sabato 30 marzo 2013

UN GIORNO DEVI ANDARE

(id.)
di Giorgio Diritti (Italia, 2013)
con Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Pia Englebert, Sonia Gessner
VOTO: **/5

Per una donna non c'è dolore più grande della scomparsa di un figlio ancora in grembo. E quando il dolore diventa intollerabile, la trentenne Augusta (una spenta Jasmine Trinca) decide di partire per l'Amazzonia nella speranza di ricostruire la sua vita. Raggiunge Suor Franca, una missionaria amica di sua madre, da sempre al fianco di una delle popolazioni più povere del pianeta. Augusta cerca nella dignitosa miseria di quella gente e nel sorriso tenero dei bambini la spinta per ricominciare: il percorso però costa fatica (fisica e mentale), sacrificio, dedizione. E nemmeno tutto questo sembra bastare per porre fine alle proprie sofferenze, per dimenticare una tragedia.

La trama di Un giorno devi andare, opera terza di Giorgio Diritti, è tutta racchiusa in queste poche righe. Eppure per buona parte del film lo spettatore non ne sa nulla. Vediamo sullo schermo una giovane donna perennemente imbronciata, scontrosa, insofferente, sempre con lo sguardo fisso a terra o perso nel vuot, a scrutare l'immenso e immutabile paesaggio primordiale che le si staglia davanti. Ci aiutano a capire solo le sporadiche 'incursioni' filmiche in territorio italiano, esattamente in Trentino, dove vivono la mamma e la nonna malata, entrambe assistenti laiche di un piccolo convento di montagna.

Prima, come detto, solo estenuanti sequenze di vita missionaria, a metà strada tra il reportage e il documentario. Un realismo esasperato, eccessivo, che finisce ben presto per annoiare e infastidire lo spettatore, che si aspetterebbe invece un film 'vero', fatto di personaggi, storie, dialoghi compiuti. Invece Un giorno devi andare è una pellicola noiosa e prolissa, incompiuta, sempre a metà strada tra il road-movie e il misticismo di maniera, ben lontana da quelle atmosfere allo stesso tempo solenni e ingannatorie che ritrovavamo ne Il vento fa il suo giro, il film d'esordio di Diritti.

Anche proseguendo nella visione, infatti, ci si interroga sul significato del film, sperando invano che possa trascendere dalla banalità che ci si presenta davanti agli occhi: il tema del viaggio come metafora di una ricerca di se stessi, di un punto da cui riprendere il cammino della vita, appare abbondantemente superato. Il ritmo è pesante, lentissimo, indigeribile. E anche il pistolotto ecologista no-global (i nativi che, attratti dai posti di lavoro nell'industria promessi dal governo, abbandonano le loro case e il loro mondo) è francamente visto e stravisto. Mancano le emozioni, la potenza evocativa e passionale che invece ci avevano fatto amare, ad esempio, un film come Re della Terra Selvaggia, anch'esso sicuramente imperfetto e per certi versi 'scombinato' eppure ben più trascinante e godibile.

Un giorno devi andare è invece una pellicola vecchia, retorica (specialmente nella parte 'italiana'), dove tutto resta uguale, triste, senza nemmeno un reale motivo. Lo sguardo perduto (l'ennesimo)  di Augusta nel finale sulla spiaggia è esattamente il nostro sguardo, reso incerto anche dalla palpebra che resta inesorabilmente abbassata.

14 commenti:

  1. Oh. Aspettavo di leggere qualcosa in merito a questo film, perché, pur avendo amato i lavori precedenti di Diritti, questo, dal trailer, non sembrava promettere nulla nulla nulla di buono. E tu - purtroppo - me lo stai confermando...

    RispondiElimina
  2. Per dirla alla Verdone, con una battuta che ti è tanto cara, "ho lasciato le palle sulla poltrona!
    Buona Pasqua.
    Mauro

    RispondiElimina
  3. Per favore, non dirmi che dovrò prendere Diritti a bottigliate, cazzo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Che dirti Ford... una grossissima delusione per me. Certo non merita bottigliate gratuite, però ha ragione Mauro: malgrado tutta la buona volontà e l'accuratezza della confezione, alla fine ci si fa davvero due palle così! Una pellicola lenta e senza ritmo, che non ha niente della potenza evocativa e del fascino naturistico de 'Il vento fa il suo giro'. E anche il messaggio, in fin dei conti, è più scontato che non si può.

