voto tra la Portman e la Bening tra le attrici e tra Firth e Giamatti tra gli uomini. Anche se a Hollywood vige da tempo la legge 'non scritta' (ma validissima) che vuole (quasi) sempre premiato a parità di interpretazione l'attore o l'attrice drammatica.
Poca fortuna invece per Io sono l'amore di Luca Guadagnino, unico italiano in gara, battuto dal danese In un mondo migliore nella cinquina dei film stranieri. Va detto però che per il piccolo film italiano è stato già un successo arrivare fino alla  nomination, tra l'altro accompagnata da un lusinghiero risultato ai botteghini americani. E comunque resta ancora in lizza la possibilità del premio più ambito...
Ma ci sarà tempo per riparlarne.

I VINCITORI:

- Miglior film drammatico:      The Social Network di David Fincher
- Miglior film commedia:         I ragazzi stanno bene di Lisa Cholodenko
- Miglior regia:                       David Fincher per 'The Social Network'
- Miglior attore drammatico:   Colin Firth per 'The King's speech'
- Miglior attore brillante:         Paul Giamatti per 'La versione di Barney'
- Miglior attrice drammatica:  Natalie Portman per 'Black Swan'
- Miglior attrice brillante:        Annette Bening per 'I ragazzi stanno bene'
- Miglior attore non prot.       Christian Bale per 'The Fighter'
- Miglior attrice non prot.       Melissa Leo per 'The Fighter'
- Miglior film straniero:          In un mondo migliore di Susanne Bier (Danimarca)

sabato 15 gennaio 2011

Quale 'VERSIONE' preferite? L'eterno dibattito tra cinema e letteratura

Arriva finalmente in sala La versione di Barney, attesissima trasposizione cinefila del romanzo-culto di Mordecai Richler: ne avevo già parlato all'epoca dell'anteprima 'veneziana' del film (vedi qui), ma era inevitabile che sarei tornato sull'argomento. Non tanto perchè il film diretto da Richard J. Lewis sia particolarmente memorabile (anzi...) ma perchè anche stavolta, come sempre succede quando viene portato sullo schermo un romanzo di grande successo, si riaccende l'annosa questione su quanto sia giusto (o opportuno) restare più o meno fedeli al testo letterario. E ovviamente tanto più è famoso il libro tanto maggiori sono le polemiche... specialmente se lo scrittore non può o non vuole collaborare con la sceneggiatura del film, che così diventa 'liberamente' ispirata al romanzo. In questo caso non sarebbe stato davvero possibile (Richler è morto nel 2001), ma ci sono stati innumerevoli casi in cui gli autori dei libri in questione hanno più o meno esplicitamente disconosciuto la versione cinematografica, per non parlare poi dei fans 'irriducibili' e talebani della carta stampata che spesso rifiutano 'a prescindere' il film considerandolo quasi un sacrilegio (si pensi alla saga de Il Signore degli Anelli).

Premetto una cosa: non ho letto il romanzo di Richler e pertanto non posso fare confronti con il film: mi limito a dire che la pellicola di Lewis è una convenzionalissima e scontata commedia romantica in perfetto stile americano: non inguardabile ma certamente è tutto tranne che irriverente, 'scorretta', caustica e anticonformista come parrebbe essere il testo da cui è tratta.
Ma non è questo il punto.
Il punto è: fino a quanto ci si può spingere con la 'fedeltà' al romanzo? E fino a quale limite il regista (o lo sceneggiatore) possono arrivare 'mettendoci del loro' ?

Io credo, innanzitutto, che fare confronti sia eternamente sbagliato: cinema e letteratura sono due arti che non possono essere paragonate in nessun modo. Semplicemente sono DIVERSE. Il romanzo è la massima espressione del pensiero, senza vincoli o limitazioni, mentre il film deve necessariamente essere una sintesi. Questo però non va (almeno non sempre) a discapito del cinema, perchè il Cinema è la 'summa' di tutte le arti dell'ingegno (letteratura, immagine, musica) come diceva qualcuno più intelligente di me... Qualsiasi altra forma di rappresentazione non può avere la stessa capacità diretta e immediata di rappresentare la realtà. Le sensazioni che riescono a darci certe immagini del cinema non potrebbero essere provocate da nessun'altra forma di espressione artistica. Prendete 2001: odissea nello spazio: Arthur Clarke impiega decine di pagine per passare dall' 'alba dell'uomo' ai giorni nostri, e sono pagine notevolissime. Ma Kubrick con un solo fotogramma (la mitica scena dell'osso scagliato nel cielo che diventa astronave) le riassume tutte in maniera straordinaria.

