sabato 17 settembre 2016

PAGELLE VENEZIANE : CONCORSO

"Jackie" di Pablo Larraìn,
Ed eccoci finalmente alle pagelle più attese, quelle per il Concorso principale. Che, bisogna essere onesti, non ha mantenuto proprio tutte le attese fino in fondo: sulla carta era il miglior concorso degli ultimi dieci anni, con tanti nomi roboanti e film pieni zeppi di star... poi, come spesso accade, di veri capolavori in realtà ne abbiamo visti solo uno (Larraìn, che ovviamente non ha vinto), con alle spalle una buona mediocrità e un pugno di ottimi film (Ford, Ozon, Diaz) a fare da contraltare (anche se è giusto precisare che in questa lista mancano i film di Chazelle e Villeneuve, che purtroppo non sono riuscito a vedere). Grande assente, come detto più volte, è il cinema italiano, per motivi che saranno presto oggetto di approfondimento...

COLPI DI FULMINE







JACKIE  (di Pablo Larraìn, Usa)  
Doveva vincere e non ha vinto. Chissenefrega (anzi, no... inutile nasconderlo, un po' mi rode). Ma poco cambia: Larraìn è un fuoriclasse, uno che in questo momento sta sopra tutti, un po' il Messi della Settima Arte: e Jackie è stato di gran lunga il miglior film visto al Lido, per distacco. Come in tutti i film di Larraìn, il personaggio protagonista è la chiave di volta per fare i conti con la Storia, in questo caso quella di una nazione che, per la prima volta, si scopre improvvisamente fragile e indifesa. E la Storia di allora è, inevitabilmente, la Storia di oggi. Monumentale Natalie Portman, la mancata Coppa Volpi è quasi una barzelletta...


THE WOMAN WHO LEFT  (di Lav Diaz, Filippine)  
Voglio essere chiaro una volta per tutte: dicendo che Larraìn strameritava il Leone d'oro non intendo assolutamente sminuire la figura autoriale di Lav Diaz, cineasta "fluviale" eppure trascinante, sbarcato a Venezia con bel melodramma che unisce storia, passione e rivalsa. Una donna, ingiustamente condannata, esce dal carcere dopo trent'anni e cerca vendetta... ma il Paese che ritrova (le Filippine) non è più quello che conosceva un tempo. Film furbo e perfino "addomesticato" ai gusti del pubblico (secondo i fan più irriducibili del regista), comunque affascinante.


NOCTURNAL ANIMALS  (di Tom Ford, Usa)  
Venezia porta fortuna a Tom Ford: dopo l'ottimo esordio con A Single Man, tutti lo aspettavano al varco... e lui non delude a quella che era, a tutti gli effetti, la prova della maturità: Nocturnal Animals è una pellicola solida e ben diretta, forse emotivamente meno coinvolgente rispetto al primo film ma comunque un ottimo esempio di cinema di genere. Confezione al solito accuratissima e buona direzione degli attori. Ford, ormai non è più una sorpresa, si dimostra autore vero.


FRANTZ  (di François Ozon, Francia)  
Il "solito" Ozon: ruffiano, manierista, formalmente impeccabile, ottimo direttore di attori. Frantz è stato il film più applaudito in sala stampa, e quello che è più piaciuto al pubblico. Un chiaro omaggio al melò d'altri tempi, una storia d'amore tormentata sullo sfondo di un conflitto mondiale appena trascorso, con le ferite di guerra (reali e figurate) che sono sempre difficili da rimarginare. Bravissimi i protagonisti, con menzione speciale per la giovane Paula Beer, vincitrice del Premio Mastroianni.


EL CIUDADANO ILUSTRE  (di Mariano Cohn, Gaston Duprat, Argentina)  
Sarà anche un filmetto furbo, compiaciuto, accomodante, tipicamente da festival (e in effetti... lo è, inutile negarlo), però bisogna riconoscere che funziona benissimo ed ha un gran merito: è un film fatto per il pubblico, cosa che purtroppo ai festival troppo spesso viene considerata disdicevole, chissà perchè. Eppure questa storia di un premio Nobel argentino che dopo quarant'anni torna al paesello natìo ha conquistato un po' tutti, meritandosi la Coppa Volpi per il miglior attore (il bravissimo Oscar Martinez). Vedrete che avrà un buon successo, ne risentiremo parlare...


