lunedì 9 giugno 2014

Febbre da Mondiale - L'ANNO IN CUI I MIEI GENITORI ANDARONO IN VACANZA


Il Brasile per tutti è sinonimo di calcio, samba e divertimento. Figurarsi per un bambino dodicenne che aspetta a gloria la Coppa del Mondo per tifare Pelè. Eppure il mondo dei 'grandi' spesso è terribilmente complicato, anche per un paese che ha fatto del pallone il suo simbolo...

(O ano em que meus paìs sairam de fèrias)
di Cao Hamburger (Brasile, 2006)
con Michel Joelsas, Germano Haiut, Simone Spoladore
durata: 104 min.

Il calcio è malattia, passione, sacrilegio (per chi crede davvero). E' un fenomeno così totalizzante che non riesci a spiegare perchè 'ti prende' così tanto, ma sai che non puoi farne a meno. E spesso ti capita di accostare ricordi, emozioni e fatti passati ad una partita o a un campionato particolare. Almeno, a me succede.

E figuriamoci se non succede in Brasile, dove il calcio è qualcosa più che uno sport e qualcosa di grande quanto una religione. Mauro è un ragazzetto che nel 1970 incolla le figurine dei calciatori sull'album: si stanno avvicinando i Mondiali messicani e sembra che l'unico vero problema del proprio paese sia la convivenza in squadra tra Pelè e Tostao... e come mai allora i genitori di Mauro, proprio alla vigilia della Coppa del Mondo, decidono di farsi una tirata in macchina fino a San Paolo e 'parcheggiarlo' dal nonno? La scusa è quella di 'andare in vacanza', la verità il piccolo Mauro la scoprirà a poco a poco, insieme a mille altre cose: il nonno infatti è morto, e Mauro viene adottato dalla comunità ebraica di San Paolo, dove in mezzo a un melting pot di etnie e lingue diverse, ma tutte unite nella protesta contro la dittatura militare, imparerà cosa vuol dire essere 'comunista', scoprirà i primi pruriti adolescenziali, incomincerà a capire cosa vuol dire avere uno scopo, un ideale.

Il film di Cao Hamburger (fantastico questo nome!) non è un film sul calcio, ma il calcio è presente in ogni situazione, come è giusto che sia (del resto siamo in Brasile). Non è nemmeno un romanzo di formazione in senso stretto, in quanto la vicenda di Mauro, ragazzino costretto a crescere troppo velocemente come tanti suoi coetanei, si interseca inevitabilmente con quella dei suoi genitori e dell'intera nazione. E' un'istantanea su un popolo oppresso eppure speranzoso, ingenuo ma mai arrendevole, che non rinnega le sue passioni e non piega la testa al regime, a dispetto di chi dipinge i brasiliani come imbelli e svogliati.

Mauro aspetta (im)paziente la finale dei Mondiali, proprio contro l'Italia, ma aspetta più di ogni altra cosa il ritorno dei genitori, forse inconsapevole di quello che sta succedendo ma pienamente convinto che la vittoria finale sarà scontata, dovuta, meritata. Perchè non può non finire così, perchè quando lotti, soffri strenuamente per qualcosa, qualsiasi cosa, questa è già una vittoria. Anche solo esserci.



4 commenti:

  1. Questo mi manca. Dici che vale un recupero "mondiale"?

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    1. Assolutamente sì, è un film toccante e nient'affatto ideologico. All'epoca fu il più applaudito al festival di Berlino. Consigliato senza controindicazioni :)

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  2. Bella recensione che mi trova assolutamente d'accordo! Questo film all'epoca mi era piaciuto davvero patecchio, soprattutto perché quando si affronta l'argomento dittatura si pensa automaticamente a Cile ed Arhentina, e il Brasile non viene quasi mai considerato.

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    1. E' vero, quasi nessuno ricorda la dittatura brasiliana. Forse perchè tutti noi europei abbiamo vivida l'immagine del Brasile come paese ospitale, solare, dedito al divertimento e poco incline al lavoro, dove basta un pallone o un giro di samba per dimenticare tutto. Ovviamente la realtà è molto più complessa, e i fatti di questi giorni lo stanno a dimostrare.

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