domenica 29 gennaio 2012

MONEYBALL - L'ARTE DI VINCERE

(Moneyball)
di Bennett Miller (USA, 2011)
con Brad Pitt, Jonah Hill, Philip Seymour Hoffman, Chris Pratt, Robin Wright
VOTO: ****

'Odio perdere più di quanto ami vincere', dice il protagonista a un certo punto del film : in questa frase c'è tutto il senso di Moneyball-L'arte di vincere, pellicola in odore di Oscar in arrivo nelle nostre sale e tenacemente voluta dal suo interprete principale, quel Brad Pitt che si conferma sempre di più, film dopo film, non soltanto 'il marito di Angelina Jolie' ma un attore coi fiocchi. Billy Beane (questo il nome del protagonista) odia perdere perchè nel mondo di oggi non esiste più la cultura della sconfitta: sa che se perderà lo faranno fuori, senza alcuna attenuante, pur arrivando a giocare due finali nazionali consecutive e sempre sfavorito nei pronostici.

Moneyball non è il 'solito' film sportivo americano, imperniato sull'esaltazione di un'impresa e la rinascita di un campione. Tuttaltro. E' un'amarissima riflessione sulla disgregazione dei valori etici e culturali di una società basata soltanto sul profitto e sul risultato, da perseguire a qualunque costo.

La storia (vera) è quella della squadra di baseball degli Oakland Atlhetics, che nel 2001 riesce a raggiungere, a sorpresa, la finale nazionale contro i New York Yankees, perdendola di un soffio. Nella stagione successiva il suo general manager Billy Beane vorrebbe riprovarci, ma la dura realtà impone che la proprietà sia costretta a vendere i suoi giocatori migliori per esigenze di bilancio, costringendolo a ripartire daccapo. Beane si rende conto che non potrà mai riuscire a competere con le grandi squadre dal punto di vista finanziario, e allora si affida (nell'incredulità e lo scetticismo generale) a un giovane economista neolaureato a Yale, che analizzando le statistiche di tutti (!) i giocatori del campionato, individua quelli più utili alla causa in base al loro rendimento matematico, non necessariamente i più famosi (e costosi...)

Non  vi diciamo di più sulla trama, per non privarvi del piacere della visione. Vi basti sapere che Moneyball è la storia di una sconfitta che profuma di vittoria, ma che sempre sconfitta rimane. Nel mondo di oggi non c'è posto nemmeno per i 'perdenti di successo', e non è un caso che il regista si affidi proprio al baseball, lo sport 'americano' per eccellenza, per dimostrarci che il Sogno Americano è definitivamente tramontato, e che non esistono più gli 'eroi romantici'. Nemmeno nello sport, che pure sarebbe la disciplina più adatta a tale scopo.


Moneyball è un film sorprendente, robusto, misurato, apparentemente di genere, che non concede nulla allo spettacolo e all'esaltazione (per questo non ha avuto successo in patria) e usa lo sport moderno (o quello che è diventato) come metafora della società contemporanea. Non aspettatevi riprese mozzafiato di azioni di gioco o scene madri che tengono alta la tensione: nella sequenza più bella e significativa si vede un giocatore anziano e sovrappeso correre goffamente verso la base... nella sua corsa disperata verso l'obiettivo, col cuore in gola, non si accorge neppure di aver battuto un fuoricampo, e quindi di poter fare tranquillamente passerella. La morale è chiara: spesso siamo così ossessionati dall'obiettivo da non renderci conto di ciò che di bello ci gira intorno, e nemmeno delle proprie possibilità.

Il film, come detto, non ha raggiunto incassi stratosferici negli Stati Uniti, e c'è da aspettarsi che nemmeno da noi farà sfracelli: in Italia il baseball è uno sport misterioso e complicato, pressochè sconosciuto ai più. E' un peccato, perchè si tratta di una delle pellicole più forti e interessanti della stagione, interpretata da un attore in stato di grazia e sorretta da una sceneggiatura di ferro (scritta da Aaron Sorkin, già Oscar per The Social Network e probabilmente il miglior writer attualmente in circolazione). La regìa di Bennet Miller è sicura e funzionale alla storia, e le due ore e passa di durata scorrono che è una meraviglia, malgrado l'assenza totale o quasi di azione. Non perdetelo, diventerà un 'cult'.

DIO SALVI IL BASEBALL. E ANCHE L'AMERICA.


Il baseball è lo sport americano per eccellenza. Molto più del basket e del football. Lo è perchè incarna perfettamente lo spirito e l'ideologia di una nazione che, una volta, poteva identificarsi in un Sogno. Nel baseball le squadre scendono in campo una alla volta, e c'è un solo giocatore, quello avversario, che si ritrova solo contro tutti e deve farcela da solo a salvarsi, con le sue gambe, correndo il più possibile, più forte degli altri... è la sintesi del Sogno Americano, di coloro che dicono che 'se ci credi davvero, ce la farai...', a dispetto di tutto. Joe McCarthy diceva 'date a un ragazzo una mazza, un guantone e un posto dove giocare, e otterrete un buon cittadino'.

In ogni grande film americano, di botta o di rimbalzo, il baseball è presente. Da noi è una disciplina di nicchia, quasi incomprensibile, faticosa da seguire, a testimonianza della grande differenza di vedute e culture che (ancora) ci separano dal Nuovomondo. Eppure dai film sul baseball si possono capire facilmente la storia e l'essenza dell'America: se ne L'Idolo delle Folle si raccontava dell'ascesa e il trionfo di un ragazzo di strada, segno che 'In questo Paese chiunque può farcela', in Moneyball-L'arte di vincere si celebra il funerale del Sogno stesso, infranto dalle regole (spietate) della società moderna.

Dio salvi il Baseball. E, di conseguenza, anche l'America.


1. L'IDOLO DELLE FOLLE (1942) di Sam Wood
Vita, ascesa, trionfo e lutto (terribile) di Lou Gehrig, stroncato dalla malattia che porta il suo stesso nome. Un Eroe Americano per antonomasia, nato poverissimo, 'fattosi' da solo, arrivato al vertice e al successo. Il ritratto del Sogno Americano.




