giovedì 8 settembre 2011

IL VILLAGGIO DI CARTONE (Italia, 2011) di Ermanno Olmi

Dio benedica Ermanno Olmi. E, dato che tanto non ci sente e non ci legge, siano benedetti anche i suoi acciacchi e la sua vecchiaia (scherzo, ovviamente!). Molti anni fa, felicemente guarito da una grave malattia, il regista bergamasco scrisse e diresse La leggenda del santo bevitore, fu il suo modo di far capire che era tornato alla vita. Oggi, dopo aver annunciato da tempo il suo ritiro dalle scene, complice una banale caduta da letto che lo ha immobilizzato per due mesi e lo ha 'costretto', per non impazzire (dice lui) a scrivere una nuova sceneggiatura, il 'grande vecchio' del cinema italiano torna con un film nuovo di zecca. Un ennesimo piccolo miracolo, raro e prezioso.

Il villaggio di cartone inizia con un vecchio prete, malfermo e spaurito, che viene portato via a forza mentre sta cercando di officiare la Messa: la chiesa infatti è stata sconsacrata, e i facchini smontano e portano via tutte le suppellettili, compreso il grande crocifisso di legno che viene sganciato dal soffitto. L'edificio resta così desolatamente vuoto, buio e triste, occupato solo dal suo unico ospite. Ma lo sarà per poco... perchè durante la notte un gruppo di immigrati clandestini si rifugia all'interno della chiesa e vi si stabilisce, creando una piccola, precaria comunità. Ed ecco, dunque, compiersi il miracolo: quello spazio vuoto di colpo torna a riempirsi di vita, e quelle persone tornano a ridare un senso a quelle pareti, che ora assurgono di nuovo alla loro funzione originaria: l'ospitalità.

Anche l'anziano sacerdote, con le ultime forze che gli rimangono, riacquista una propria personale dignità e anche una nuova ragione di vita, a cui terrà fede fino alla fine, infischiandosene delle assurde e inumane leggi sull'immigrazione, indegne di un paese civile, e dell'ottusità con le quali vengono fatte rispettare (argomento questo trattato anche da Emanuele Crialese in Terraferma, segno evidente che quest'anno alla Mostra le tematiche sull'immigrazione e la tolleranza non erano certo casuali. Per fortuna, verrebbe da dire).

Il villaggio di cartone è una tenerissima favola moderna, narrata sotto forma di parabola cristiana, in un linguaggio volutamente semplice, quasi naif, con parole chiare e dirette allo scopo affinchè tutti capiscano. E' un film, appunto, sulla cristianità, intesa non tanto come appartenenza a una religione, ma nel senso più ampio del termine: vale a dire sul diritto all'accoglienza, alla pietà, al rispetto per chi è meno fortunato. Ed è anche, nemmeno troppo velatamente, un duro attacco alla Chiesa Cattolica e alla suo progressivo e inesorabile scollamento con la realtà, vale a dire con i fedeli, che non vi si riconoscono più. La Chiesa di oggi, dice Olmi, è come quell'edificio vuoto e abbandonato, senza nemmeno il crocifisso: solo tornando a parlare con la gente si riempirà di nuovo, e occorre farlo da subito. Come ha detto lo stesso regista in conferenza stampa, "Se non apriamo le nostre case, compresa la casa più intima, che è il nostro animo, siamo solo uomini di cartone".
Grazie, maestro.

VOTO: ****

2 commenti:

  1. questo me lo segno! ho avuto la fortuna di avere come insegnante di regia Mario Brenta (famoso aiuto regista di Olmi) e per forza di cose mi son innamorato del suo stile e del suo particolare modo di dirigere gli attori presi per strada..

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