sabato 24 marzo 2012

CESARE DEVE MORIRE

(id.)
di Paolo e Vittorio Taviani (Italia, 2012)
con attori non professionisti
VOTO: ****

Proviamo a farci una domanda e a rispondere onestamente: se non sapessimo che questo film NON è una vera fiction, e che gli attori sono invece detenuti VERI (sezione 'fine pena mai' del carcere di Rebibbia) sarebbe riuscito lo stesso a toccarci corde profonde del nostro animo?

La risposta, altrettanto onesta e ponderata, è sì, certo! Cesare deve morire è un film potente ed evocativo, coinvolgente, straordinariamente accurato dal punto di vista stilistico ed estetico. Il fatto che sia 'interpretato' da carcerati e girato integralmente dentro una prigione può senz'altro condizionarci emotivamente (e può farci vincere un Orso d'Oro dopo oltre vent'anni), ma nulla toglie al valore artistico di quest'opera, di assoluto rilievo.

La trama la conoscete tutti: un gruppo di detenuti rinchiusi in un carcere di massima sicurezza si appresta, volontariamente, a dare vita al Giulio Cesare di Shakespeare: ci rimetteranno tante ore d'aria e innumerevoli sguardi compassionevoli da parte della stessa polizia penitenziaria, ma alla fine su quel palcoscenico ci saliranno davvero. E tutto questo per merito di due 'toscanacci' burberi e poco socievoli che hanno trovato il coraggio (a 80 anni suonati...) di allontanare la loro dorata pensione e tornare dietro la macchina da presa. Con un grande e meritato successo (ovunque tranne che in Italia, però, dove il film è uscito in appena quaranta sale, e solo grazie alla benemerita Sacher di Nanni Moretti - vedi post sotto).

L'idea di alternare sequenze a colori (quelle relative alla rappresentazione) e in bianco e nero (quelle relative ai provini) è efficace e diretta, in quanto lo spettatore riesce subito a separare le parti 'pubbliche' dalle riflessioni intime dei detenuti, in un lavoro che sorprende per rigore e sobrietà: i Taviani infatti non speculano mai sulla particolarissima 'condizione' dei loro particolarissimi attori, ma si limitano a filmare il tutto con taglio documentaristico e  assolutamente non compassionevole, mettendo a risalto, ancora una volta, come sia 'l'arte' stessa a cambiare le persone e non viceversa.

Qui sta infatti la differenza tra questo film e altre pellicole similari per argomento: diversamente, ad esempio, dal Tutta colpa di Giuda di Davide Ferrario (dove era il testo letterario - in quel caso la Passione di Cristo - ad essere 'adattato' e rimodellato alle circostanze), in Cesare deve morire è l'opera stessa che viene rappresentata filologicamente sul palcoscenico, finendo per modificare le vite e le coscienze degli interpreti e finendo anche, questo sì, per toccare il cuore di noi spettatori nel vedere persone che, in alcuni casi, non vedranno mai la fine della loro prigionia, recitare un poema che parla di libertà. E non poteva esserci migliore conclusione della frase sussurrata da uno dei protagonisti, appena rientrato in cella dopo la rappresentazione: 'Da quando ho scoperto l'arte, questa cella è diventata una prigione'.

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