2. IL MIGLIORE (1984) di Barry Levinson
Il vecchio campione, dimenticato, malmesso, disulluso, a cui il destino riserva un'ultima chanche di gloria, che non si lascerà sfuggire. Redford ai suoi massimi livelli, Levinson dirige un film che fila liscio come l'olio, sui binari di una morale classica: il Grande Paese che offre a tutti una seconda occasione, una possibilità di riscatto.

3. BULL DURHAM, UN GIOCO A TRE MANI (1988) di Ron Shelton
La giovane promessa, la star in declino, la ragazza voluttuosa e passionale che s'innamora di entrambi. Sport, donne, sesso e tante, tante, risate: questa deliziosa commedia di Ron Shelton è un toccasana, un rimedio contro la depressione e lo stress. Un filmino 'perfetto', che funziona in ogni parte e che mette di buonumore, grazie anche a un trio di attori assolutamente straordinari.

4. L'UOMO DEI SOGNI (1989) di Phil Alden Robinson
Questo è uno di quei film che, personalmente, pur non considerandolo assolutamente un capolavoro, non mi stanco mai di vedere e rivedere. Forte, emozionante, genuino, onesto nel suo predicare un mondo migliore e giusto. Fatto di lealtà e fiducia, rispetto delle regole. Nello sport come nella vita.
'Se lo costruisci, lui tornerà...'. Impossibile non commuoversi.

5. MONEYBALL - L'ARTE DI VINCERE (2011) di Bennett Miller
La fine del Sogno vista attraverso le fredde statistiche di un computer, che non contemplano più passione, sentimento, trasporto. Lo sport è una scienza matematica, cinica, a cui non si può più sfuggire. Non ci sono occasioni, possibilità, speranza. Lo sport 'moderno' come sinonimo di una società asettica, senza più slanci e solidarietà. Film potente, duro, autentica sopresa dell'anno. In Italia lo vedranno in pochi, ma diventerà un cult.

martedì 24 gennaio 2012

COMUNQUE VADA... SARA' UN SUCCESSO (TRANNE CHE PER LEO ! )

Lo avevamo già detto parlando dei Golden Globes, e lo ribadiamo adesso che sono uscite le nominations all'Oscar: stiamo vivendo, cinematograficamente parlando, un'ottima annata, e le candidature di quest'anno (annunciate oggi dalla splendida Jennifer Lawrence, altro mio prossimo...amore cinefilo!) stanno lì a confermarlo: quest'anno a contendersi le statuette più preziose ci saranno tanti ottimi film, un'abbondanza di qualità come da tempo non se ne vedeva... anche, soprattutto, per la varietà dei temi trattati e gli stili più diversi.

Due le pellicole più 'nominate', quelle che verosimilmente si contenderanno fino all'ultimo il premio per il miglior film: noi, non ci nascondiamo, facciamo spudoratamente il tifo per The Artist. Il film del francese Michel Hazanavicius è stata la grande sorpresa dell'anno: una pellicola in bianco e nero, addirittura muta (!), con una coppia di attori straordinari e con una trama tanto semplice quanto emozionante, un tenero omaggio alla Hollywood degli anni '40, ma girata con stile sorprendentemente moderno... le dieci candidature ci stanno tutte, è un film che colpisce al cuore e ti fa uscire dal cinema con un sorriso: difficile chiedere di più!

The Artist
Il primato delle nominations però (ben undici), va a  Hugo Cabret di Martin Scorsese, che si preannuncia l'avversario da battere: curiosamente anche questo film cavalca i binari della nostalgia verso il 'cinema di una volta', omaggiando il grande regista George Méliès (il primo VERO regista della storia!) attraverso gli occhi di un piccolo orologiaio che vive nei bassifondi parigini... Scorsese si cimenta per la prima volta con il cinema per ragazzi, 'debuttando' con il  3D e facendo largo uso di effetti speciali, ma c'è da star certi che non sarà solo la 'confezione'  a piacerci. Lo vedremo comunque prestissimo sui nostri schermi, e ne parleremo diffusamente.

Hugo Cabret
Esce un po' ridmensionato dalle nominations invece Paradiso Amaro di Alexander Payne, che comunque si presenta con cinque candidature 'pesanti' e la stima dei giurati. Magari non vincerà, ma state certi che qualche premio importante lo porterà a casa. Poche speranze invece per War Horse di Spielberg (le sei candidature sono fin troppe, almeno per il sottoscritto...) e per gli altri film candidati, anche per la regia, dove spiccano ancora Midnight in Paris del redivivo Woody Allen e L'arte di vincere di Bennet Miller, oltre al già recensito The Help... tutti premiati ai Globes ma abbastanza snobbati dall'Academy.

Le vere (uniche) sorprese si registrano nella cinquina dei migliori attori dove, incredibilmente, vengono esclusi tre 'pezzi da novanta', pluripremiati nei vari festival: a cominciare dal Michael Fassbender di Shame e A dangerous Method, per proseguire con Ryan Gosling (l'uomo del momento, acclamatissimo in Drive) e, soprattutto, con Leonardo DiCaprio, ancora una volta clamorosamente (e scandalosamente, aggiungerei) dimenticato dai giudici dell'Academy per la sua viscerale interpretazione di J.Edgar Hoover nell'omonimo film di Clint Eastwood. Ormai è evidente che il 'povero' Leo ha ben pochi santi in paradiso...

L'arte di vincere
Finisce così che a giocarsi la statuetta saranno George Clooney, vedovo inconsolabile in Paradiso Amaro, che dovrà vedersela con l'amico Brad Pitt (ne L'arte di vincere), il Gary Oldman de La Talpa, la sorpresona Demian Bachir (A better life), e quello che a questo punto diventa il favorito numero uno: il bravissimo Jean Dujardin di The Artist.
Fra le donne, invece, lotta all'ultimo voto tra due 'stagionate' signore del grande schermo: la mai premiata Glenn Close (che si finge uomo in Albert Nobbs) e la premiatissima Meryl Streep, lady di ferro nella biografia di Margaret Tatcher. Attenzione però anche alla Viola Davis di The Help, film molto amato dalla critica.

