sabato 30 marzo 2013

UN GIORNO DEVI ANDARE

(id.)
di Giorgio Diritti (Italia, 2013)
con Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Pia Englebert, Sonia Gessner
VOTO: **/5

Per una donna non c'è dolore più grande della scomparsa di un figlio ancora in grembo. E quando il dolore diventa intollerabile, la trentenne Augusta (una spenta Jasmine Trinca) decide di partire per l'Amazzonia nella speranza di ricostruire la sua vita. Raggiunge Suor Franca, una missionaria amica di sua madre, da sempre al fianco di una delle popolazioni più povere del pianeta. Augusta cerca nella dignitosa miseria di quella gente e nel sorriso tenero dei bambini la spinta per ricominciare: il percorso però costa fatica (fisica e mentale), sacrificio, dedizione. E nemmeno tutto questo sembra bastare per porre fine alle proprie sofferenze, per dimenticare una tragedia.

La trama di Un giorno devi andare, opera terza di Giorgio Diritti, è tutta racchiusa in queste poche righe. Eppure per buona parte del film lo spettatore non ne sa nulla. Vediamo sullo schermo una giovane donna perennemente imbronciata, scontrosa, insofferente, sempre con lo sguardo fisso a terra o perso nel vuot, a scrutare l'immenso e immutabile paesaggio primordiale che le si staglia davanti. Ci aiutano a capire solo le sporadiche 'incursioni' filmiche in territorio italiano, esattamente in Trentino, dove vivono la mamma e la nonna malata, entrambe assistenti laiche di un piccolo convento di montagna.

Prima, come detto, solo estenuanti sequenze di vita missionaria, a metà strada tra il reportage e il documentario. Un realismo esasperato, eccessivo, che finisce ben presto per annoiare e infastidire lo spettatore, che si aspetterebbe invece un film 'vero', fatto di personaggi, storie, dialoghi compiuti. Invece Un giorno devi andare è una pellicola noiosa e prolissa, incompiuta, sempre a metà strada tra il road-movie e il misticismo di maniera, ben lontana da quelle atmosfere allo stesso tempo solenni e ingannatorie che ritrovavamo ne Il vento fa il suo giro, il film d'esordio di Diritti.

Anche proseguendo nella visione, infatti, ci si interroga sul significato del film, sperando invano che possa trascendere dalla banalità che ci si presenta davanti agli occhi: il tema del viaggio come metafora di una ricerca di se stessi, di un punto da cui riprendere il cammino della vita, appare abbondantemente superato. Il ritmo è pesante, lentissimo, indigeribile. E anche il pistolotto ecologista no-global (i nativi che, attratti dai posti di lavoro nell'industria promessi dal governo, abbandonano le loro case e il loro mondo) è francamente visto e stravisto. Mancano le emozioni, la potenza evocativa e passionale che invece ci avevano fatto amare, ad esempio, un film come Re della Terra Selvaggia, anch'esso sicuramente imperfetto e per certi versi 'scombinato' eppure ben più trascinante e godibile.

Un giorno devi andare è invece una pellicola vecchia, retorica (specialmente nella parte 'italiana'), dove tutto resta uguale, triste, senza nemmeno un reale motivo. Lo sguardo perduto (l'ennesimo)  di Augusta nel finale sulla spiaggia è esattamente il nostro sguardo, reso incerto anche dalla palpebra che resta inesorabilmente abbassata.

mercoledì 27 marzo 2013

BRIT MARLING, OVVERO LA DONNA DEI DUE MONDI...


Non fosse stato per il suo vicino di casa, nonchè ex-fidanzato, a quest'ora rischiavamo di vederla con tailleur e tablet d'ordinanza in qualche convegno dove i grandi banchieri decidono le sorti del mondo. E in effetti nella sua vita, come vedremo, il destino del nostro pianeta avrà un ruolo fondamentale...

Ma no, che avete capito? Non stiamo parlando nè di una scienziata, nè di una manager rampante, nè di una politichessa in carriera (si può dire? boh...). Però Alexandra Brittany Marling, per tutti Brit, ventottenne di Chicago, laureata in economia a pieni voti alla Georgetown University, avrebbe potuto davvero diventare una di queste figure. Oppure anche tutte e tre insieme, considerando che stiamo parlando di un piccolo genio con le spalle ben coperte da una famiglia influente e benestante della upper-class americana: la logica vuole che la sveglia e intraprendente ragazzina venga subito reclutata dalla potente banca d'affari Goldman Sachs, pronta ad affidarle una poltrona importante come analista finanziaria.

Ma per una che al college studiava con profitto arte, recitazione e fotografia, non ci voleva molto a capire che l'idea di passare il resto della vita a incrociare bilanci sullo schermo di un computer non poteva essere la massima aspirazione. Oltretutto in un ambiente dove, per dirla con parole sue, "vedevo colleghi appassionarsi e trascorrere notti insonni discutendo della variazione del costo del rame... Ed ecco allora la decisione, la fuga, la consapevolezza che la vita è troppo breve per bruciarla con cose di cui non t'importa un fico secco".  

'Another Earth'
Meglio allora, romanticamente, seguire il cuore: nella fattispecie proprio... il ragazzo della porta accanto (nel senso letterale del termine, era il suo vicino di pianerottolo): il classico aspirante regista con pochi soldi e tante idee: lui si chiama  Mike Cahill, ama i documentari, e la convince (o la costringe, non  lo sapremo mai...) a raggiungerlo a Cuba dove sta girando Boxers and Ballerinas. Il film non sarà mai distribuito, ma la coppia si stabilisce per diversi mesi nell'isola caraibica dove Brit impara "ad essere felice con poco: non serve avere tante cose o tanto spazio, ma solo qualcosa in cui credere". E la leggenda racconta che, durante le romantiche serate passate insieme sotto il cielo stellato, la biondina suggerisce al suo boyfriend di girare un film 'vero', ovvero di finzione, proprio sul mistero dell'universo e l'affascinante teoria di un mondo 'doppio', perfettamente identico al nostro, dove un'altra vita è possibile e a tutti viene data una seconda possibilità... anche dopo una tragedia apparentemente definitiva.


