domenica 22 marzo 2015

FOXCATCHER - UNA STORIA AMERICANA

(Foxcatcher)
di Bennett Miller (Usa, 2014)
con Steve Carell, Channing Tatum, Mark Ruffalo, Vanessa Redgrave, Sienna Miller
durata: 134 minuti


E' una stagione incredibile, questa, per il cinema americano. E noi europei, da sempre culturalmente schizzinosi, dobbiamo avere l'onestà intellettuale di ammetterlo: quest'anno il miglior cinema visto finora batte bandiera a stelle e strisce, grazie ai capolavori dei grandi vecchi (come Eastwood e Mann) e alla classe dei cinquantenni d'assalto (Inarritu - anche se è messicano - e Linklater), per non parlare dei due Anderson, Wes e Paul Thomas... e adesso, buon ultimo (ma solo in ordine temporale) arriva anche quel Bennett Miller che tre anni fa seppe sorprenderci con lo splendido Moneyball - L'arte di vincere (link),  sottovalutatissimo e profondo film apparentemente di genere, purtroppo quasi ignorato qui da noi.

E per chi se lo fosse perso invito davvero a recuperare Moneyball, non fosse altro perchè Foxcatcher ne rappresenta in pratica il seguito ideale, la logica continuazione di un discorso lasciato sospeso: alla base ci sono infatti gli stessi temi (l'ossessione per la vittoria, lo sport come simbolo - negativo - di una nazione incancrenita dall'arrivismo e dalla competizione), qui portati all'estremo attraverso il racconto di una storiaccia profondamente americana (beffardo e ironico, e per una volta azzeccatissimo, il sottotitolo italiano): Foxcatcher è la cronaca (vera) di un delitto assurdo, che vide protagonista nientemeno che il ricchissimo John Du Pont, rampollo di una delle famiglie più potenti degli Stati Uniti e con un patrimonio immenso derivante dall'industria chimica, intestarditosi nel voler creare una squadra di lotta libera in grado di vincere alle Olimpiadi...

Du Pont vive per la lotta: sport nobile (anche se non piace all'arcigna madre), che lui stesso pratica esibendosi in incontri combinati che lo vedono sempre vincitore, condizione necessaria per non scalfire il suo ego. Ma il suo vero ruolo è quello di allenatore, mentore e padre putativo di un gruppo di atleti presi dalla strada che ospita gratuitamente nella sua immensa tenuta in Pennsylvania, mettendo a loro disposizione tutte le attrezzature necessarie. Con un unico scopo, ovviamente: la vittoria. Du Pont vuole la medaglia d'oro ai Giochi Olimpici di Seoul, a qualsiasi costo: è un uomo terribilmente solo, vessato da una madre despota che nell'infanzia pagava un ragazzino affinchè fingesse di essere suo amico, affetto da delirio di onnipotenza e smodato culto della personalità. La lotta è il suo unico contatto con il mondo esterno, l'unico strumento che gli consente di farsi accettare dalla società. Ma sa che solo vincendo continuerà ad essere rispettato e temuto, amato a modo suo.

Du Pont vuole gli atleti migliori nella sua squadra: per questo convince il campione olimpico Mark Shultz a trasferirsi a casa sua. Schultz è un ragazzone depresso che dopo il suo momento di gloria è stato dimenticato da tutti e ora si arrabatta nella palestra gestita dal fratello maggiore Dave, che si oppone al trasferimento ma nulla può contro l'offerta irripetibile del magnate. Mark entra rapidamente nelle grazie del suo 'datore di lavoro', ma il loro rapporto diventerà ben presto così stretto da scadere nella morbosità: Du Pont è un omosessuale latente che vuole il suo 'protetto' tutto per sè, intimità (soprattutto) compresa. Mark è disorientato, fragile, confuso. All'inizio le cose vanno alla grande (vince il mondiale, si qualifica per le Olimpiadi) ma poi il rapporto malato con il suo capo si deteriora irreversibilmente: Mark cade in depressione, diventa schiavo della droga, si sente trascurato e preso in giro. A questo punto a Du Pont non resta che una strada per recuperarlo: convincere il fratello maggiore a raggiungerlo, pur non avendo alcuna stima di lui (per altro odiosamente ricambiato).