      Elimina
  4. Per una volta sono in disaccordo con te. A me il film complessivamente è piaciuto. Era da tempo che non si vedeva un film così in Italia.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E' il bello del cinema, Antonella! :) Guarda, alla fine della proiezione a cui ho assistito ci sono stati anche spettatori che si sono lasciati andare ad un applauso. Probabilmente sono io che non l'ho compreso appieno, ma l'ho trovato uno dei film più faticosi e indigeribili che abbia visto ultimamente. Comunque vengo subito a leggere la tua opinione, mi interessano molto i punti di vista diversi :)

      Elimina
  5. Ho trovato decisamente scollegate le due parti del film (quella brasiliana e quella italiana) nonchè una certa confusione a livello di sceneggiatura che mette a mio avviso troppa carne al fuoco senza approfondire nulla. Sicuramente bellissima la fotografia ma troppo abusata e sempre ridondante fino a risultare stancante. Eccessiva, direi.

    RispondiElimina
  6. Il film e' assolutamente non retorico, come si fa a dire così? Lei va in un luogo tra i più poveri del mondo e nonostante la quotidianità più semplice, fatta di sorrisi anche se tutti sono in miseria, dove si ritrova il gusto della collegialità dove lei può essere madre in modo diverso, anche li c'è la perdita di un figlio e il dolore, quel dolore e' forte sia che tu sia in Italia che se tu sei in una favelas.. E lei nuovamente fa da sola un percorso che la porta all'accettazione di quello che è successo, arriva un bambino, ci gioca, e sorridendo accetta che se ne debba andare.. Tutto molto più simbolico.. Come il parallelismo della amica brasiliana che dopo la perdita del figlio va in Italia.. Insomma non posso dire che sia noioso, forse ci si deve sforzare un po' perché non vi è nulla di casuale, ogni dialogo o parola vuole essere un messaggio o un motivo che ci spinga a riflettere.. No, non è una delusione

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro anonimo (ma perchè non ti palesi, che problema c'è?), innanzitutto voglio ringraziarti sinceramente per aver scritto questo bel commento così 'sentito' e ricco di spunti di riflessione. Si vede che a te questo film ha toccato corde molto più sensibili delle mie. Probabilmente merita (da parte mia) una seconda visione. Io l'ho trovato proprio noioso, a livello tecnico, fermo restando tutti i buoni propositi che hai elencato tu. Riguardo la retoricità, io mi riferivo in particolar modo alle sequenze 'italiane' (per me le peggio riuscite) dove il bigottismo della mamma e della nonna è francamente scontato.
      Ma in ogni caso sono qui apposta per parlarne... :)

      Elimina
    2. Mi chiamo Anna sono laureata in ingegneria e sto finendo di studiare per conseguire la laurea magistrale, non ho blog, non mi occupo di recensioni varie e solitamente non sono solita denigrare il lavoro degli altri, volevo solo esprimere una mia opinione senza voler avviare polemiche. Apprezzo chi si mette in discussione e soprattutto tutti quelli che seguono e intraprendono in modo attivo ciò che amano, che siano ideali, blog, invenzioni, imprese...
      Detto questo ti rispondo in maniera un po' più completa.
      Innanzi tutto io più che il bigottismo della mamma e della nonna ho ravvisato il loro rapporto freddo e austero, probabilmente imposto dalla nonna, e probabilmente la mamma ha impostato lo stesso rapporto con sua figlia, benché la madre soffrisse per la difficoltà di non riuscire ed essere riuscita a trasmetterle l'affetto che la figlia desiderava e di cui la madre stessa aveva bisogno. La foto del padre che ricorre spesso indica che era lui quello che la faceva sentire più amata, e la perdita recente di quella figura fa pesare ancora di più alla madre il non riuscire ad esprimere ciò che prova.
      Le sequenze italiane servono proprio perché si possa comprendere tutto il background della ragazza, e personalmente ho trovato piacevole che tutto fosse spiegato in un certo senso indirettamente, che tutto avesse un senso, un peso, che dai piccoli particolari e dai pochi dialoghi si potesse evincere tutto il passato e capire perché nel presente la ragazza prendesse certe decisioni e si comportasse in un determinato modo.
      Si va oltre il tema del viaggio, la ragazza infatti all'inizio dichiara nella lettera "me ne sono andata per fuggire dal dolore, ma ovunque io guardi il dolore e' li". Non è tanto il viaggio che l'ha cambiata, anzi, lei se ne va più volte, sia quando capisce che l'italiano che ha fatto la donazione alla parrocchia solo per interessi personali, o quando anche nelle favelas le si ripresenta lo stesso dolore per il bambino scomparso e quando il ragazzo con cui aveva avuto un intesa tradisce la comunità e la definisce un uomo, sia per i comportamenti sia per il modo di vestire, (chiaro riferimento al marito che l'aveva abbandonata perché non poteva più avere figli).
      Insomma, sia che il viaggio sia reale, che interiore, l'importante e' raggiungere l'equilibrio interiore, infatti nell'ultima sua tappa si sente pronta ad affrontare ciò che è dentro di lei. Per me la fine era più che altro simbolica che realistica.
      Comunque sia anche se effettivamente non sia un film troppo leggero, e sicuramente non posso annoverarlo tra i miei film preferiti, non l'ho trovato scontato, mi è piaciuto e non ho trovato troppo pesanti i chiari riferimenti alla demonizzazione del progresso spietato che vende l'anima delle persone al dio denaro.. Questo tema si che l'avrei trovato scontato e semplicistico..
      Quello che mi è piaciuto e' stato l'andare oltre all'accusa mossa dalla ragazza circa il modo di evangelizzare persone che non capiscono ciò che gli si dice e che non hanno conoscenza di altre opzioni. Lei stessa si è rifiutata di credere in dio, ma in un qualche modo le si è ripresentato un bisogno di confronto con dio alla fine.