C'E' DEL BUONO...




PARADISE  (di Andrej Koncalovskij, Russia)  
Koncalovskij è una vecchia volpe dei festival, e non a caso difficilmente torna a casa a mani vuote: grande mestiere, sapiente regìa, confezione affabulatoria e ottima direzione degli attori. Ma questa volta non ci siamo cascati: questo Paradise, parabola storico-sentimentale sulle vicende di tre persone unite dall'amore ma divise dalla guerra, con (tanto per cambiare) l'ennesima "esplorazione" dei lager nazisti, in certi punti è davvero troppo melenso e ricattatorio per piacere appieno. Si respira aria salubre di autorialità, ma anche quella malsana del pietismo e delle lacrime a comando. Finale a dir poco imbarazzante in mezzo a momenti di grande cinema. Vorremmo bocciarlo, ma nonostante tutto non ci si riesce...


ON THE MILKY ROAD  (di Emir Kusturica, Serbia)  
Il pregiudizio era pressochè impossibile da abbattere: un regista ormai secondo molti "bollito", un'attrice improbabile, un canovaccio (la follia della guerra e l'umanità dei "diversi") visto e rivisto... eppure, in tutta onestà, al sottoscritto questo nuovo Kusturica è piaciuto oltre ogni aspettativa: esagerato, ridondante, casinaro e caciarone, strampalato ma sincero, come ai vecchi tempi. Certo, siamo lontani anni-luce dai livelli di Underground (del resto i capolavori difficilmente si ripetono), ma nel complesso l'operazione, rischiosissima, è tutt'altro che disprezzabile. E la Bellucci che recita in serbo è quasi miracolosa!


SPIRA MIRABILIS  (di Massimo D'Anolfi e Martina Parenti, Italia)  
Il vero "oggetto misterioso" del concorso veneziano, indecifrabile e ostico, quasi incomprensibile. Avrebbe dovuto essere (stando alle dichiarazioni dei due registi) "un documentario sull'immortalità", ma sullo schermo vediamo passare di tutto: insetti, statue del Duomo di Milano, indiani Dakota, alberi tagliati... il tutto con un audio che spacca i timpani. Probabilmente ci sfugge qualcosa, ma ad essere sinceri il film non fa venire una gran voglia di approfondire gli argomenti. Però le immagini, quelle sì, sono di una bellezza abbagliante. Pellicola "aliena" e inclassificabile, tuttavia con sprazzi di assoluta originalità.


PIUMA  (di Roan Johnson, Italia)  
In sala è stato fischiato dai più, con annesso qualche inqualificabile eccesso di maleducazione (non è corretto, ed è pure meschino, gridare "vergogna!" all'indirizzo di un film, specialmente sapendo che non c'era nessuno degli autori e degli interpreti ad assistere alla proiezione). E' il destino, purtroppo, di tanti film italiani che sbarcano al Lido per essere passati al tritacarne. Eppure, garantisco, Piuma è un filmetto esile ma carinissimo, senza pretese e poco originale, d'accordo, ma tenero e molto, molto divetente. E certi pseudo-critici, prima di aprire bocca, farebbero meglio a farsi un bell'esame di coscienza!

UNE VIE  (di Stéphane Brizè, Belgio)  

LA REGION SALVAJE  (di Amat Escalante, Messico)  

LES BEAUX JOURS D'ARANJUEZ  (di Wim Wenders, Francia)  


C'E' DA SOFFRIRE...