Detto questo, è ovvio che possono esserci grandi libri e pessimi film, oppure il contrario. Ma trovo che il confronto sia impossibile, e credo che il regista abbia il sacrosanto diritto (e secondo me anche il dovere) di trasporre il romanzo secondo la PROPRIA visione, mettendoci cioè del suo e non limitandosi a un pedissequo esercizio di filologia. Torno ancora a Il Signore degli Anelli: a mio giudizio è una saga cinematografica portentosa, non penso che sarebbe stato possibile realizzarla meglio di come ha fatto Peter Jackson: eppure la maggior parte di coloro che hanno letto e amato il libro affermano che il film è 'riduttivo' rispetto al romanzo (malgrado le dodici ore complessive di pellicola!). Ma era inevitabile che così fosse considerando la mole del racconto, e Jackson ha avuto il merito di non 'ricopiare' meramente il testo letterario, ma di mettere in scena un film 'personale', modificato, diverso eppure eccellente, che a mio avviso non ha niente da invidiare rispetto al tomo di Tolkien. 

La stessa cosa invece sembrerebbe non possa dirsi per La versione di Barney, ma anche qui va rispettata la scelta di registi e produttori di aver voluto dare un LORO taglio al film, che in ogni caso non va nè a sminuire nè a glorificare l'opera di Richler: molto spesso chi dirige un film usa il testo letterario come canovaccio o come spunto, dando poi vita a trasposizioni cinematografiche assolutamente 'libere', con concetti e stili profondamente diversi.
E trovo che questo sia assolutamente giusto. Fermo restando che ognuno è padrone di dare il proprio giudizio.

TRON LEGACY (USA, 2010) di Joseph Kosinski


Sarà che sto invecchiando, sarà che forse vedo troppi film e sono sempre più 'smaliziato' di fronte al grande schermo, ma comincio davvero a pensarla come Tommaso Labranca (vedasi la sua rubrica 'Collateral' sull'ultimo numero di FilmTV): il 3D è appena tornato nelle sale e già sta venendo a noia. Perchè non è il 3D che rende bello un film: al limite lo rende più spettacolare, visivamente più attraente, ma se la storia è noiosa non è che la 'terza dimensione' la renda meno noiosa, anzi... per certi versi ci si annoia ancora di più, frastornati da una valanga di effetti speciali che appesantiscono ulteriormente la visione. Il 3D dovrebbe essere come l'arbitro nel calcio: un arbitro è tanto più bravo quanto meno si fa notare nel corso della partita. Se l'arbitro diventa protagonista, allora vuol dire che qualcosa non va... nel cinema è la stessa cosa: se ci rendiamo conto che stiamo guardando un film e questo ci interessa solo perchè portiamo i famigerati 'occhialetti', certo non siamo ripagati da quello che ci passa davanti agli occhi.

Tutto questo per dire che Tron Legacy è una delusione enorme. Malgrado lo sfavillante 3D, la messinscena altamente hi-tec e le tutine attillatissime di Olivia Wilde: se il primo Tron, quello dell'82, era quantomeno creativo e per certi versi innovativo, pur nella sua palese ingenuità, questo inutile remake è veramente il trionfo della noia: è un film di notevole impatto visivo (eccimancherebbealtro!!!), ma assolutamente non sorretto da una sceneggiatura adeguata: le situazioni sono talmente scontate e ripetitive che sembra davvero di essere all'interno di un videogame, per non parlare dei dialoghi che, in certi momenti, sono addirittura agghiaccianti ("Com'è il sole" - "E' splendido e caldo".sic !!)