Another Earth è nato così, con Brit che scrive la sceneggiatura e si ritaglia, ovviamente, il ruolo di protagonista. Mike dirige, produce, e cerca di vendere e far vedere il film in giro per il mondo. Finchè la 'pizza' non arriva nelle sapienti mani di Robert Redford che seleziona la pellicola per il suo Sundance Festival.
Il resto è storia recente: il film conquista immediatamente la platea, ottenendo ovunque significativi successi di pubblico e critica e diventando subito un piccolo 'cult' per gli appassionati di fantascienza.

'La frode'
Anche la faccia di Brit acquista un'improvvisa e meritata notorietà: lo sa bene lo stesso Robert Redford, che la porta con sè a Hollywood affidandole una piccola parte nel suo bel film La regola del silenzio. Da allora tutti gli Studios cercano di accaparrarsi le doti di questa biondina eterea, dallo sguardo penetrante e malinconico, apparentemente fragile ma determinata e forte come l'acciaio, assolutamente decisa a non svendersi al mainstream: "All'inizio mi proponevano solo ruoli di vittima carina in film horror di serie z...". Ma lei (che nel frattempo si è lasciata con Mike), continua a scrivere sceneggiature e inventare nuovi soggetti, dimostrando anche al più scettico dei produttori californiani di essere una bella testolina pesante... eccome!

Al Festival di Locarno, alla prima di 'Another Earth'
E così, mentre sta finendo di scrivere il copione di Sound of my Voice (che sarà acquistato e distribuito dalla Fox), ecco la chiamata per svolgere il ruolo della figlia in carriera di Richard Gere nel thriller finanziario Arbitrage (da noi distribuito come La Frode): quasi un ritorno alle origini! Ma non è certo finita qui, dato che la dobbiamo ancora vedere nella mega-produzione fantascientifica Oblivion, a fianco di Tom Cruise, e nel drammaticissimo The East dove reciterà accanto ad Alexander Skarsgard. Ormai è una delle attrici (e scrittrici) più quotate e desiderate di Hollywood, ma lei del successo non si cura... considerandolo solo come un momento di vita, più o meno aleatorio: "Cerco di stare con i piedi per terra, perchè nel mio lavoro ho sempre questa sensazione di 'positiva insoddisfazione' che mi guida. Mi piace la sfida, e il fatto di non essere troppo sicura di cavarmela. Almeno finchè non ce l'ho fatta!".
Elementare, Brit!

lunedì 25 marzo 2013

LIEBSTER BLOG AWARD 2.0 - WINNER !!

Squillino le trombe, rullino i tamburi!!
Per quanto impossibile sembri al sottoscritto, pare proprio che anche a Solaris sia toccato vincere un premio... e che premio! Non scherzo: ne sono felice, e devo ringraziare pubblicamente le carissime Arwen Lynch de La Fabbrica dei Sogni , Valentina Orsini di Criticissimamente, la tenera Sid di What you believe..., il bravissimo Denny B di Scrivenny e (questo è proprio il premio più inaspettato!) addirittura Paola di EppiMakeUp (un blog che si occupa di trucco! ) che mi hanno conferito il Liebster Blog Award, ovvero un simpatico riconoscimento che ha un duplice valore: apprezzare il tuo lavoro e i tuoi sforzi per portare avanti il tuo piccolo blogghino e, nel contempo, contribuire a farlo conoscere nei meandri della blogsfera. Quindi grazie grazie grazie!
Ma ora viene il bello: scopo del Liebster Blog Award è il dovere fatto ai 'vincitori' di proseguire questa simpatica catena di S.Antonio (per una volta innocua!). E invito davvero i miei 'vincitori' a cimentarsi in questo piccolo sforzo che, ripeto, è solo ed esclusivamente a fin di bene: trovare nuovi amici e collaboratori e 'pubblicizzare' gratuitamente il tuo sito. Insomma, non ci sono controindicazioni!
Ed ecco dunque le sei ferree regole del concorso:

1) Ringraziare chi ti ha assegnato il premio citandolo nel post (mi sembra il minimo!)
2) Rispondere alle undici domande poste dai blogger che ti hanno premiato
3) Scrivere undici cose su di te
4) Premiare undici blog che abbiano meno di 200 followers (importante!)
5) Formulare altre undici domande a cui dovranno rispondere gli altri blogger
6) Informare i blogger del premio

E ora, esaurita la parte 'burocratica', ecco le mie risposte ad Arwen e Valentina  (a Denny B, che è arrivato per ultimo, risponderò direttamente sul suo sito):

Risposte a Arwen Lynch:
1) Perchè sei presente sul web attraverso un blog? Cerchi la notorietà?
- Assolutamente no! Alla base c'è il desiderio di scrivere e provare a fare, nella maniera più dilettantesca possibile, quello che avevo sempre sognato da bambino. Non sono diventato giornalista (per mia esclusiva colpa), ma così posso far finta di esserlo... :)
2) Quale film metteresti nell'olimpo e quale butteresti dalla torre?
- Domanda troppo difficile, impossibile dare una risposta secca. Diciamo che ce ne sono molti, di entrambe le categorie. Cinematograficamente parlando sono uno 'passionale', e i miei giudizi spesso sono netti...
3) Il regista che hai amato e che ora non ti piace più perchè ti ha deluso?
- Come sopra... ce ne sono diversi. Ma se proprio devo dare una risposta dico Steven Spielberg.
4) La musica che ami ti ha influenzato nella vita?
- Non sono un esperto nè un grosso appassionato di musica. Ascolto quello che capita e in base all'umore del momento, quindi non ho una mia 'colonna sonora' personale.
5) Le tre cose fondamentali senza le quali non potresti vivere.
- Le persone che amo, perchè sono poche e per me preziosissime. La passione per il cinema, che mi ha sempre aiutato nei momenti bui della vita (e ci riesce ancora). La salute, per ovvie ragioni...
6) Il tuo piatto preferito?
- Il baccalà alla livornese, troppo buono!
7) Qual è l'errore che hai fatto e di cui ti sei pentito della scelta che hai fatto?
- Non aver proseguito gli studi e non aver fatto l'università. Me lo rimprovero ogni giorno.
8) Qual è stata la cosa più trasgressiva che hai fatto?
- Sono un tipo molto 'ordinario', diciamo... qualche furtarello al supermercato per non fare la coda alla cassa (faccio ridere, lo so...)
9) Qual è la cosa che ti rende più felice? E quale la più triste?
- Saper stare bene in compagnia delle persone che amo. Per contrappasso, odio la solitudine.
10) Qual è il politico che ti fa incazzare di più? E perchè?
- Fini, Casini, Monti e tutti i 'cerchiobottisti' in generale (che da noi si chiamano 'moderati'), quelli che non si schierano mai pubblicamente e si dicono 'buoni per tutte le stagioni'...
11) Faresti un video cantando a squarciagola la tua canzone preferita postandola su YouTube?
- Assolutamente... no!