      Elimina
    3. Cara Anna, voglio dirti una cosa: è un peccato che tu non abbia un blog e non scrivi recensioni, perchè hai un modo di scrivere assolutamente convincente e professionale. Devo farti solo i complimenti.
      E voglio dirti anche che, senza alcun impegno da parte tua, se ti andasse di scrivere la tua opinione su qualche film ti offro volentieri questo spazio. Non hai che da dirmelo e io la pubblico, senza alcun problema. Perchè è un piacere leggerti, davvero.

      Tornando a 'Un giorno devi andare', hai perfettamente ragione quando dici che un film non deve necessariamente spiegare tutto: io sono il primo a lamentarsi del didascalismo di certe opere (soprattutto italiane). Il problema è che, secondo me, in questa pellicola tutta la parte che precede la 'rivelazione' dei motivi che hanno spinto Augusta in Amazzonia è tremendamente pesante: per i primi 30-40 minuti di film si assiste a scene di un (iper)realismo a mio vedere eccessivo, che creano disaffezione in chi guarda. E' lo stesso effetto che mi ha fatto, ad esempio, 'Amour' di Haneke: anche lì il continuo, morboso sfoggio della sofferenza finisce col 'saturare' lo spettatore che perde di vista la storia e, anzichè farsi coinvolgere emotivamente, finisce con lo stancarsi.
      Questo film di Diritti assomiglia un po' alle ultime pellicole di Terrence Malick: visivamente splendide, ma insostenibili per la gente in sala.

      Elimina
  7. Ho potuto riscontrare, non solo quì da te, ma un pò dappertutto, molte discrepanze. L'ho visto ieri e quindi posso lasciarti due impressioni a caldo, ma che potrebbero mutare in un futuro, non so ancora se in meglio o peggio. Al momento ti dò ragione in parte e cioè su una certa pesantezza che si concentra nel segmento centrale, specialmente nel secondo viaggio della protagonista, quando decide di "diventare terra" stabilendosi nella favela. Un segmento sicuramente prolisso dove in più, l'alternanza sempre più rapida tra le sequenze a Manaus e quelle in Trentino (retoriche si, e direi anche piuttosto irritanti), porta ad una continua frattura dell'aspetto visivo emozionale. Aspetto che invece ho apprezzato decisamente nella (troppo breve, secondo me) parte finale e dove, in questo caso, ci stà perfettamente l'accostamento con le scene girate in ospedale, un momento da cui se ne potrebbero trarre riflessioni molto profonde. Comunque ne parlerò, più avanti, quando ci saranno meno rischi di "spoiler", vista l'intenzione di scavare soprattutto su questi passaggi. Di certo è un film non facile per il pubblico medio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao! E scusami per il ritardo nella risposta, mi era sfuggito questo commento... direi che siamo sostanzialmente d'accordo, specie sull'inutilità delle sequenze girate in Italia (necessarie per lo sviluppo della storia, ma irritanti - è il termine giusto - sulla 'sopportazione' del film in generale. E anche sul finale, indubbiamente troppo 'facile' e sbrigativo. Per non dire ruffiano. Sul fatto che non sia un film per il pubblico medio non ci piove, ma questo non è sempre garanzia di qualità. Come in questo caso.

      Elimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...