Tron Legacy si sviluppa per accumulo, gettando subito sul fuoco tutta la 'carne' che ha: siamo immediatamente subissati di effetti speciali ma ci si stanca quasi subito, perchè la storia non regge, i personaggi sono praticamente 'invisibili' per la loro pochezza e danno l'impressione di non sapere che cosa fare, un po' come l'Inter di Rafa Benitez: è inutile avere a disposizione grandi nomi e largo budget (si parla di 160 milioni di dollari spesi!) se poi non si hanno idee. Il film di Kosinski strizza l'occhio ora a Matrix, ora a Nirvana, perfino a 2001: Odissea nello spazio, senza avere idea su dove andare a parare.
Ma intanto i ragazzini in sala si divertono con gli occhialetti, si tirano i popcorn, scherzano con i cellulari... mi sa che sto invecchaindo davvero!

VOTO: * * 

domenica 9 gennaio 2011

HEREAFTER (USA, 2010) di Clint Eastwood


La più bella recensione di Hereafter l'ha data proprio Cecìle De France, la splendida protagonista del film:

'Clint è un uomo incredibilmente libero, ed è un tale maestro che ormai può affrontare anche temi enormi, come la vita dopo la morte, mantenendo sempre la sua semplicità e la sua capacità di saper parlare con il pubblico'.

Stop. Non c'è molto da aggiungere a queste parole, che dicono davvero tutto. O almeno quanto basta per farci amare un film straordinariamente imperfetto come questo. E pazienza se la sceneggiatura è zoppicante in più parti, se il ritmo è forse un po' troppo lento, specie nella parte centrale, se l'uso degli effetti speciali (abbastanza insolito per Eastwood) non appare sempre 'sotto controllo'... sono difetti che risultano davvero venali se paragonati alla grande portata emotiva di un film che tocca un argomento difficilissimo, spinoso, un'autentica 'trappola' per chiunque voglia cimentarvisi. Eastwood lo fa da par suo, e vince la scommessa nel solito modo di sempre: girando con estremo rigore e semplicità, arrivando dritto al cuore dello spettatore senza mai speculare sul dolore e senza ricattarlo emotivamente.

C'è una scena esemplare di Hereafter che dimostra quanto appena detto: siamo verso la fine del film, quando il ragazzino protagonista di una delle tre storie riesce finalmente a convincere il sensitivo George (un bravo Matt Damon) a metterlo in contatto col fratellino morto in un incidente stradale. Il medium capisce lo stato di disperazione e frustrazione in cui versa il piccolo ed inizia a mentire su quello che 'sente', facendogli credere che il fratello sia vicino a lui e lo sproni ad andare avanti senza paura. Sfido chiunque di voi a non commuoversi in questa sequenza, tanto toccante quanto elementare nella messinscena, che dimostra ancora una volta l'incredibile capacità dell'ottantenne Clint Eastwood di saper scaldare i cuori in un modocosìsemplice e così diretto da risultare disarmante e quasi 'miracoloso'... 

Hereafter significa letteralmente 'aldilà', ma si capisce subito che al laico Eastwood interessa soprattutto l' 'aldiquà', vale a dire il modo di elaborare e scendere a patti con la morte da chi è rimasto in vita. Lo fa costruendo un film corale, composto da tre episodi nei quali si raccontano tre modi diversi di elaborare il lutto: nel primo una giovane e bella giornalista francese scampa miracolosamente a uno 'tsunami', che la inghiotte nella sua forza devastatrice e per qualche attimo la fa piombare nel limbo della morte, prima di essere salvata per i capelli. Nel secondo (girato a Londra) una madre drogata e scapestrata non riesce a prendersi cura dei due figli gemelli, uno dei quali viene travolto da un auto dopo un banale litigio tra coetanei. Nel terzo un giovane operaio di S.Francisco scopre di possedere la facoltà di mettersi in contatto con le persone defunte, ma questa 'dote' ben presto gli rovina la vita condannandolo a non poter più vivere un'esistenza 'normale'. 