Risposte a Valentina Orsini:
1) Come ti è venuto in mente di aprire questo blog?
- Vedi sopra... :)
2) La prima cosa che ti viene in mente se dico excelsior?
- L'oceano di Solaris, ovvero la paura dei propri errori...
3) Cinema è...?
- Un ottimo rimedio al malumore e un ottimo motivo per sognare!
4) Il film che vedresti per il resto della tua vita senza intervalli e senza mai abbassare il volume?
- Beh, se questo blog si chiama Solaris ci sarà un motivo! :)
5) Se potessi dire qualcosa al tuo attore o regista preferito, cosa gli diresti?
- A Jodie Foster (attrice) direi semplicemente 'grazie di esistere'! A Clint Eastwood o Michael Mann (registi) abrogherei la possibilità di andare in pensione!
6) Il concerto più bello della tua vita?
- Capodanno 2000 a Sarnico (Bg): Davide Van De Sfroos
7) La canzone più brutta che ti è mai capitato di sentire in macchina?
- Ultimamente Fabri Fibra: un italiano che fa rap è come un nero che canta le canzoni di Al Bano...
8) Se la tua vita avesse una colonna sonora quale sarebbe?
- Non saprei davvero... non è una risposta diplomatica, ma non capisco molto di musica. Purtroppo.
9) Volere è potere, ci credi?
- Vorrei crederci, ma sono troppo debole per convincermene...
10) La recensione più bella che hai scritto?
- Quella di 'The Social Network', perchè è un film che mi è entrato nel cuore come una lama. L'unico vero capolavoro (finora) del nuovo millennio...
11) Ora che sei sfinito per tutto ciò che ti ho costretto a fare, puoi anche dirmi quello che ti passa per la testa!
- Come Machiavelli si spogliava degli abiti mondani per mettersi i vestiti nobili alla sera, io grazie al blog e ai miei lettori mi sento davvero a mio agio, a casa mia, tra ottimi amici.

E adesso... undici cosine su di me!

- Sono uno che non è niente, come direbbe Pessoa, ma che grazie a questo può sognare di essere tutto. Anche se i sogni, si sa, muoiono all'alba...
- Non sopporto la gente che parla, parla, parla, parla... senza mai smettere. E che vuole apparire a tutti i costi. Adoro le persone taciturne, riflessive, che pensano prima di aprire bocca.
- Credo che su questo mondo ci debba essere spazio anche per chi non è 'eroe', per chi è 'diverso', o semplicemente non omologabile alla massa. Per le persone 'normali'.
- Adoro la storia e la fantascienza, perchè sono materie simili. Se ci pensate bene, entrambe servono a capire meglio il presente.
- Sono uno che ha fiducia nelle persone, anche a rischio di sbatterci la testa. Perchè come diceva Titta de Girolamo ne 'Le conseguenze dell'amore': "non bisogna smettere di avere fiducia negli uomini. Il giorno che accadrà, sarà un giorno sbagliato".
- Adoro i mesi invernali, il freddo, i cappotti, il vento gelido. Perchè temprano. Ci si può stringere insieme, abbracciarsi, tenersi compagnia. Al contrario odio l'estate, stagione finta, ingannatoria, foriera di false speranze.
- Amo il mio piccolo paese e la vita di paese. Non sono uno adatto alla città, ho bisogno del calore delle persone, di un saluto, di un semplice gesto del vicino di casa...
- Quando sto bene amo passeggiare da solo, ricordando e rivivendo quegli episodi che mi hanno fatto felice
- Sono una persona timida, introversa, uno che non noteresti nemmeno se fossi l'unica persona in mezzo a una stanza vuota. Però se entro in confidenza con qualcuno, faccio di tutto per aiutarlo a star bene. Magari non ci riesco, ma ci provo.
- Faccio il bancario: un mestiere che, per farlo bene, basta saper contare fino a cento, come diceva un mio ex-titolare... e purtroppo aveva ragione.
- Ho una sola malattia cronica, incurabile: il calcio. Specialmente il calcio minore, quello dove milita la squadra del mio paese (serie C), di cui sono segretario/addetto stampa/factotum. D'altronde se a quarant'anni mi sobbarco ogni domenica centinaia di km di trasferte... non puoi essere sano! Però ci tengo a dire una cosa: il calcio è uno sport bellissimo e crudele, come la vita. E  non va confuso con tutto quello che gli gravita intorno...

Ed ecco, finalmente, gli undici blog che mi sento di premiare: in rigoroso ordine alfabetico!!