Dave infatti è l'esatta antitesi di Mark: è un uomo realizzato, padre di famiglia, onesto, sereno. Disprezza Du Pont, vedendo in lui il potente che crede di potersi comprare tutto, perfino gli affetti, e accetta la proposta solo per stare vicino al fratello. Che però non la prende bene: Mark è vissuto tutta la vita all'ombra di Dave, e il vederselo di nuovo accanto gli fa crollare la sua già scarsa autostima. Da questo momento in poi la storia precipita, tra incomprensioni, crisi, rancori, gelosie assurde. Una roulette russa fra tre anime precarie, instabili, che ovviamente finirà in tragedia...

Foxcatcher è un ritratto devastante del mondo di oggi, e della società americana in particolare: il paese delle 'seconde opportunità' non esiste più, la luce in fondo al tunnel non si vede affatto. E' un viaggio senza ritorno nel lato oscuro del Sogno Americano, qui impersonato da un personaggio folle e frustrato, emblema della solitudine e della carenza affettiva (le brevi scene in cui compare la vecchia madre, cui basta uno sguardo per capire la deriva di quel figlio disprezzato e abbandonato a se stesso, sono agghiaccianti per tensione e drammaticità). In Foxcatcher in realtà succede pochissimo: è un film lento, faticoso, indigesto, silenzioso (la colonna sonora praticamente non esiste), in cui tutto il pathos si concentra sui profili caratteriali dei protagonisti, tutti avviati verso l'autodistruzione.

Bennett Miller, al suo terzo film (appena) entra di diritto nella schiera dei migliori registi americani contemporanei: la sua regìa è sempre sottotraccia, apparentemente non invasiva, eppure le sue pellicole rasentano la perfezione stilistica. Abilissimo anche nello scegliersi sceneggiatori straordinari (in Moneyball c'era Aaron Sorkin, qui la coppia Dan Futterman e Max Frye), dà il meglio di sè nella direzione degli attori: Steve Carell, ex comico, qui è irriconoscibile e inquietante nel ruolo di Du Pont, personaggio sgradevole, devastato nel fisico e nell'anima. Ma anche Channing Tatum e Mark Ruffalo (i fratelli Schultz) non sono da meno. Ne viene fuori un film magnifico, potente, impossibile da dimenticare, che certifica il malessere del nostro tempo. Non sappiamo se il vecchio Clint Eastwood lo abbia visto... di sicuro gli piacerebbe da matti.

19 commenti:

  1. Un grande film americano di uno dei registi più ingiustamente sottovalutati (ha fatto solo tre film ma che film! "Moneyball" è bellissimo) il cui talento sta anche nel dirigere gli attori in maniera incredibile. Steve Carell è mostruoso in tutti i sensi: Du Pont è un avvoltoio che studia le prede su cui abbattersi. Un legame fraterno come quello tra i Schultz (bravissimi Ruffalo e Tatum) non lo vedevo dai tempi di "Toro scatenato".

    "Foxcatcher" è un autentico film dell'orrore. Si trema mentre lo si guarda talmente la tensione è alta in ogni scena. Un film sulla perdita definitiva del sogno americano. E Miller, cantore della perdita. svela l'altra faccia dell'America: quella che non perde un solo round, ma l'intera partita.

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    1. Ottima mini-recensione, Denny: hai condensato in dieci righe quello che io ho scritto in una pagina! Ovviamente condivido al 100% il tuo pensiero, soprattutto sul valore di questo regista: tre film girati e tre successi... ne risentiremo parlare molto a lungo

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  2. Gran pezzo di un grande regista.
    E concordo in pieno sulla tua riflessione legata al Cinema americano di quest'anno.