Eastwood, in nome della sua coerenza e della sua grande onestà intellettuale, non mostra nulla di quello che c'è (o potrebbe esserci) dopo la morte, non potendone ovviamente esserne a conoscenza. Ma allo stesso modo non rifiuta e non deride coloro che ci credono, partendo dal presupposto che nessuno di noi è in grado di poter giudicare ciò che ognuno 'sente' in relazione a questo, in ogni caso non dimostrabile.
Una grande lezione (l'ennesima) di cinema e di vita.

VOTO: * * * *

venerdì 7 gennaio 2011

E' guerra tra i CINEPANETTONI. Già... ma la qualità ??


Di solito non guardo mai gli incassi del box-office, in tutta onestà mi emozionano poco. Però in questi giorni è impossibile non parlarne, perchè non c'è giornale, rivista o tv che non riporti l'andamento della cosiddetta 'battaglia di Natale', vale a dire l'autentica 'guerra' che c'è tra un titolo e l'altro per accaparrarsi l'ultimo spettatore a suon di milioni di euro. Argomento tutt'altro che frivolo perchè, come ben sappiamo, il Natale è il periodo cruciale per l'industria cinematografica italiana e dagli incassi di questi film dipendono le strategie (se non la sopravvivenza stessa...) di molte case distributrici.
E così assistiamo attoniti (si fa per ridere) al formidabile exploit di Checco Zalone, capace di abbattere nientepopodimeno che 'Avatar' nella classifica degli incassi del primo weekend di programmazione (quasi 6 milioni di euro, un dato che fa rabbrividire). Tanto da far ritenere che il comico pugliese possa addirittura insidiare il primato assoluto della classifica generale, che attualmente è detenuto da 'La banda dei babbi natale' di Aldo, Giovanni e Giacomo, davanti per un incollatura a 'Natale in Sudafrica': per entrambi il totale ai botteghini supera abbondantemente i 17 milioni di euro... e poi c'è chi dice che quest'anno i cinepanettoni segnano il passo! Intendiamoci, siamo lontani dai tempi della 'famigerata' coppia Boldi-DeSica, capace in certe stagioni di raggiungere anche i 25 milioni, ma non dobbiamo dimenticare che negli ultimi tempi la concorrenza è aumentata in modo esponenziale, non fosse altro che per l'avvento del 3D che ha favorito il proliferarsi di innumerevoli film d'animazione, genere per eccellenza prediletto da questo tipo di formato.

Insomma, il cinepanettone è tuttora vivo e vegeto, anzi gode di ottima salute! Tristemente, direi. Perchè i cinefili lettori di questo blog sanno bene qual è la qualità di queste opere, spesso davvero ben al di sotto del minimo sopportabile in termini di volgarità e decenza. Intendiamoci, non voglio aprire una crociata contro nessuno, ben consapevole che mi attirerei addosso gli strali di coloro che accusano me e altri appassionati di essere 'spocchiosi e snob' nei confronti di chi, 'almeno un giorno all'anno' (come si usa dire) vogliono farsi quattro grasse risate e basta... Ci mancherebbe! Questo però non fa altro che confermare l'anomalia tutta italiana di questo genere di film, capace di attirare nelle sale (quasi) esclusivamente chi al cinema ci va, appunto, una volta l'anno! E allora mi chiedo: ma siamo davvero sicuri che i cinepanettoni facciano bene al nostro cinema? Forse nell'immediato sì, in termini di soldoni, ma di sicuro non in prospettiva futura, in quanto non assicurano affatto un maggior pubblico nelle sale in via continuativa. Senza contare l'impatto, (devastante direi!) dal punto di vista culturale nei confronti di un pubblico medio già abbastanza lobotomizzato di suo.