The iron lady
Che cosa ci faccia Berenice Bejo nella cinquina delle NON protagoniste proprio non si sa... per chi ha visto The Artist, ditemi come si fa a non considerarla protagonista! E vabbè, stranezze degli Oscar. Qui comunque la Octavia Spencer di The Help parte favorita, mentre tra i maschietti potrebbe essere la volta buona per il veterano Christopher Plummer. Ma anche in questa categoria ci sono nomi eccellenti: da Max Von Sydow a Nick Nolte al Kenneth Branagh di My week with Marilyn... bella lotta, insomma.

Detto infine che Terraferma di Emanuele Crialese non è stato preso in considerazione per la cinquina dei film stranieri (dove il favorito d'obbligo è l'iraniano Una separazione), non ci resta che darvi appuntamento al 26 febbraio, giorno della premiazione, che tratteremo come sempre con grande spazio. Per il momento potete leggervi nel link qui sotto con calma tutte le candidature e cominciare a fare i vostri pronostici. Noi ci ripromettiamo, più avanti (quando avremo visto buona parte dei film candidati) di commentare le nominations con più... cognizione di causa.
Nel farttempo... buon divertimento!

TUTTE LE NOMINATIONS

THE VERSATILE BLOGGER AWARD

Questa poi! Chi se l'aspettava che Solaris potesse mai vincere un premio? E che premio... per me importantissimo perchè scelto dagli altri blogger, nella fattispecie addirittura QUATTRO!!! Vale a dire la brava Antonella di Ho voglia di cinema, il mio (quasi) concittadino Tommaso di Onesto e Spietato (vedi link), la dolce  Barbarella di Recensioni di Pancia (vedi link !) e, dulcis in fundo, Cecilia di La Tosca non è per tutti (vedi link) : che dire... vi voglio troppo bene e vi ringrazio della stima: e giuro che non sono ringraziamenti di rito: mi fa davvero tanto piacere! Per me i vostri 'Awards' sono meglio degli Oscar!

Chiaramente scherzo, però è carina l'idea questa simpaticissima 'catena di Sant'Antonio' consente di conoscere e far conoscere un sacco di altri blog carini, particolarissimi, ben fatti e molto, molto interessanti. E' un ottimo mezzo di diffusione, per far parlare di sè, oltre che un attestato di stima che attribuisco più volentieri.


Dunque, il Versatile Blogger Award ha due regole molto semplici:
1. Dovete elencare sette-cose-sette che vi riguardano di persona. Qualsiasi cosa!
2. Dovete a vostra volta premiare altri 15 blog (non uno di più, non uno di meno!)

Ovviamente, non sete obbligati nè a proseguire la catena, nè a rispondere... non m'interessa. La mia soddisfazione consiste solo nell'esprimere e palesare il mio apprezzamento nei confronti di altri 'colleghi' blogger. E sono felicissimo di farlo!

Ma andiamo con ordine. Ecco le sette cose che riguardano... proprio me!

- Sono uno che non è niente, come direbbe Pessoa, ma che grazie a questo può sognare di essere tutto. Anche se i sogni, si sa, muoiono all'alba...
- Non sopporto la gente che parla, parla, parla, parla... senza mai fermarsi. E che vuole apparire a tutti i costi, senza ritegno. Adoro le persone taciturne, riflessive, che PENSANO prima di parlare.
- Credo che su questo mondo ci debba essere spazio anche per chi non è 'eroe', per chi è 'diverso', o semplicemente non omologabile alla massa, alle persone 'normali'...
- Adoro la Storia e Fantascienza, perchè sono materie simili. Non sono ammattito: se ci pensate bene, entrambe servono a capire meglio il presente.
- Sono uno che ha fiducia nelle persone, anche a rischio di sbatterci la testa. Perchè come diceva Titta DeGirolamo ne Le conseguenze dell'amore'... 'non bisogna smettere di aver fiducia negli uomini. Il giorno che accadrà, sarà un giorno sbagliato'
- Adoro i mesi invernali, il freddo, i cappotti, il vento gelido. Perchè temprano. Ci si può stringere, abbracciarsi, tenersi compagnia. Al contrario odio l'estate, stagione finta, ingannatoria, foriera di false speranze.
- Amo il mio piccolo paese e la vita di paese. Mi piace viaggiare e conoscere posti nuovi, ma non immaginerei di vivere lontano da dove vivo adesso. Non sono uno 'da città'... ho bisogno del calore delle persone, di un saluto, un semplice gesto del vicino di casa...

 Ed ora, finalmente, ecco i 15 blog che premio. In rigorosissimo ordine alfabetico (cliccate sul nome per vederli).
Bravi, bravi tutti davvero!

CINEMA E...
CINEMAGNOLIE
CINEPOLIS
COMPONENTE INSTABILE
CONFESSIONI DI UNA LETTRICE PERICOLOSA
ENCHANTED FOREST
EYES WIDE CIAK
GIOVANE, CARINA E DISOCCUPATA
HO VOGLIA DI CINEMA
LIQUIDA
I CINEMANIACI
LE RECENSIONI DI ROBYDICK
MIDNIGHT DREAMS
NULLA DI PRECISO
SONO UNA DONNA...

domenica 22 gennaio 2012

BENVENUTI AL NORD

(id.)
di Luca Miniero (Italia, 2011)
con Claudio Bisio, Alessandro Siani, Paolo Rossi, Angela Finocchiaro, Valentina Lodovini
VOTO: **

E' la legge del mercato: dopo i quasi 30 milioni di euro incassati da Benvenuti al Sud, era inevitabile che avremmo dovuto sorbirci la 'partita di ritorno', a 'campi' invertiti, delle vicende della 'strana coppia' composta da Claudio Bisio e Alessandro Siani. La speranza era quella di non assistere soltanto a una fredda operazione di marketing, ma ad un prodotto, pur se non qualitativamente eccelso, quantomeno onesto e spensierato, capace di farci ridere senza troppi pensieri, speculando sui vizi italici come era successo nel 'primo capitolo'.

Speranza vana. Lo diciamo subito: Benvenuti al Nord non è che un pallidissimo sequel del primo episodio, privo di alcun guizzo di fantasia e dalla trama talmente scontata e 'telefonata' da far sembrare troppo lunga anche una pellicola che dura poco più di un'ora e mezza. Intendiamoci, non è che Benvenuti al Sud brillasse a sua volta per originalità: non per niente era un remake di un'altrettanto fortunata pellicola francese (Giù al Nord), ma con dialoghi e situazioni tipicamente nostrane, uniti a una  sceneggiatura coi fiocchi e scritta su misura per i due comici protagonisti.