IL BOLLALMANACCO DI CINEMA
I CINEUFORICI
IL CINEFILANTE
CINQUECENTO FILM INSIEME
CRITICISSIMAMENTE
LA FABBRICA DEI SOGNI
HO VOGLIA DI CINEMA
IN CENTRAL PERK
LIFE FUNCTIONS TERMINATED
LE MARATONE DI UN BRADIPO CINEFILO
WHAT YOU BELIEVE TO BE TRUE IS EVERYTHING

Infine... ci sarebbe l'ultima parte del giochino. Cioè le mie undici domande per i blogger premiati.
Però, siccome sono esausto :) e, per carattere, non mi piace farmi troppo gli affari altrui, ho pensato di fare un piccolo strappo alla regola, concedendo a chi lo vorrà la possibilità di parlare liberamente di sè senza bisogno di domande specifiche.
Insomma: siete liberi di fare e raccontare tutto quello che volete. Tema libero!
L'importante è diffondere questi bei siti e farsi conoscere, non tanto per notorietà personale, ma solo ed esclusivamente (almeno per quanto mi riguarda) per conoscere nuovi amici e scambiare discussioni cinefile sempre più interessanti.
In fondo, questo è lo scopo di internet...
Un abbraccio virtuale a premiati e premiandi !!!

sabato 23 marzo 2013

GLI AMANTI PASSEGGERI

(Los amantes pasajeros)
di Pedro Almodòvar (Spagna, 2013)
con Javier Camara, Raul Arevalo, Carlos Areces, Cecilia Roth, Hugo Silva, Lola Duenas, Antonio De La Torre, Jose Luis Torrijo, Miguel Silvestre, Laja Martì
VOTO: **/5

Tutto sa di vecchio nell'ultimo film di Pedro Almodòvar, a cominciare dai titoli di testa in rigoroso stile anni '80: dopo il clamoroso flop commerciale del coraggioso e disturbante La pelle che abito, è evidente e comprensibile il desiderio di Don Pedro di tornare ad atmosfere a lui più congeniali, a quella commedia surreale, strampalata e liberatoria degli esordi che tanta fortuna gli avrebbe riservato negli anni a venire. Il problema però è che i tempi sono cambiati, così come i gusti e le aspettative del pubblico: e non è detto che ciò che andava bene trent'anni fa sia ancora garanzia di successo, specie se riproponi stancamente un repertorio ormai fin troppo consolidato, che davvero non riesce a sorprendere più nessuno...

L'impressione che si ha vedendo Gli amanti passeggeri è di un film arrivato fuori tempo massimo, sospeso tra nostalgia e incredulità, dove è soprattutto la noia a farla da padrone. Almodòvar usa la tecnica del 'teatro da camera' per propinarci una specie di reality-show tutto ambientato dentro un aereo in avaria che sta cercando disperatamente un aeroporto dove atterrare. La metafora con la Spagna di oggi, colpita inesorabilmente dalla crisi economica, è facile e scontata: la Spagna è proprio come quell'aereo alla deriva, che gira su se stesso senza riuscire a trovare una pista d'emergenza, e dove la fascia più debole della popolazione è ormai anestetizzata e fuori dai giochi, esattamente come i passeggeri di seconda classe, addormentati con un sedativo e ignari del loro destino.

Gli unici consapevoli della gravità della situazione sono i viaggiatori della business-class, dove troviamo esponenti di varia umanità: una quarantenne sensitiva e ancora vergine, una ex-pornostar, un sicario di professione, una coattissima coppia in luna di miele, un uomo d'affari corrotto, un attore di mezza tacca donnaiolo e libertino. Aggiungete il personale di servizio tutto al maschile e ovviamente omosessuale (potevano mancare i gay in un film di Almodòvar?), il pilota bisex e padre di famiglia, il suo assistente fieramente etero (ma sarà poi vero?) e il campionario è completo... tra quei sedili c'è tutta la società moderna, troppo inetta per rimboccarsi le maniche e capace solo di sballarsi e lasciarsi andare ai piaceri del sesso...

Così, tra steward che ballano I'm so excited, amplessi in toilette, un po' di sano sesso orale, con mescalina e tequila a fiumi per obnubilare la mente, il film riesce a stiracchiarsi per novanta faticosissimi minuti, nei quali non si fa altro che rimpiangere tutta la 'follia' eversiva e geniale dell'Almodovar prima maniera, della quale davvero non rimane più traccia. La trasgressione ha lasciato spazio alla trivialità, al pessimo gusto, a dialoghi volgari e imbarazzanti che riescono solo ad allontanare l'attenzione di chi guarda.

Un brutto passo indietro per la carriera di Almodòvar, incapace di svolgere un compitino facile facile e non riuscendo a farci ridere nemmeno una volta: perfino la sitcom televisiva Piloti, con Bertolino e Max Tortora, era più divertente di questa pellicola banalotta, scurrile e senza spina dorsale, nella quale si salvano solo gli attori che interpretano i passeggeri, bravi e poco conosciuti, molti dei quali veri afcionados del regista. Patetico invece il prologo iniziale con Banderas e la Cruz, malati di presenzialismo e quasi irritanti nella loro insignificanza.

mercoledì 20 marzo 2013

LA FRODE

(Arbitrage)
di Nicolas Jarecki (USA, 2012)
con Richard Gere, Susan Sarandon, Brit Marling, Tim Roth, Laetitia Casta
VOTO: ***/5

La frode è solo l'ultimo titolo in ordine cronologico di un filone che, su queste stesse pagine, avevamo ribattezzato a suo tempo 'cinema della crisi' (vedi qui). Crisi intesa ovviamente in senso assoluto: non solo, cioè, a livello economico, ma anche di valori, di cultura, di etica. Di questo parla il film di Nicolas Jarecki, indubbiamente figlio del nostro tempo: di una società ormai totalmente asservita al dio denaro, capace di condizionare le esistenze e i comportamenti della totalità dei suoi componenti.

E' infatti impossibile trovare anche un solo personaggio positivo in tutto il film, a cominciare dal suo protagonista: Robert Miller, un affermato, maturo e affascinante uomo d'affari, apparentemente irreprensibile (tanto da meritarsi le copertine dei giornali) sta per vendere il suo impero finanziario ad una potente banca d'affari americana. Ufficialmente per ritirarsi a vita privata e dedicarsi di più a moglie e figli, nella realtà per cercare di salvarsi dalla bancarotta coprendo le perdite col ricavato della transazione (l' arbitraggio del titolo originale). La pellicola è la cronaca romanzata di una corsa contro il tempo, quella che Miller è costretto a sostenere per evitare che venga scoperto il clamoroso buco di bilancio da lui stesso provocato.