E che i cinepanettoni siano un'eccezione prevalentemente italica è evidente dal confronto delle classifiche degli incassi del nostro paese con quelle del resto del mondo. Non ci credete? Prendiamo come esempio quello più banale possibile: il box office americano. Ecco la classifica alla fine dello scorso weekend:

BOX-OFFICE USA AL 2/1/2011
1. Ti presento i nostri
2. Il Grinta
3. Tron Legacy
4. The Fighter
5. L'orso Yoghi
6. Le Cronache di Narnia
7. I viaggi di Gulliver
8. Black Swan
9. The King's speech
10. Rapunzel

Ed ecco invece la classifica italiana:

BOX-OFFICE ITALIA AL 5/1/2011

1. La banda dei babbi natale
2. Natale in Sudafrica
3. The Tourist
4. Tron Legacy
5. Che bella giornata!
6. Le Cronache di Narnia
7. Megamind
8. Le avventure di Sammy
9. La bellezza del somaro
10. Un altro mondo

La differenza mi pare evidente, sotto gli occhi di tutti. Mentre nella top ten USA troviamo film ovviamente iper-commerciali, ma comunque con standard di decenza (e anche ben oltre, onestamente: titoli come 'The Fighter', 'Il Grinta', 'Black Swan', 'The King's speech' saranno protagonisti ai prossimi Oscar), da noi il panorama è desolante: escludendo cinepanettoni e cartoni animati, l'unico film 'guardabile' risulta essere (forse) 'Tron Legacy', e al limite anche quello di Castellitto... ma davvero si raschia il barile! L'unica buona notizia è data dall'indifferenza con cui è stato accolto dal pubblico l'inguardabile film di Silvio Muccino (massima espressione di un non-cinema terribilmente edulcorato, falso e ricattatorio, buono solo per chi vuole riempire i fazzoletti a comando), ma davvero c'è ben poco da stare allegri.


E rispondo anche (giocando d'anticipo e facendo quasi l' 'avvocato del diavolo') a chi sostiene, giustamente, che negli USA la 'stagione' del cinema commerciale non è adesso ma durante i mesi estivi. Vero, negli States il periodo più paragonabile al nostro Natale va da maggio ad agosto, quando la gente è abituata ad uscire dalla spiaggia e vedersi qualche buona pellicola 'di genere'
senza voglia di pensare troppo. Anche in questo caso, però, il confronto non regge:

BOX-OFFICE USA AL 31/8/2010

1. Inception
2. Eclipse
3. Toy-Story 3
4. Shreck
5. I ragazzi stanno bene
6. Salt
7. Cattivissimo me
8. Innocenti bugie
9. L'ultimo dominatore dell'aria
10. Un weekend da bamboccioni

Come si vede, al primo posto c'è 'Inception' di Nolan, e non 'Natale in Sudafrica'... e anche film come 'I ragazzi stanno bene', 'Innocenti bugie', 'L'ultimo dominatore dell'aria' sono tutt'altro che disprezzabili. Senza contare che da noi lo stesso 'Inception', ma anche 'Hereafter' di Eastwood e molti altri titoli hanno dovuto anticipare o posticipare l'uscita rispetto a Natale proprio per essere 'bruciati' dal pubblico natalizio. Che, altro esempio, da noi ha premiato per incassi e gradimento perfino 'The Tourist', il terrificante pseudo-thriller romantico firmato Von Donnesmark che è stato un flop praticamente ovunque...
Insomma: vuoi vedere che oltre al governo, abbiamo anche il cinema che ci meritiamo?