Questo Benvenuti al Nord invece non prova nemmeno a strappare un sorriso allo spettatore ('nordista' o 'sudista' che sia): più che un sequel è una fotocopia ingiallita del primo film, dalla morale facile e scontata, le cui scene appaiono artificiose e forzate, palesemente costruite. Finisce quindi che il film ottiene esattamente l'effetto contrario di quello di partenza: anzichè provare rovesciare tutti gli stereotipi sul Nord (come era riuscito a fare nel primo episodio con quelli sul Sud), li riconferma ad uno ad uno senza sucitare alcuna ilarità. Solo una scena è davvero divertente e centrata: quando Mattia arriva a consegnare una raccomandata in una sede della Lega Nord e gli squilla il telefonino che ha come suoneria funiculì funiculà... unica concessione alla fantasia di tutto il film che, nemmeno troppo scherzosamente, rischia di rivelarsi solo un gigantesco spot a favore di Poste Italiane.

Tutto il resto è davvero noia, colpa anche di un impegno degli attori al di sotto delle attese (patetico Paolo Rossi in versione simil-Marchionne) e non sorretti da un canovaccio all'altezza: Bisio riesce ancora a far sorridere (più per la sua faccia che per le battute che pronuncia), Siani è quasi irritante nel suo voler scimmiottare Troisi a tutti i costi, Valentina Lodovini ha una funzione puramente ornamentale. L'unica a salvarsi è la sempre brava Angela Finocchiaro, ma neanche lei può sollevare le sorti di una commedia che, depurata da qualche sketch puramente televisivo e qualche scontatissima citazione (vedi l'arrivo a Milano stile Totò e Peppino), ha veramente ben poco da dire.

THE HELP

(id.)
di Tate Taylor (USA, 2011)
con Emma Stone, Viola Davis, Octavia Spencer, Jessica Chastain, Sissy Spacek
VOTO: ***

Jackson, Mississippi, 1963: la giovane e 'alternativa' Skeeter Phelan (Emma Stone), appena laureata, torna a casa e trova lavoro come cronista presso un giornaletto locale. A dir la verità all'inizio il suo compito è quello di rispondere alle lettere, ma ben presto la ragazza, scaltra e anticonformista, femminista ante-litteram, decide (ovviamente in disaccordo con tutti) di realizzare un reportage sulle domestiche di colore, retaggio di una schiavitù passata e testimonianza del razzismo ancora imperante nelle terre del Sud.

Vengono alla luce così le storie di due donne nere, la matura Aibileen Clark (Viola Davis) e la giovane Minnie Jackson (Octavia Spencer), diverse per età e per carattere ma accomunate dal colore della pelle e dai pregiudizi della borghesia locale. Skeeter si prende a cuore le vicende personali delle due, coinvolgendole in un progetto segreto che avrà come scopo quello di far uscire finalmente allo scoperto le discriminazioni razziali dell'epoca, mascherate da un ipocrita bon-ton. Logico il fine della pellicola: far riflettere lo spettatore sul razzismo e la condizione dei neri negli anni '60 per confrontarlo con la realtà di oggi. E scoprire, purtroppo con poca sorpresa, che almeno nella testa delle persone le derive razziste non sono poi così sopite...

The Help è comunque, prima di tutto, una storia di donne. Un film corale che vorrebbe raccontare con eleganza e stile una bella epopea tutta 'al femminile', oltretutto con l'ambizione di volersi inserire in quel filone di 'cinema sociale' che ha avuto in passato pellicole degne di nota e ben più di spessore (pensiamo a 'Il colore viola'). Il problema, però, è che tutto resta in superficie e quasi mai il film affonda nelle vere ferite del tempo, limitandosi a centellinare sprazzi di sincera emozione (e commozione) con siparietti comici inseriti ad arte per allentare l'atmosfera drammatica.

E così, alla fine dei 139 minuti di pellicola (che trascorrono non senza qualche sbadiglio), la sensazione è quella di un'opera incompleta, platealmente buonista pur se non stucchevole, zuccherosa e rassicurante al punto giusto per catturare l'interesse dell'Academy, che (potete starne certi) regalerà al film diverse candidature agli Oscar: scontate quelle alle due attrici nere, Viola Davis e Octavia Spencer, probabile quella a Emma Stone (ne ha fatta di strada dai tempi di Easy girl!), anche se però, alla fine, la più brava di tutte è la rediviva Sissy Spacek: il suo ruolo è poco più che un cameo, ma la classe è ancora cristallina... bentornata!

lunedì 16 gennaio 2012

GOLDEN GLOBES, VINCONO (PER UNA VOLTA...) I MIGLIORI

Una bella serata. Fatta di scelte eccellenti e vincitori importanti, come vorremmo sempre dai concorsi cinefili: la 69. edizione dei Golden Globes è andata in archivio, senza troppe sorprese e molte conferme. E va bene così, perchè l'elenco dei premiati è di tutto rispetto e, quel che conta, rispecchia in linea di massima quanto di buono si è visto nell'ultima stagione cinematografica: fatta eccezione, infatti, per un paio di titoli importanti ma troppo 'di nicchia' perfino per la stampa estera losangelina (di solito molto più 'liberal' rispetto ai 'parrucconi' dell'Academy), quali Miracolo a Le Havre e Faust, i film più belli del 2011 sono tutti qui. Davvero.

I vincitori: George Clooney, Michelle Williams, Meryl Strep, Jean Dujardin
Certo, come abbiamo già detto altre volte i Globes hanno il vantaggio (rispetto agli Oscar) di dividere i candidati in due categorie (drammatico e commedia/musical), e quindi permettono una scelta più ampia e variegata. Ma sul trionfo di The Artist e The Descendants c'è davvero poco da eccepire, in particolar modo per la splendida pellicola di Michel Hazanavicius, scintillante omaggio in bianco e nero alla Hollywood degli anni d'oro, interpretata da un manipolo di attori straordinari. The Descendants invece non è ancora uscito in Italia, ma arriverà presto (col titolo di Paradiso amaro). Le critiche d'oltreoceano parlano di una pellicola solida, sincera e commovente, che unisce lacrime e umanità, commozione e sentimento.