QUESTI GIORNI  (di Giuseppe Piccioni, Italia)  
Dispiace dirlo, ma l'ultimo film di Piccioni racchiude in due ore (troppe!) tutti i peggiori difetti del peggior cinema italiano: pellicola irrisolta, spocchiosa, talmente minimalista da rasentare il vuoto assoluto, con prstese (assurde) di autorialità: l'ennesimo "viaggio di formazione" giovanilista, dove tutt(e) parlano, spesso a sproposito, e nulla succede, con i penosi camei dei soliti Margherita Buy e Filippo Timi messi lì solo per portare al cinema qualche spettatore in più. Ma vedrete che tanto sarà un flop lo stesso. E meritato.



BRIMSTONE  (di Martin Koolhoven, Olanda)  
Il western è meglio lasciarlo fare a chi lo sa fare. E se lo si vuole fare lo stesso, che almeno non si abbia la pretesa di volerlo "riscrivere" come se tutti fossimo dei nuovi Sam Peckinpah. E' stato molto più umile (e furbo) Antoine Fuqua, che ha rifatto I magnifici sette esattamente in fotocopia, senza inutili slanci creativi... invece questo Martin Koolhoven gira, in pratica, un horror pieno di effettacci gore, mettendoci dentro ogni tipo di bassezze (stupri, incesti, budella in vista, lingue tagliate) e spacciandolo per un western dei nostri tempi. Senza ritegno e senza misura, lasciate perdere.


THE BAD BATCH  (di Ana Lily Armirpour, Usa)  
Una biondina sexy attraversa il deserto a piedi. Viene catturata, le segano un braccio e una gamba (poi cucinati alla brace), la legano a una catena. E lei non sono non muore dissanguata, ma riesce anche a liberarsi, uccidere la sua carceriera, rubare uno skateboard e fuggire in mezzo al nulla con 50 gradi all'ombra. Sono passati appena dieci minuti di film, il resto è peggio... alla regista regalerei per Natale un bel cofanetto di George Miller, e forse anche uno di Tarantino. Magari imparerebbe qualcosa.


VOYAGE OF TIME  (di Terrence Malick, Usa)  
Intendiamoci: uno come Malick va solo ammirato per il modo in cui persegue la sua idea di cinema, infischiandosene di tutto e di tutti, rifuggendo ogni logica commerciale e tirando dritto per la sua strada. Il problema è che questa strada ormai è stata fin troppo battuta: da troppi anni Malick ripiega su se stesso, costruendo in pratica sempre lo stesso film, e facendolo ogni volta sempre un po' più uguale ai precedenti. Voyage of Time lascia a bocca aperta per la magnificenza delle immagini, ma più che un film sembra una puntata di Superquark. Di una noia mortale.

15 commenti:

  1. Eh eh, c'è bella roba. :)
    A fiducia so che il film vincitore sarà notevole, ma non penso reggerei. Tra i più attesi da me, Larrai, Ozon e Ford.

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  2. Interessante post riassunto della rassegna. Bravo Sauro!
    Pensando a ciò che hai detto su Malick mi viene da fare una riflessione.
    Sai che apprezzo e apprezzerò sempre l'idea dell'autore indipendente che persegue le sue idee.
    Il problema di Malick, secondo me, è che ha fatto di tutta un'erba un fascio tra chi gli da consigli che potrebbero essere interessanti e chi lo critica senza costrutto.
    Qualcuno potrebbe dire: ah sono consigli non richiesti. Va bene, ma come autore se ti esponi al pubblico sai bene che c'è una differenza enorme tra chi vuole piantare risse e chi ama davvero il tuo lavoro e vuole darti un consiglio ragionato.
    Poi non lo so, non conoscendolo così a fondo posso sbagliarmi.
    Mi ha fatto troppo ridere il commento sul western ma pure sull'horror. Mi ha fatto pensare a U-Turn che ad un certo punto si esagera talmente con la violenza, che poi non ci credi più, soprattutto se una persona sopravvive come se nulla fosse. E meno male che sarebbe la fantascienza quella che racconta cose irreali.
    Una domanda. Mi pare di capire che tu non abbia visto indivisibili o sbaglio?