lunedì 3 gennaio 2011

Verso i Golden Globes \ IO SONO L'AMORE (Italia, 2009) di Luca Guadagnino

A volte le favole si avverano… o forse più che le favole conta la scarsa lungimiranza di certi distributori e il coraggio di altri. E magari anche un pizzico di fortuna. Forse di tutto un po’. Fattostà che quello che sta accadendo a Io sono l’amore, quarto lungometraggio dell’ex-regista videoclipparo Luca Guadagnino ha veramente dell’incredibile.
Riassumiamo brevemente: il film viene presentato alla Mostra di Venezia 2008, snobbato dalla critica nostrana e con un ritorno commerciale pressochè inesistente. Distribuito (si fa per dire) in una cinquantina di sale nello spazio di un weekend, a molti mesi di distanza dal passaggio al Lido, ottiene incassi risibili e viene immediatamente ritirato. La vetrina festivaliera però, per una volta, ottiene il suo scopo: il film viene notato prima da produttori canadesi e poi distribuito anche sul mercato statunitense. Viene quindi presentato prima al Festival di Toronto e poi al prestigioso Sundance Film Festival, con lusinghieri apprezzamenti da parte di tutta la critica nordamericana. Una volta arrivato al cinema, I am love (questo il titolo ‘internazionale’) comincia incredibilmente a sbancare il botteghino americano arrivando ad incassare la ragguardevolissima cifra di 6 milioni di dollari, traguardo raggiunto in passato solo da pochissimi altri titoli stranieri (es. La vita è bella). Non solo: per il Washington Post è da ritenersi tra i quattro migliori film in assoluto del 2010. Variety arriva beffardamente a sostenere che ‘non sembra nemmeno un film italiano tanto è diverso dalle abituali (e sottinteso scadenti) commediole del Belpaese’. Il New York Times lo paragona addirittura a Vertigo di Hitchcock (!).

Tutto questo gli vale una sorprendente nomination ai Golden Globes come Miglior Film Straniero e alla protagonista Tilda Swinton come migliore attrice.
Che dire? Miopia del cinema di casa nostra o abbaglio della critica a stelle e strisce?
Forse la verità, come sempre, sta nel mezzo. Una cosa però è certa: Io sono l’amore non è un film banale, e sicuramente non meritava la supponenza e l’indifferenza del nostro mercato.
La pellicola di Guadagnino è un’opera ambiziosa, cerebrale, forse irrisolta ma che di sicuro non lascia indifferenti.E’ la storia di una famiglia altolocata della Milano-bene, la cui ordinaria e decadente quotidianità viene stravolta dall’improvvisa passione della moglie del capofamiglia per un giovane cuoco appena assunto. Questa storia d’amore impossibile, prima soffocata e poi scoppiata con la forza di un ciclone, genera effetti devastanti in tutti i membri della famiglia, da troppo tempo imprigionati nell’arida e soffocante vita borghese in cui si dibattono da sempre. Il dramma ovviamente è dietro l’angolo, ma l’abilità del regista sta nel non concedere assolutamente nulla al pietismo e al sensazionalismo facile, evitando ‘scene madri’ e sequenze ad effetto.

Il taglio del film è gelido, algido, apparentemente impersonale e decisamente ‘indigesto’ per chi guarda, che si aspetta che ‘accada qualcosa’ in ogni momento… invece i minuti passano e il disagio (dei protagonisti e dello spettatore) cresce senza che sullo schermo si veda qualcosa di ‘eclatante’. Eppure l’inquietudine si tocca con mano, facendo prendere coscienza in chi lo guarda del disfacimento dei valori di una società (in questo caso italiana, ma potrebbe essere di qualunque parte del mondo) basata sull’apparenza e l’ipocrisia.
Certo, il film sotto certi aspetti potrebbe sembrare pretenzioso e autocompiaciuto. ‘Un arido esercizio di stile’ come ha scritto buona parte della critica italiana… che forse non ha tutti i torti ma che, dico io, non ha MAI rivolto le stesse critiche, per esempio, ai film di Michael Haneke: regista elogiato da tutti le cui opere, a mio modestissimo parere, sono le più vicine a questa.

Le conclusioni? Che forse noi italiani (parlo in generale) dovremmo avere un po’ più di pazienza e un po’ più di coscienza critica nel giudicare opere ‘non allineate’ e difformi dagli standard nazionali. Certo, molta critica spocchiosamente continuerà per principio a stroncare Guadagnino, ma lui intanto fa soldi a palate negli States e rischia più di una candidatura ai prossimi Oscar. Non quella però per il film straniero, categoria per la quale l’Italia ha scelto il ruffianissimo, stanco, ipocrita e perbenista La prima cosa bella di Paolo Virzì. Pellicola ‘allineata’ e all’insegna del ‘volemose bene’, tipica del nostro paese. Magari vincerà, ma certo in più di un addetto ai lavori comincia, subdolamente, ad insinuarsi il dubbio: non avremo sbagliato film?

VOTO: * * * *