Martin Scorsese, miglior regista
Saranno sicuramente questi due film che si contenderanno gli Oscar il prossimo febbraio, e la grande sfida è già iniziata. Probabilmente The Descendants parte favorito, anche in virtù della famosa regola non scritta che vede l'Academy premiare, a parità di qualità, quasi sempre il film drammatico... ma del resto non è che poi The Artist sia molto più 'leggero', anzi! Noi comunque non abbiamo alcun dubbio: The Artist è il film dell'anno, la vera rivelazione di questa stagione e la migliore risposta a chi ritiene che oggi, al cinema come nella vita, sia necessario 'apparire' e dar fondo ad effetti speciali per piacere al pubblico. The Artist deve la sua magìa alla storia che racconta (semplice ma 'universale'), al fascino e la bravura dei suoi interpreti, a una sceneggiatura di ferro. Le armi essenziali della Settima Arte, da sempre.

Madonna, miglior colonna sonora per 'W.E.'
The Artist porta a casa quindi il premio come miglior film brillante, oltre a quello al suo splendido protagonista, il belga Jean Dujardin, nonchè la statuetta per la miglior colonna sonora. The Descendants invece vince tra i film drammatici, aggiudicandosi anche i riconoscimenti 'pesanti' per il miglior attore (George Clooney, bravissimo) e la miglior sceneggiatura. Perfetta parità quindi: tre Globes a testa, e ora la palla passa all'Academy. Il prossimo 24 gennaio, con l'annuncio delle nominations, tutto sarà più chiaro.

Non dimentichiamo però gli premi, cominciando da quelli alle interpreti femminili: anche qui due conferme importanti, a cominciare dall' 'eterna' Meryl Streep, vincitrice con The Iron Lady tra i drammatici, e dalla stellina (ormai fulgida) Michelle Williams, convincente 'sosia' di Marilyn Monroe in My week with Marilyn. Tra i registi è proprio il caso di dire che tra i due litiganti (Michel HazanaviciusAlexander  Payne) vince il terzo... e che terzo! Nientemeno che Martin Scorsese, premiato per Hugo Cabret, che già si preannuncia come una delle meraviglie dell'anno. A bocca asciutta o quasi, invece, l'acclamato The Help, che deve accontentarsi del premio all'interprete non protagonista (Octavia Spencer). Tra gli uomini vittoria del veterano Christopher Plummer per Beginners.

Detto poi del premio a Madonna per la colonna sonora di W.E., e del meritato riconoscimento tra i film stranieri all'iraniano Una separazione, non ci resta che 'catapultarci' fiduciosi, quindi, verso la magica serata degli Oscar. E dulcis in fundo (si fa per dire) il commento alla cinematografia italiana a questi Globes... molto semplice, si fa in due righe: non pervenuta. E anche questo vorrà dire qualcosa...

CLICCA QUI PER L'ELENCO COMPLETO DEI VINCITORI

venerdì 13 gennaio 2012

ARRIVA "SHAME", DIARIO DI UN SESSO-DIPENDENTE

C'è chi lo ha definito un film porno in piena regola, cammuffato da film d'autore. Altri lo hanno liquidato come un film estremo, perfetto per un festival. Altri ancora lo considerano un pugno nello stomaco, una pellicola in grado di smuovere le coscienze e il perbenismo ipocrita di quest'epoca.
Forse Shame non è niente di tutto questo... però è un film a mio avviso da vedere. Se non altro per un motivo: non è il solito film-scandalo messo lì solo per far parlare di sè e per dare un po' di 'pepe' ad un concorso cinefilo. Shame potrà non piacere, potrà disgustare, potrà indignare i 'benpensanti', ma certo non è un film vuoto, banale. E' un film 'vero', duro, sgradevole, che fa discutere e riflettere. E per questo, a mio avviso, merita la visione.
Lo avevamo già recensito in occasione della Mostra del cinema di Venezia (vedi link sotto), ma ho pensato di 'avvisarvi' in occasione della sua uscita nelle sale (oggi). E un doveroso ringraziamento alla BIM che lo ha distribuito in versione integrale... non era scontato.

SHAME - LA NOSTRA RECENSIONE

giovedì 12 gennaio 2012

EMOTIVI ANONIMI

(Les émotifs anonymes)
di Jean Pierre Ameris (Francia, 2011)
con Benoit Poelvoorde, Isabelle Carrè
VOTO: *

Emotivi anonimi è un film stucchevole come il (troppo) cioccolato che si vede negli ottanta minuti scarsi di durata, unico vero pregio di questa pellicola sottilmente perbenista e moralmente ipocrita, cammuffata da 'operina brillante' e minimale in perfetto algido stile francese. Viene da chiedersi, banalmente, chissà come mai quando commediole come questa vengono prodotte oltralpe godono sempre dei favori della critica, mentre se battessero bandiera nazionale verrebbero stroncate senza pietà (come per altro meritano). Ma è risaputo (purtroppo) che noi italiani, cinematograficamente parlando, ma non solo, siamo inarrivabili campioni di autolesionismo. C'est la vie, come dicono a Parigi.

Quello che più irrita di un film come questo non è tanto l'argomento, o la storia in sè, peraltro assolutamente scontata e prevedibile fin dal trailer (che in pratica dice già tutto), ed emozionante quanto un termosifone spento, quanto soprattutto l'ironia di fondo adottata nei confronti di certi aspetti caratteriali che condizionano non poco la vita di determinate persone, che vengono trattati con sufficienza e buonismo, indice prima tutto di indelicatezza e poi anche di scarsa sensibilità verso il problema.

La timidezza e l'introversia, infatti, non sono qualità. Sono lati della personalità che fanno soffrire tutte quelle persone nelle quali queste caratteristiche sono più accentuate della media, e che causano talvolta seri problemi sociali e relazionali. L'emotività in una persona timida può condizionarle la vita, può renderla difficilissima, costringendo quella persona a vivere ai margini e impedendole di esprimere ciò che ha dentro. E, quel che è peggio, il più delle volte queste caratteristiche vengono scambiate dalle persone 'normali' nel senso opposto, vale a dire ritenendo la persona introversa come 'snob' e spocchiosa, e perciò isolandola ancora di più. Ingiustamente.