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    1. E' un anno d'oro per il cinema americano, come non se ne vedeva da tempo: bisogna riconoscerlo.

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  3. Hai detto proprio bene: Carell inquietante!
    Parlando di film e storie americane, trovo che sia riuscito molto meglio questo piuttosto del tanto adorato American Sniper che, si, bello, ma questo è due spanne più in alto!

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    1. Dici, Giulia? Non so... a me sono piaciuti entrambi moltissimo, e per certi versi sono film molto simili. Certo quello di Clint è molto più 'adrenalinico', mentre Foxcatcher si fa preferire nell'analisi dei personaggi. In ogni caso difficile scegliere: sono due film mostruosamente belli! ;)

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  4. Film decisamente riuscito e Carrel memorabile

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    1. Immenso Carell. E complimenti anche ai truccatori, gran lavoro.

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  5. È dalla notte degli Oscar che attendo con trepidazione "Foxcatcher", e come te sono convinta che ci sia una fortissima ventata di gusto e classe americana, stia sbaragliando il cinema del vecchio continente, con trovate pregevoli e non più solo volte al jet set!

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    1. Intendiamoci: stiamo parlando del cinema americano D'AUTORE, non di quello mainstream (anche se a volte, come nel caso di Eastwood, la differenza è labile). Ergo: c'entrano poco i budget e l'impatto mediatico, sono davvero grandi film. Non so se l'Europa stia segnando il passo, certo è che anche noi dovremmo cercare di essere meno 'snob' e più rispettosi di quello che arriva da oltreoceano, senza pregiudizi nè condizionamenti.

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  6. Visto e piaciuto molto. Questa volta sono totalmente d'accordo. ;)
    (ne parlerò domani)

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  7. Bellissima rece che, come sai, condivido in pieno. Dovrei riflettere sul tuo incipit, se veramente in questi mesi sia il cinema americano a farla da padrone per qualità, devo controllare :)
    Moneyball prima o poi dovrò vederlo, Capote già fatto all'epoca :)

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    1. Parlo, ovviamente, del cinema che riesco a vedere io... ma, ad ogni modo, quello che voglio dire è che troppo spesso noi europei bistrattiamo il cinema americano solo per partito preso, quasi fosse un 'Golia' cattivo che fagocita i nostri film. D'altronde lo vediamo anche ai festival: i film americani non vincono mai, scontano evidentemente un pregiudizio ideologico, e questo non è giusto.

      E riguardati 'Moneyball': anche questo corrobora la mia tesi! :)

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  8. Non potrei essere più d'accordo: non solo un film che fa a pezzi il sogno americano ma anche una morbosa parabola sulla solitudine e gli istinti repressi in una nazione che, a differenza di quanto voglia sembrare, è terribilmente moralista e conservatrice. Uno dei migliori film dell'anno.

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    1. Ringrazio te e poison per i vostri commenti... finalmente due donne che apprezzano questo film, bistrattatissimo (ho notato) dal pubblico femminile, per il semplice fatto che 'è un film sportivo su uno sport insulso' (o giù di lì). A parte il fatto che lo sport c'entra proprio poco (e comunque è la metafora per parlare di ben altro) direi che il film mi pare comprensibilissimo anche per chi, come il sottoscritto, non è certo un intenditore di lotta libera o greco-romana (chissà qual è la differenza!)

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  9. come non essere d'accordo?

    Bennett Miller è un grandissimo, non ha bisogno di film scandalosi o violenti per essere nel nostro olimpo :)

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    1. Assolutamente sì. Ed è anche un cineasta coraggioso, che (per adesso) non si piega alle leggi del marketing e gira film importanti e decisamente non commerciali.

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  10. Grande e bel film concordo in pieno, anche questo fa parte della mia piccola collezione.
    Un finale che arriva come un pugno in faccia, ricordo ancora la mia sensazione nonostante si capisse che non sarebbe finito bene, ma quel finale non si dimentica.

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