Il film non è proprio originalissimo (non a caso, appunto, appartiene a un filone preciso) tuttavia bisogna dire che funziona alla grande come thriller finanziario: un robusto film di genere senza fronzoli e con le idee chiare, capace di mantenere sempre alto il ritmo e senza alcun momento di stanca. Senza spoilerare, possiamo dirvi che nel primo quarto d'ora vengono calati immediatamente tutti gli elementi chiave ai fini della storia: scopriamo così una giovane amante, un terribile incidente d'auto, la strana telefonata a un ragazzo dei bassifondi di Harlem, l'entrata in scena della polizia che, manco a dirlo, complicherà tutto...

Tuttavia, come detto, in questa storia davvero non ci sono 'buoni' ma solo 'cattivi': non fanno infatti miglior figura nè l'avida moglie del magnate, nè la rampantissima figlia in carriera, nè (perfino) il detective incaricato di far luce sul fattaccio. Tutti hanno qualche scheletro nell'armadio e molti interessi particolari da difendere. Messaggio alquanto banale: con i soldi si riesce sempre a coprire tutto, e alla fine nessuno può scagliare la prima pietra. Bravissimo Richard Gere, in un ruolo finalmente diverso dal solito, e brave anche Susan Sarandon (la moglie) e la bellissima figlia Brit Marling, già ammirata nel poetico e filosofico Another Earth. Mentre Tim Roth, dal canto suo, sembra davvero nato per fare il poliziotto.

Peccato soltanto per il finale insulso, ipocrita e moralista (vedere per credere), e intriso (ce ne assumiamo la responsabità) da un bieco femminismo d'annata... Per il resto La frode scorre via liscio come l'olio, permettendo allo spettatore di assistere a un buon prodotto medio di livello, impreziosito dalle performances degli ottimi attori protagonisti, con la speranza di far aprire gli occhi a tutti riguardo il dilemma di un pianeta e di una classe sociale e politica ormai sempre più 'scollegata' con il paese. Insomma, non un capolavoro, ma possiamo farcelo bastare.

domenica 17 marzo 2013

ANNA KARENINA

(id.)
di Joe Wright (GB, 2012)
con Keira Knightley, Jude Law, Aaron Johnson, Kelly MacDonald, Matthew MacFayden
VOTO: ***/5

Una sola, bellissima idea: ambientare l'intero dramma di Anna Karenina in un vecchio e decadente teatrino della Russia zarista, simbolo evidente del declino storico e culturale di una nazione che si stava avviando a un doloroso capolinea. L'ennesima versione cinematografica del romanzo di Tolstoj è così 'concentrata' nell'angusto spazio di un palcoscenico, quasi come un millimetrico passo di danza, e ci riporta a discussioni d'altri tempi: quelle sulla liceità e il bisogno del 'teatro filmato', spacciato come cinema... basti pensare all' Amleto di Sir Laurence Olivier, contestatissimo premio Oscar nel 1948 o, più recentemente, al Dogville di Lars Von Trier. Può, cioè, considerarsi cinema a tutti gli effetti la ripresa di una rappresentazione teatrale, per quanto sapientemente illuminata dalla fotografia di Seamus McGarvey, che contribuisce molto a restituirci quell'atmosfera rarefatta e irreale, ben in linea con l'artificiosa e ipocrita alta società dell'epoca?

Sono domande che lasciamo volentieri ai 'puristi'. A noi interessa parlare del film (o del teatro, se preferite). Che, al netto della sontuosa confezione che innegabilmente colpisce e affascina lo spettatore, non aggiunge poi molto alla tragica vicenda dell'aristocratica e infelice Anna (una sempre più brava Keira Knightley, ormai attrice-feticcia del regista, nevrotica, ossuta, dolente e splendidamente in parte), costretta a dividersi tra un matrimonio infelice (quello con Aleksej Karenin - Jude Law - ufficiale governativo) e l'amore impossibile e senza futuro con l'affascinante conte Vronskij (interpretato dal seducente Aaron Johnson). Una passione dirompente e perversa, senza possibilità di redenzione, eppure così travolgente da sovvertire le rigide regole sociali dell'epoca. Fino all'autodistruttiva catarsi finale, lungo i gelidi e oscuri binari di una stazione di provincia...

Il film di Joe Wright fila via lento e compassato come i treni che aprono e chiudono la storia. Per questo noi spettatori possiamo tranquillamente soffermarci sugli splendidi costumi d'epoca, le mirabilanti scenografie, l'avvolgente partitura musicale del nostro Dario Marianelli, senza timore di perdere alcun elemento di una storia assolutamente classica e senza sorprese. Ma, appunto, tolta tutta la parte 'scenica', alla fine si fa un po' fatica a comprendere il bisogno di una versione cinematografica che, dal punto di vista narrativo, aggiunge veramente poco a quanto ci si aspetta. E' un po' il destino di tutti i grandi classici del cinema: dopo tante e tante versioni, onestamente qualche sbadiglio affiora se in tutta la pellicola non c'è alcun elemento di novità, qualcosa che possa farci ricordare una messinscena almeno un po' diversa da quelle che l'hanno preceduta.

Ecco, nel film di Wright questo 'qualcosa' non c'è: se vi accontentate di un robusto drammone in costume e volete perdervi nella vacuità dell'epoca zarista, allora questo è ciò che fa per voi. Magari con una buona tazza di camomilla tra una scena di ballo e l'altra...

lunedì 11 marzo 2013

GANGSTER SQUAD

(id.)
di Ruben Fleischer (USA, 2013)
con Josh Brolin, Sean Penn, Ryan Gosling, Emma Stone, Nick Nolte, Giovanni Ribisi, Robert Patrick
VOTO: **/5

Non è detto che se hai tanti fuoriclasse in squadra poi riesci a vincere le partite. Perchè se non sai come metterli in campo è come guidare una Ferrari su una strada sterrata: uno puro spreco di energie e di soldi. Ecco, Gangster Squad è esattamente questo: tanti garndi nomi senza un allenatore capace, che dopo un inizio promettente e qualche scena a effetto non sa più da che parte andare a parare. Ed è un vero peccato per un film che era considerato uno dei più attesi della stagione, proprio per il cast da capogiro che impiega e l'esplicito omaggio ai gangster-movie del passato, che tanta fortuna hanno portato al cinema americano.