Per questo non condivido l'ironia di questo film, che specula sul buonismo dello spettatore e gli propina la soluzione meno realistica e più banale: i due 'emotivi', miracolosamente, s'innamorano, scoprono di essere fatti l'una per l'altra e si dichiarano con forza e vigore il loro sentimento, spinti dalla passione. E tutti vivranno felici e contenti. Certe cose, davvero, capitano solo al cinema.

Emotivi anonimi è un piccolo film che nasce da una piccolissima idea, e che basa la sua 'forza' esclusivamente sulle peripezie di due figure umane 'diverse' che vengono esposte davanti alla macchina da presa alla stregua di fenomeni da baraccone, e che ci fanno stare tutti un po' meglio per il semplice fatto che non ci 'sentiamo' mai come loro.
E allora, se proprio dobbiamo ridere (e in questo momento, effettivamente, c'è bisogno di commedie) meglio davvero l'umorismo 'nazionalpopolare', meno 'raffinato', meno 'francese' ma senz'altro più genuino, di un Benvenuti al Nord o di un Verdone d'annata. Magari più grossolano, ma certamente più innocuo.

martedì 10 gennaio 2012

IL CINEMA CHE VERRA' - (PRE)VISIONI PER IL 2012

The Help
Siamo partiti con J.Edgar e chiuderemo con Lo Hobbit: da Clint Eastwood a Peter Jackson, il 2012 cinefilo si presenta (una volta tanto!) sotto i migliori auspici. Sono infatti tantissimi e variegati i film di un certo interesse che vedremo da qui a fine stagione, indice di un'abbondanza di scelte che ci fa ben sperare. Grandi kolossal (ma non stupidi e fracassoni), piccoli film d'essai, graditi ritorni di nomi attesi, lacrime e divertimento: con questo post cercheremo di mettervi... l'acquolina in bocca per i prossimi mesi e, se ci riesce, di darvi anche qualche buon consiglio. Quindi... prendete carta e penna!!

L'arte di vincere
Si comincia ovviamente da GENNAIO. Che per noi italiani (e cinefili) è un pò il 'mese' della rinascita dopo l'abbuffata natalizia da cinepanettone (anche se quest'anno un po' più magra, per fortuna). Anno nuovo, titoli nuovi: da oltreoceano arrivano The Help, grandioso affresco sulla schiavitù nera degli anni '50, in corsa per gli Oscar. Ma ci sentiamo di proporvi anche The Iron Lady, il biopic su Margareth Tatcher con una Meryl Streep in forma strepitosa. E ancora, direttamente dalla Mostra di Venezia, ecco La Talpa, firmato del regista svedese Thomas Alfredson e basato sull'omonimo romanzo di John LeCarrè, con un cast da capogiro: Gary Oldman, Colin Firth, Tom Hardy. Gli amanti dello spionaggio, così, sono serviti. Tutto da scoprire invece L'Arte di vincere (Moneyball), con Brad Pitt e Philip Seymour Hoffman: i film sportivi (e sul baseball in particolare, disciplina pressochè sconosciuta da noi) in Italia non hanno mai brillato, salvo rare eccezioni (L'uomo dei sogni, Bull Durham). Vedremo se la presenza del fascinoso Pitt servirà ad invertire la tendenza.
Guardando invece in casa nostra, risate garantite con Benvenuti al Nord: la coppia Bisio-Siani è pronta a sfondare ai botteghini con questo inevitabile sequel, voluto a furor di popolo e pronto nuovamente a scalare le classifiche. Cambiando totalmente genere, occhio a L'Industriale di Giuliano Montaldo, instant-movie sulla crisi economica interpretato dal gettonatissimo Pierfrancesco Favino (cinque film in uscità nel 2012!) e Carolina Crescentini.
Benvenuti al Nord

FEBBRAIO, come si sa, è il mese degli Oscar. Ed ecco quindi che, nel mese più corto dell'anno, si accavallano le uscite dei titoli importanti che si contenderanno le preziose statuette. E sono tanti: si va da Paradiso Amaro di Alexander Payne (quello di Sideways), con George Clooney vedovo inconsolabile e tormentato, a Molto forte, incredibilmente vicino di Stephen Daldry, ennesima riflessione sul massacro delle Torri Gemelle. Ed ancora, per chi ama le interpreti femminili, due grandi attrici che saranno protagoniste al Kodak Theatre: Glenn Close (graditissimo il suo ritorno) con Albert Nobbs, e la grande Tilda Swinton, che avevamo già visto lo scorso anno in Io sono l'amore di Luca Guadagnino e adesso la ritroviamo nel drammatico We need to talk about Kevin di Lynne Ramsay.Per gli amanti dell'avventura e del thriller, ecco invece Millennium di David Fincher, remake americano ispirato alla trilogia di Stieg Larsson, con Daniel Craig e Rooney Mara.
Ma il vero film-evento del mese, siamo pronti a scommetterci, non potrà che essere Hugo Cabret: la favola tridimensionale portata sullo schermo da Martin Scorsese, al suo esordio nel genere 'film per ragazzi' (ma sarà poi vero?), che ci farà rivivere la vita e le magìe del grande George Mèliés, in una pellicola che si preannuncia già 'cult'. Prenotatela!
Hugo Cabret
Ma anche noi italiani non staremo a guardare: Roberto Faenza ci presenterà il suo atteso Un giorno questo dolore mi sarà utile, tratto dall'omonimo bestseller di Peter Cameron, mentre un altro bel ritorno, quello di Marco Tullio Giordana, ci farà rivivere i misteri, gli intrighi e le vergogne di una 'strage italiana', quella di Piazza Fontana (Romanzo di una strage). Dulcis in fundo, per risollevarci un po' il morale dopo tanti titoli drammatici, niente di meglio che il nuovo Verdone, che torna sugli schermi con Posti in piedi in Paradiso. Ci auguriamo a buoni livelli...

