venerdì 15 giugno 2012

CINEMA DELLA CRISI

In principio fu Americani. Correva l'anno 1992, eravamo tutti esperti di borsa e mercati, il promotore finanziario era una delle figure più ambite della società, e qualunque titolo compravi la domanda non era 'se guadagnerà' ma 'quanto guadagnerà'. Erano i tempi, insomma, del boom finanziario e dei soldi facili, della speculazione folle che pareva essere la vera gallina dalle uova d'oro.

Eppure... eppure in quello stesso anno lo straordinario film di James Foley ci avvertiva che qualcosa non andava. Che non era tutt'oro quello che saltava agli occhi. Il capitalismo selvaggio porta alla competizione spietata, all'azzeramento sistematico di tutti i valori etici e morali, al cinico arrivismo di chi intende esercitare il Potere sulla classe dirigente. Ma pochi si rendevano conto che quell'economia strutturata sull'effimero era un gigante dai piedi d'argilla, una clamorosa bolla di sapone pronta a scoppiare di lì a un paio di decenni.

Vent'anni dopo, i nodi sono venuti al pettine. E il cinema, che segue inevitabilmente le tendenze, ha prodotto una serie di titoli che potremmo definire 'cinema della crisi'. Quasi un filone ormai, ovviamente acuitosi negli ultimi mesi, dove la stretta economica si fa sempre più drammatica. Per dirla alla Ricky Roma/Al Pacino:
"In questo mondo non c'è più posto per gli uomini. Questo non è un mondo per gente come noi [...] Non fa per noi. Non c'è più gusto. Siamo alla fine. Ecco cosa siamo, noi siamo una razza in estinzione!"


POSTI IN PIEDI IN PARADISO
Roma, XXI secolo. Padri separati, affitto arretrato, un appartamento da condividere e tanta, tanta solitudine. La commedia si adegua al nuovomondo, a suo modo. Un Verdone coraggioso e insolitamente sobrio. Film non riuscitissimo, ma lodevole.




TUTTI I NOSTRI DESIDERI
Dopo Welcome, un'altra ottima pellicola di Philippe Lioret, stavolta alle prese con banche e clienti dissanguati dalla crisi. Un dramma personale di una ragazza costretta a lottare contro una malattia tremenda e il cinismo della società. Tristemente plausibile.




COSMOPOLIS
Un viaggio travestito da incubo metropolitano e generazionale. La parabola di un giovane uomo d'affari che vede disgregarsi il suo impero, le sue certezze, la sua stessa vita. Tutto nel corso di una notte, dove rivoluzione e disgregazione (di valori e di fisico) convergeranno pericolosamente.


MARGIN  CALL
Il paradosso della new-economy: gigantesche multinazionali che si dissolvono nel giro di poche ore, stroncate da quello stesso circolo vizioso da loro innescato. Scatole vuote, imprese costruite sul nulla e che vendono il nulla, dove piccoli uomini si scannano a vicenda. Homo homini lupus.


L'INDUSTRIALE
In una Torino gelida, cupa, nebbiosa, livida, un imprenditore onesto e orgoglioso cerca di sopravvivere alla Tempesta finanziaria, come un novello Don Chishotte. Denaro che condiziona pubblico e privato, affetti e famiglia, con conseguenze inevitabili. 

1 commento:

  1. la principale differenza tra MARGIN CALL e COSMOPOLIS è che nel primo, realisticamente, i supercapitalisti CADONO IN PIEDI (il tracollo finanziario lo pagheranno i soliti fessi), mentre nel secondo (che è pura fantasia) il protagonista paga di persona, anche perché è spinto da un impulso autodistruttivo

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