Ambientato nella cupa Los Angeles degli anni '50, il film racconta la storia di un gruppo di poliziotti che vengono selezionati per dare la caccia al potente boss mafioso Mickey Cohen, con l'obbligo di restare in incognito e di usare ogni mezzo (anche illecito) pur di assicurarlo alla giustizia, vivo o morto. Il riferimento a Gli Intoccabili di Brian DePalma è evidente, così come il tentativo di rifarsi alle plumbee atmosfere dei romanzi di James Ellroy. Il problema è che il 38enne regista Ruben Fleischer, mal supportato anche dalla medriocre sceneggiatura di Will Beall, non ha certo il talento visivo e la 'poetica della violenza' di Michael Mann: la sua pellicola infatti gira subito a vuoto, riciclando scene e situazioni dei grandi capolavori del passato, ma senza alcuna visione d'insieme. Ne viene fuori un confusissimo calderone di luoghi comuni, che non emoziona mai e finisce per essere addirittura noioso e ripetitivo, cosa che per un film d'azione suona come  una condanna a morte...

Il cast, come dicevamo, è notevole. Ma utilizzato malissimo: il luciferino Sean Penn, che interpreta Mickey Cohen, è sempre sopra le righe e sembra la caricatura di se stesso. I vari componenti della 'squadra' (Josh Brolin, Ryan Gosling, Giovanni Ribisi, Robert Patrick...) sembrano tante figurine di un album incompleto, tali da non smuovere alcun interesse verso lo spettatore, annichilito da uno script banale e dove tutto è già visto, dall'inizio alla fine. La bella Emma Stone, stereotipatissima 'pupa del gangster', fa quasi ridere per la sua inadeguatezza al ruolo, vestita come Jessica Rabbit e con quegli occhioni enormi che non sanno mai dove guardare. Anche la fotografia di un maestro del genere come Dion Beebe, che ci aveva entusiasmato in Collateral di Michael Mann, qui è francamente 'esagerata' e  fuori contesto: tutto il film è pervaso da una luce insopportabilmente nitida e patinata, con colori sgargianti e troppo accesi, che lo fanno assomigliare più a un fumetto che a un noir.

Insomma, una grande occasione perduta. Un film assolutamente anonimo, adatto per una tranquilla visione casalinga e per un pubblico senza troppe pretese. Non sarà brutto, ma è fondamentalmente inutile.
Se avete voglia di emozioni vere, meglio rivedersi Gli Intoccabili. L'originale, naturalmente.

sabato 9 marzo 2013

SPRING BREAKERS

(id.)
di Harmony Korine (USA, 2012)
con James Franco, Selena Gomez, Vanessa Hudgens, Ashley Benson, Rachel Korine, Heather Morris
VOTO: */5




Spring breakers, ovvero vacanze di primavera. Non è fondamentale saperlo, ma pare (?) che negli Stati Uniti sia usanza degli studenti (in particolar modo di quelli sexy, prestanti e palestrati) di fuggire ogni anno verso le bianche spiagge della Florida per concedersi una settimana di baldoria a tutto sesso, droga & rock'n roll negli eleganti residence dello stato più 'solare' d'America.

E' così che quattro giovani ragazzotte (ovviamente bellissime, sorridenti, smaliziate e disinibite) decidono di abbandonare per qualche giorno la loro monotona vita da collegiali per tuffarsi anima e (soprattutto) corpo verso il nuovo Paradiso Terrestre. Il problema è che sono tutte e quattro squattrinate, e anche mettendo insieme tutti i loro risparmi quei soldini non basterebbero neppure per pagarsi il viaggio...
Che fare allora? Rinunciare allo sballo? E quando mai! C'è un modo molto semplice e immediato per fare soldi facili senza fatica: basta rapinare uno dei tanti drugstore disseminati lungo le immense autostrade americane e poi... via a tutta velocità verso Miami!!

La rapina ovviamente riesce, e malgrado i dubbi esistenziali della più santarellina del quartetto, che guardacaso fa di nome Faith (sic!), e che comunque non durano più di qualche ora, la vacanza comincia nel migliore dei modi. Ma le sexy-studentesse non hanno fatto i conti con la proverbiale efficienza della polizia americana, che le arresta immediatamente nel bel mezzo dell'ennesimo festino: le quattro vengono così condotte in galera, 'vestite' unicamente dei loro bikini, a rimuginare sulle loro cazzate. Ma solo per poco, perchè arriva subito (come dubitarne?) il loro principe azzurro, nei panni di un muscoloso e strafatto trafficante di droga che paga la cauzione e le 'assume' sotto le sue dipendenze. Il prezzo da pagare? Bazzecole... si tratta 'solo' di aiutarlo a eliminare fisicamente i componenti della famiglia mafiosa rivale per avere il 'monopolio' dello spaccio. Roba da niente.


In realtà c'è poco da scherzare. Non voglio fare il moralista perchè non lo sono, e quindi non mi sentirete mai dire che film-spazzatura come Spring breakers debbano essere banditi da tutte le sale del globo. Questo no: ognuno può spendere i propri soldi dove, quando e come vuole, in base alle proprie disponibilità, al proprio pudore e alle proprie facoltà mentali. Ci mancherebbe. Quello che però trovo sconcertante è che qualche critico di professione abbia il coraggio di trovare pretese autoriali in schifezze come questa, in nome di uno scontato neo-realismo di facciata.

Spring breakers non è altro che un agghiacciante lungo videoclip, sulla falsariga delle altrettanto agghiaccianti trasmissioni stile MTV che imperversano in America (e non solo, purtroppo), che usa i toni alti, i colori sgargianti e fluorescenti, la musica sparata a tutto volume e la deprimente mercificazione del corpo femminile per sparare a zero contro la società attuale che cerca di convincere gli spettatori decerebrati che oggi è ancora possibile fare soldi facili e vivere di rendita, inseguendo falsi miti e ideali distorti.