Eva Green in 'Dark Shadows'
Anche a MARZO tanta Italia sugli schermi: torna un altro dei nostri 'pezzi da novanta', vale a dire Gianni Amelio con il suo Il primo uomo, ispirato al libro di Albert Camus, accompagnato a braccetto da Ferzan Ozpetek: il film si chiama Magnifica presenza, e si compone di un cast eccezionale: Elio Germano, Margherita Buy, Beppe Fiorello e Vittoria Puccini. Scusate se è poco... Sul fronte internazionale, dovrebbe (finalmente) arrivare Killer Joe del veterano William Friedkin (già visto a Venezia), mentre è molto attesa la nuova pellicola di John Madden: si chiama Marigold Hotel, tenero affresco sulla vecchiaia e la lentezza, interpretato da Judi Dench e Maggie Smith.
Lo Hobbit

La primavera invece è ancora lontana... ma ecco che si profila all'orizzonte Tim Burton e il suo attesissimo Dark Shadows, con Johnny Depp (te pareva!), Eva Green e Michelle Pfeiffer. E ancora il nuovo film di Matteo Garrone, uno strampalato musical (!) ambientato nei dintorni di Napoli (Big House). Le prime anticipazioni parlano poi anche di My week with Marilyn, con Michelle Williams nel ruolo femminile più 'pesante' in assoluto, dell'esordio della 'figlia d'arte' Amy Canaan Mann con Texas killing fields (anche questo a Venezia), dell'horror apocalittico The Hunger Games, con la bravissima (e bellissima) Jennifer Lawrence e, perfino, del remake in 3D del fortunatissimo Men in Black, di nuovo con la 'mitica' coppia Will Smith-Tommy Lee Jones... tutto questo in attesa, in inverno inoltrato, del primo 'evento' della stagione 2012/2013, vale a dire Lo Hobbit di Peter Jackson, prequel annunciato de Il Signore degli Anelli.

Insomma... ce n'è davvero per tutti i gusti. Buon cinema !!

sabato 7 gennaio 2012

J. EDGAR

(id.) 
di Clint Eastwood (USA, 2011)
con Leonardo DiCaprio, Naomi Watts, Judi Dench, Armie Hammer
durata 137'
VOTO :****
'Un vecchio rompicoglioni'. La definizione data da Richard Nixon all'appena defunto John Edgar Hoover, appena prima di andare a 'piangerlo' in diretta tv (ma senza dimenticarsi di perquisire il suo ufficio), la dice lunga sulla qualità della politica e della democrazia americana stile anni '70, in una nazione che aveva già 'perso l'innocenza' pochi anni prima, con gli assassini di John Fitzgerald Kennedy e Martin Luther King. Hoover era stato il fondatore dell' FBI, il custode assoluto di quasi mezzo secolo di segreti a stelle e strisce, l'uomo più temuto e rispettato del mondo, più degli stessi presidenti che gli si alternavano davanti (otto, in tutta la sua carriera).

Hoover era l'immagine della Ragion di Stato, l'emblema del 'fine che giustifica i mezzi', del marciume della politica che si adattava ad ogni compromesso pur di mantenere l'ordine e il potere, a qualsiasi costo. Oggi, a quarant'anni di distanza, George Clooney con le sue Idi di Marzo ci ha appena detto che poco è cambiato,  che il valore della democrazia si basa sempre sui parametri di chi la amministra, giusti o (più spesso) sbagliati che siano. Hoover infatti aveva un concetto del tutto personale di democrazia: odiava i 'comunisti' (anche se non ce n'erano), i 'negri' (anche se erano la fascia più debole), i pacifisti... tutta gente, a suo dire, pericolosa per lo stato e quindi da reprimere, con ogni mezzo.

Hoover era la figura che incarnava le stanze buie del Potere, i panni sporchi che si lavano in famiglia (azione anti-politica per eccellenza): aveva sdoganato le intercettezioni, la violazione della privacy, il principio del parziale mancato rispetto della persona umana in nome di un ideale più grande, in una concezione 'totalitaria' di Stato che, certo, mal si confaceva con la Nazione da sempre 'paladina' delle libertà personali e dei diritti umani. Era la prova vivente di un mondo che cambiava, di un'epoca che volgeva al termine. Logico, quindi, che un cineasta come Clint Eastwood non potesse restare indifferente a questa figura per certi versi 'mitica', simbolo di un Paese via via sempre più malato.

E infatti J.Edgar è un film 'eastwoodiano' al 100%, una dolente parabola (l'ennesima) sulla fine del Sogno Americano, dove il regista californiano riprende il discorso cominciato con Gli Spietati, Mystic River, Million Dollar Baby... tratteggiandolo con i caratteri di sempre: asciuttezza, rigore, onestà intellettuale. Si rimane sempre stupiti, infatti, della grande integrità morale che Eastwood ripone in ogni suo film: anche di fronte a personaggi squallidi e sgradevoli come Hoover, Clint mantiene sempre il suo sguardo imparziale e non preconcetto, limitandosi a descrivere e non a 'giudicare', tenendo sempre in considerazione, prima di ogni altra cosa, il rispetto per la persona umana.

Per questo, alla fine, il personaggio di Hoover appare meritevole quanto meno di pietà. Eastwood tratta lo Hoover 'politico' allo stesso modo di quello 'privato', evidenziandone i tratti basilari del suo carattere e sforzandosi di farcelo apparire il più umano possibile. Ne viene fuori la figura di un uomo incredibilmente solo (e, forse, la sua presunta omosessualità era più una forma di affetto per l'unica persona che gli stava vicino - il suo 'vice' Clyde Tolson - che un'effettiva attrazione sessuale...) e che riversava nel suo lavoro il concetto morboso di 'protezione' dello stato, esattamente come quello che era riservato a lui da una madre onnipresente e soffocante.