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    1. Mah... riguardo Malick non sono mica tanto d'accordo, sai: io penso che non ci sia cineasta al mondo più di Malick che non ascolti (e tantomeno accetti) consigli da nessuno. Malick, da sempre, va dritto per la sua strada e con la sua idea di cinema e di vita, fregandosene delle logiche artistiche e commerciali della messa. E in questo va soltanto ammirato. Il problema (per lui) è che purtroppo ormai su questa idea si è adagiato e incartato: gli ultimi suoi film sono innegabilmente in fotocopia.

      Purtroppo non sono riuscito a vedere "Indivisibili", quest'anno il calendario era davvero zeppo di visioni: bisognava sdoppiarsi in quattro per vedere tutto :)

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    2. Sì capisco cosa intendi eh. Forse più che consigli, allora ha bisogno di nuovi stimoli. La mia era solo un'idea eh perché sto notando come, in generale, si passi da un estremo opposto: da autori in mano alle major e alle farneticazioni di certi pseudo fan ad autori con l'ego gigante come una casa che rifiutano ogni contatto con chiunque. Lode a Malick che resta indipendente, senza vendersi e accettando consigli. Spero per lui che trovi nuovi stimoli. In fondo anche Coppola è rinato a 60 anni passati.
      Peccato per il film perché mi pareva uno dei pochi italiani belli alla mostra.
      Ci sentiamo presto in privato, promesso ;)

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    3. p.s: leggendo quello che stai dicendo su Jackie non posso che essere d'accordo. Non ha nessun senso non premiare un film solo perché sarà sicuro del successo in sala. Commerciale non è una parolaccia.

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    4. Penso che un festival, o meglio la giuria di un festival, non debba preoccuparsi del fatto che un film sia più o meno "commerciale". Altrimenti, allora, meglio fare come a Toronto dove la rassegna non è competitiva e viene assegnato solo un premio al film più votato dal pubblico in sala (cosa che invece non esiste nei grandi festival, a parte Locarno). Se una giuria subisce condizionamenti, nel bene e nel male, vuol dire che lavora male a prescindere.

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  3. Anche in questo caso, la pensiamo più i meno allo stesso modo, tenendo conto che sono stata più buona con i film da te bocciati: Brinstone quando non eccede, regge e intrattiene, a The Bad Batch manca la storia ma almeno ha la regia e la fotografia ad ammaliare. Ora sono curiosa di sapere il tuo parere su Arrival ma soprattutto su La la land ;)

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    1. Hai ragione: in effetti questi voti sono, appunto, "monchi" di due film importanti come quelli di Villeneuve e Chazelle. E magari con quelli la media si alzava...
      Su "Brimstone" e "Bad Batch" proprio non riesco a vederci niente di particolare. Il premio alla Armirpour, poi, mi pare ai confini della realtà! :)

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  4. Ammetto, candidamente, di non sapere chi sia Lav Diaz. E ammetto, come te, di amare Larraìn. Tuttavia non metto bocca sui premi, perchè tanto nessuno si trova mai d'accordo. Credo che l'importanza dei festival sia anche quelle di dare visibilità alle opere che altrimenti non vedremmo mai nella programmazione normale, e se è vero da quello che ho letto che nessun film di Lav Diaz è mai stato distribuito in sala, allora ben venga il Leone d'oro. D'altronde i festival servono a questo,no?

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    1. Sai... sì, i festival DOVREBBERO servire a questo, ovvero ad offrire visibilità. Però credo che le giurie dovrebbero sempre e comunque infischiarsene delle logiche commerciali, premiando sempre e comunque il film migliore. E quest'anno per qualcuno ha vinto il migliore, per altri (me compreso) no. Ma non posso essere d'accordo con chi dice "E' stato giusto premiare Lav Diaz perchè tanto Larraìn il successo ce l'avrà comunque". La trovo, onestamente, una cazzata.

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  5. E' un peccato che non sei riuscito a vedere Villeneuve: pensi che arriverà in tempi ragionevoli sui nostri schermi?

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    1. L'uscita in sala, salvo variazioni, è fissata al 24/11

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  6. Sempre illuminati e "taglienti" i tuoi commenti, io prendo nota e porto a casa! Speriamo di vedere presto quetsi film.
    Buona serata.
    Mauro

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