Il che, ovviamente, non è certo un male. Anzi.
Il problema è che per raggiungere questo scopo il regista usa esattamente gli stessi mezzi che tanto disprezza, rendendo il film di un'ovvietà imbarazzante. Parliamoci chiaro, chi andrebbe a vedere Spring breakers se nel film non ci fossero le quattro fanciulle che se ne stanno in bikini dalla prima all'ultima inquadratura? La dimostrazione evidente della sciatteria e del fallimento di questa operazione la si è avuta alla 'prima' del film alla Mostra di Venezia: la sera della proiezione il red carpet era preso d'assalto da migliaia di giovani e giovanissimi che sbavavano per vedere dal vivo le fanciulle in abiti discinti, per non parlare della presentazione in sala stampa dove il caos e la trivialità degli 'apprezzamenti' hanno reso il briefing alla stregua di una goliardata da fiera dell'erotismo...

Insomma, il pubblico maschile avrà di che rifarsi gli occhi con le giovani e fresche curve delle protagoniste (Vanessa Hudgens Selena Gomez su tutte), mentre le donne potranno apprezzare non poco i muscoli tatuati di James Franco, qui davvero irriconoscibile e con tanto di denti d'oro.
E il cinema, direte? Cosa c'entra in tutto questo?
Assolutamente niente, ma vogliamo scommettere che Spring breakers sarà uno dei maggiori incassi della stagione?

mercoledì 6 marzo 2013

IL LATO POSITIVO

(Silver Linings Playbook)
di David O. Russell (USA, 2012)
con Bradley Cooper, Jennifer Lawrence, Robert De Niro, Jackie Weaver, Julia Stiles
VOTO: ****/5

Diffidate come al solito del titolo italiano, buonista e fuorviante, e che rischia di mettervi fuori strada. Perchè, sappiatelo subito, in questo film che molti spacciano per una commedia in realtà si ride molto poco, in compenso ci si commuove e si riflette. Ma non aspettatevi una commedia sentimentale pura e semplice, perchè non c'è proprio niente di semplice in Silver Linings Playbook. Il titolo originale è un gioco di parole tipicamente anglofono, che corrisponde grossomodo al nostro 'sta tornando il sereno'. Si riferisce infatti ai raggi del sole che, dopo un temporale, filtrano faticosamente attraverso le nuvole ancora cariche di pioggia, illuminandone il bordo e facendolo sembrare argentato... una bellissima metafora che sta a significare come, nella vita, troppe volte il sole fa fatica ad illuminare le nostre giornate, offuscato da nubi dense che spesso ci portiamo dietro inconsapevolmente e che ci impediscono di vedere, appunto, i lati positivi del nostro carattere.

Pat Solitano è un giovane uomo che torna a casa dai genitori dopo otto mesi trascorsi forzatamente in manicomio, dove era stato rinchiuso per aver massacrato di botte l'amante di sua moglie, colto sul fatto. Ma Pat è ancora ossessionato dalla consorte, e cerca in ogni modo di riallacciare i rapporti con lei, nonostante un provvedimento restrittivo che gli impedisce di avvicinarla, o anche solo di chiamarla al telefono. Pat però non si dà per vinto, e tenta di riconquistarla innanzitutto provando a dimostrarle di essere guarito, di essere diventato una persona 'normale'. Ad aiutarlo nell'impresa (apparentemente impossibile) c'è Tiffany, un'amica della moglie che ha da poco perso il marito ed è caduta in depressione, da cui cerca di uscirne facendo sesso con tutti i colleghi di lavoro...

Silver Linings Playbook racconta l'incontro tra due persone apparentemente 'scollegate' dal mondo, ma che riescono a trovarsi e a superare le loro fobie semplicemente stando l'una accanto all'altra, pur con tutti gli inconvenienti del caso. Insieme troveranno la forza per affrontare quello che c'è 'fuori' e la serenità per scoprirsi, tutto sommato, decisamente migliori del bestiario umano che li circonda. Il film di David O. Russell (regista poco prolifico ma che difficilmente sbaglia bersaglio) è una bella e commovente parabola sull'amicizia e sulla solitudine. Un'invito a non demordere, a non piangersi addosso, a credere che da qualche parte, su questo strano pianeta, c'è sempre una persona più strana e (forse) anche più problematica di noi, ma proprio per questo capace di capirci e spronarci a vedere il mondo con occhi diversi. Significative, in questo contesto, le ripetute scene in cui Pat e Tiffany s'incontrano facendo jogging sempre sulla stessa strada, emblematica raffigurazione di un destino comune.

Il film di Russell non brilla certo per originalità, e i più critici lamenteranno sicuramente un finale sbrigativo e 'telefonato'. Eppure questa è una di quelle pellicole sincere, profondamente umane, capaci di emozionarti subito, 'a pelle', e che non smetteresti mai di riguardare. Merito, certo, di una sceneggiatura ben oliata e di un regia 'invisibile' ma funzionale alla storia. Ma, inutile negarlo, ad elevare il film a titolo di assoluto valore sono soprattutto gli interpreti, tutti bravissimi: Bradley Cooper è convincente e commovente nel ruolo di Pat. Bob De Niro ogni tanto (per fortuna) si ricorda di essere un grande attore. Jackie Weaver è una mamma casalinga perfettamente 'dimessa' e umile.

E poi naturalmente c'è Lei: Jennifer Lawrence è l'autentica anima del film, l'assoluta protagonista, il personaggio che ti affonda nel cuore e che questa giovanissima attrice riesce a rendere drammaticamente vero. Lo fa con una recitazione splendidamente istintiva, 'fisica', appassionata, lontanissima da qualsiasi attitudine attoriale. La Lawrence non ha mai frequentato alcuna scuola di recitazione, e la sua performance è frutto esclusivamente di passione e convinzione nel ruolo. Sembrava un'eresia affidare il ruolo di una vedova ad un'attrice appena ventiduenne (e infatti prima di lei erano state provinate colleghe un po' più attempate come Rachel McAdams, Anne Hathaway, Kirsten Dunst) ma, alla prova dei fatti, la sua Tiffany risulta davvero la più reale possibile.


sabato 2 marzo 2013

VITA DI JEN


Lei dice che non si è montata la testa, anzi: diciamo pure che la testolina pare averla messa davvero a posto... il suo fresco matrimonio con Cooke Maroney, fascinoso intellettuale newyorchese, pare proprio una conferma in tal senso.  Non era scontato, considerato che a soli 22 anni Jennifer Lawrence aveva  già ottenuto quello che tanti altri artisti non riescono a raggiungere in una carriera intera: un Oscar vinto, altre due nominations, il Golden Globe, cachet milionari, la fama a livello planetario. Roberto Benigni diceva che ''basta cambiare ristorante per cambiare vita, figuriamoci un Oscar!" , ma noi ci auguriamo con tutto il cuore che la nostra Jen continui ad essere la fanciulla schietta, sbarazzina e simpaticissima che abbiamo apprezzato finora. E noi di Solaris, lo diciamo con composto orgoglio, non avevamo mai avuto dubbi su di lei, visto che la seguiamo da tempo...