J.Edgar si conferma come l'ennesimo film importante di una carriera sterminata come quella di Eastwood. Ma va detto che buona parte della riuscita della pellicola va attribuita al suo protagonista, quel Leonardo DiCaprio che entra di diritto nell'Olimpo dei grandi di Hollywood (ma noi che lo conosciamo bene lo sostenevamo già, almeno, dai tempi di Prova a prendermi - 2002). DiCaprio è straordinario nel tratteggiare il carattere difficile e impenetrabile di un uomo così complesso. E malgrado un trucco assolutamente esagerato (unica nota stonata del film), riesce a rivelarsi sempre credibile ed efficace, fornendo un'interpretazione maiuscola. Vale la pena ricordare, a solo titolo di esempio, la drammatica scena della morte della madre di Hoover, in cui il figlio, straziato dal dolore, si mette ad indossare i vestiti della donna... avrebbe potuto venirne fuori una sequenza grottesca, cadendo nel ridicolo involontario: e invece la bravura di DiCaprio la rende uno dei momenti più toccanti del film.
Vedere per credere.

venerdì 6 gennaio 2012

ONORE A LEO

Forse questa volta ce la farà a convincere anche i più scettici: sepolto da chili di lattice, imbruttito, invecchiato, bolso, indisponente... nei panni di John Edgar Hoover, uno dei personaggi più mefistofelici e controversi del nostro tempo, Leonardo Di Caprio si gioca la carta più rischiosa della sua carriera: a 37 anni e con già 25 film sulle spalle, è arrivato per lui il momento di togliersi la 'maschera' da eterno adolescente e cimentarsi in quello che potrebbe essere il suo 'ruolo della vita', con cui mettere a tacere tutti coloro che lo ritengono ricco e famoso solo grazie al suo 'gentile aspetto'.

Solo i più disattenti e malfidati però credono questo. Noi Di Caprio lo conosciamo e lo stimiamo da sempre, e i tre lettori di questo blog lo sanno benissimo: a nostro modesto parere è uno dei migliori attori americani in circolazione, capace di non farsi travolgere da un successo clamoroso, cadutogli tra capo e collo in gioventù (parliamo di Titanic, ovviamente), e rimettersi sempre in discussione con pellicole difficili e controverse, spesso rischiose e di nicchia, alternando anche flop clamorosi (pensiamo a The Beach), ma non rinnegando nulla e tirando dritto per la sua strada. Con ottimi risultati.

Oggi Di Caprio è un attore all'apice della carriera: è diventato l'attore-feticcio di un 'guru' del cinema come Scorsese, ha lavorato per 'mostri sacri' di Hollywood come Steven Spielberg, Woody Allen, Ridley Scott e Clint Eastwood, e per cineasti emergenti e talentuosi come Christopher Nolan, Sam Mendes e Danny Boyle. Cavandosela sempre alla grande. Con J.Edgar darà, per l'ennesima volta, la rincorsa a quell'Oscar che l'Academy gli ha sempre (finora) negato, trattandolo con la spocchia e la sufficienza di un vecchio rancoroso.

Ma se non arriverà neanche stavolta, lui scrollerà le spalle e si ritufferà nel lavoro: per il prossimo anno è atteso ne Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann, e state certi che di questo film ne sentiremo parlare a lungo. E la statuetta prima o poi arriverà. E' solo questione di tempo.
Che, beninteso, è tutto dalla sua parte.



TITANIC (1997) di James Cameron
Non è il suo esordio, ma è inevitabile cominciare questa playlist da qui: il film di Cameron è stato un arma a doppio taglio per Di Caprio: travolto da un successo  inaspettato e clamoroso, croce e delizia della sua carriera, poteva uscirne con le ossa rotte... la sua collega Kate Winslet ci ha messo quasi dieci anni per riprendersi. Lui invece ha fatto subito gli anticorpi, cavandosela egregiamente.



BUON COMPLEANNO MR. GRAPE (1994) di Lasse Hallstroem
Al primo ruolo importante della sua carriera (e che ruolo! Difficilissimo: il fratellino ritardato del protagonista) non ci mette molto a rubare la scena a Johnny Depp... non uno qualsiasi. Di questo film tutti si ricordano solo di lui. Ottimo inizio.



ROMEO + GIULIETTA (1996) di Baz Luhrmann
Il film è ormai un piccolo cult, una specie di manifesto per le nuove generazioni. Lui è Romeo: giovane, selvaggio, bello come il sole e icona degli adolescenti. Rilettura postmoderna della più celebre opera shakespeariana. Stralunato, fracassone e riuscitissimo. E delizioso alla vista, ancora oggi.



PROVA A PRENDERMI (2002) di Steven Spielberg
Il più bel ruolo (finora) della sua carriera. In un film tanto bello quanto sottovalutato. Forse l'ultimo vero capolavoro di Steven Spielberg. In pochi capirono all'epoca il messaggio e l'importanza di questa magnifica pellicola, in bilico tra commedia, thriller, giallo e malinconia. Di Caprio interpreta Frank Abagnale, genio della truffa, falsario inafferrabile, inavvicinabile, idolo delle folle eppure drammaticamente solo. Da riscoprire assolutamente, per chi non lo avesse ancora visto.

GANGS OF NEW YORK (2002) di Martin Scorsese
Il film col quale ha inizio la collaborazione con Scorsese (che proseguirà con The Departed e Shutter Island). Forse non uno dei migliori del regista italo-americano, ma nulla da dire sulla performance del 'nostro'.  Sempre notevole.



REVOLUTIONARY ROAD (2008) di Sam Mendes
Di Caprio ritrova Kate Winslet, dopo undici anni si ricompone la 'coppia d'oro' di Titanic. I media sono unanimi nell'esaltare la gran 'prova d'attrice' di lei, vera protagonista del film. Pochi però si accorgono che il personaggio di Di Caprio è difficilissimo e impegnativo. E, soprattutto, molto meno attraente. Il ruolo del marito mediocre, insoddisfatto, ordinario e adultero è senz'altro molto meno 'ad effetto'. Però lui è bravissimo, impeccabile e glaciale. Straordinario.


J. EDGAR (2011) di Clint Eastwood
L'incontro con Clint Eastwood non poteva passare in secondo piano. Ne parleremo a breve. Però già dal trailer s'intuisce il gran lavoro di recitazione e immedesimazione del personaggio. Che, tra l'altro, è di nuovo sgradevole e mentalmente disadattato (un po' come in The Aviator).  Tutto si potrà dire di Di Caprio, ma certo non che sceglie ruoli 'comodi'.
E di questo bisogna dargliene atto.