E' inutile girarci tanto intorno... la prima cosa che ti colpisce di Jennifer Lawrence è la sua bellezza quasi innaturale, assurda, pur se imperfetta e 'sanguigna' (le immagini di questo post parlano più e meglio di tante parole). Ti aspetteresti un 'passato' da modella, e invece ecco la prima sorpresa: la splendida Jennifer non ha mai calcato le passerelle, anzi! La 'leggenda' dice che appena sedicenne venne fermata da un fotografo per le strade di New York e convinta a fare un provino per Mtv: solo che al momento dell'audizione una palla da discoteca si stacca dal soffitto e le crolla addosso, fortunatamente senza conseguenze ma abbastanza per farla desistere dal dorato mondo della moda.

Un gran bene per noi cinefili che quel piccolo trauma abbia convinto Jennifer ad abbracciare la carriera di attrice anzichè quella di mannequin... ma non aspettatevi che la ragazza si iscriva a un corso di recitazione e segua 'normalmente' gli studi universitari: la biondina è un 'maschiaccio' in tutto e per tutto, ribelle e fuori controllo (dei genitori, soprattutto), e si getta caparbiamente in tutti i provini che riesce ad ottenere. Un talento precoce, ruvido, che viene immediatamente esaltato dagli studios losangelini che all'inizio la scritturano per famosi serial televisivi quali Detective Monk e Cold Case, in cui la 'piccolina' impara a farsi le ossa...

La chiamata del grande schermo è, a questo punto, quasi scontata: e la grande occasione arriva nel 2008 quando la ragazza non più ragazzina (ora è neo-maggiorenne) ottiene la parte di Mariana in The Burning Plain, bella e sottovalutatissima pellicola firmata da Guillermo Arriaga, che le consente di recitare al fianco di due star acclamate come Kim Basinger e Charlize Theron. Ma la Lawrence brilla anche e soprattutto di luce propria, in quanto la sua performance le consente addirittura di vincere, con pieno merito, il prestigioso Premio Mastroianni alla 65. Mostra del Cinema di Venezia come miglior attrice emergente della rassegna. E scusate se è poco!

A questo punto... da Venezia agli Oscar il passo è breve! E addirittura al suo primo film da protagonista: Jennifer viene infatti scritturata per il drammaticissimo film di Debra Granik Un gelido inverno, tratto dall'omonimo romanzo di Daniel Woodrell, che raccoglie premi un po' in tutto il mondo. Il suo ruolo è quello di Ree, adolescente costretta a crescere in fretta per andare alla ricerca del padre sbandato e ricongiungerlo alla famiglia... ruolo che le regala i premi come miglior attrice protagonista sia al Torino Film Festival che al Sundance Film Festival, in pratica l'anticamera della nomination all'Oscar che arriverà l'anno dopo. Non vincerà, ma a soli vent'anni può accontentarsi (per ora).

Ormai Jennifer è acclamata e corteggiata da tutta Hollywood, e può già permettersi di scegliere i copioni: e lei, astuta, impara presto che nella Mecca del Cinema conviene tenere i piedi in due staffe: alternare, cioè, film elitari ed impegnati a titoli ben più commerciali per mantenere alte le proprie quotazioni. E' così che la vediamo apparire sia nel bello e controverso Mr. Beaver di Jodie Foster, che nel prequel di X-Men firmato da Matthew Vaughn, in cui viene scelta per interpretare la sensualissima Mystica (nella parte che fu, a suo tempo, della statuaria Rebecca Romijn). E certo che vederla recitare completamente nuda, avvolta solo da un sottilissimo trucco blu, assolutamente a suo agio nel suo look 'selvaggio', toglierà il sonno a non pochi maschietti...meglio, molto meglio (per le nostre coronarie) seguirla nel suo prossimo film, The Hunger Games, giocattolone avventuroso e apocalittico (ma nient'affatto stupido) tratto dall'ennesima saga letteraria di culto, che le regala la definitiva consacrazione di star hollywoodiana.

Ma lei non sembra curarsene molto, tanto che sceglie come lavoro successivo una commedia agrodolce, nemmeno tanto popolare, diretta da quel David O. Russell che si porta dietro la fama di piantagrane e attaccabrighe da quando si prese cordialmente a pugni con George Clooney sul set di Three Kings: però Jen sceglie ancora una volta giusto, dato che il Signor Russell, se andiamo a ben vedere, non ha mai sbagliato un film in carriera. E la sua interpretazione viscerale, appassionata e sanguigna della problematica Tiffany ne Il lato positivo la condurrà nientemeno che all'Oscar: ma la soddisfazione più grande per lei, ne siamo certi, sarà il fatto di aver tenuto testa a uno come Bob De Niro (che l'ha elogiata pubblicamente). E non è finita: passano appena dodici mesi e con American Hustle, sempre con Russell e sempre con il 'collega' Bradley Cooper, arriva a un passo da un clamoroso oscar-bis!

Gli ultimi anni, a dire il vero, non sembrano averle portato bene dal punto di vista artistico. L'Oscar le ha portato immensa popolarità e ovviamente tante, tantissime proposte. La sensazione è che la bella Jen non abbia saputo scegliere benissimo: una tiepida incursione nella fantascienza con Passengers, il discusso Madre! di Aronofsky, il bolso Red Sparrow (dove interpreta un ruolo di spia sexy che proprio non le si addice), l'ultimo deludentissimo episodio di X-Men. Ma a nemmeno trent'anni qualche erroruccio si può ancora commettere...