martedì 20 settembre 2016

VENEZIA 73 : LA DEBACLE DEL CINEMA ITALIANO

"Piuma" di Roan Johnson
Diciamo la verità, non ci voleva molto per capire che Venezia 73 non sarebbe stata una vetrina scintillante per il cinema italiano: tre film in competizione, nessun premio e tante, tante critiche (in parte anche meritate) per tre titoli che, invero, apparivano debolucci fin dall'inizio (cioè dalla conferenza stampa di presentazione). Nessuno infatti si era illuso che Piuma di Roan Johnson (esordiente al Lido) e Questi Giorni di Giuseppe Piccioni potessero realisticamente sgomitare nel toto-premi in un concorso che annoverava Pablo Larrain, Lav Diaz, Terrence Malick, François Ozon, Denis Villeneuve, Wim Wenders, Emir Kusturica... qualche minima speranza era riposta in Spira Mirabilis del duo D'Anolfi-Parenti, ma si è capìto subito che questo documentario estremamente particolare era un oggetto fin troppo "misterioso" e rarefatto per aspirare ad un seppur minimo riconoscimento.

L'Italia torna quindi da Venezia a mani vuote, ed erano anni che non succedeva. E certo il solo Premio Orizzonti andato a Liberami di Federica Di Giacomo non basta a risollevare le sorti della débacle lagunare, su cui però è opportuno fare chiarezza. Una cosa mi sento, infatti, di sostenere a gran voce: non ricominciamo adesso con la solita litanìa della crisi del cinema italiano e dell'incapacità del nostro cinema di incontrare i gusti del pubblico e della critica! Primo, perchè generalizzare è sempre sbagliato. Secondo, perchè non è assolutamente vero: il fatto che a Venezia non abbiamo vinto nulla non vuol dire che in Italia non sappiamo più fare cinema! Significa, semplicemente, che abbiamo candidato per il Leone d'oro i titoli sbagliati, che non avevano alcuna speranza di vincere.

"Liberami" di Federica di Giacomo
Del resto, non si può parlare di "crisi del cinema italiano" a intermittenza, un giorno sì e un giorno no, rispolverando l'argomento ogni volta che il palmarés di qualche festival non ci soddisfa. Soltanto per statistica, è bene ricordare che il cinema italiano negli ultimi cinque anni ha conquistato ben due Pardi d'oro a Berlino (con i Fratelli Taviani nel 2012 e con Gianfranco Rosi nel 2016), un Leone d'oro a Venezia (sempre con Rosi nel 2013), due Premi della Giuria a Cannes (con Matteo Garrone nel 2012 e Alice Rohwracher nel 2014) oltre, naturalmente, al meraviglioso Oscar del 2014 con Paolo Sorrentino e La Grande Bellezza. A tutto questo, aggiungiamo pure il fatto che negli ultimi anni (e in particolare anche negli ultimi mesi) la nostra produzione ha saputo pure ritrovare i gusti del pubblico, riscoprendo l'utilità di quel "cinema di genere" che ha portato al successo (a volte del tutto insperato) di pellicole volutamente popolari come Perfetti sconosciuti, Lo chiamavano Jeeg Robot, Veloce come il vento, Suburra...


"Tommaso" di Kim Rossi Stewart
A Venezia, semplicemente, sono stati schierati in concorso tre titoli molto deboli. Scelte sbagliate che hanno condizionato la giuria, dandole l'impressione di un cinema ripiegato su se stesso, incapace di raccontare grandi storie e, al contrario, esageratamente minimalista (il classico schema "due camere e cucina") oppure esageratamente elitario (come in Spira Mirabilis). Eppure, a ben vedere, nelle sezioni collaterali della Mostra dei bei film italiani c'erano eccome, a cominciare dal già citato Liberami ma anche Tommaso di Kim Rossi Stuart, Il più grande sogno di Michele Vannucci, Indivisibili di Edoardo de Angelis, Vangelo di Pippo Delbono. E allora, a questo punto, mi permetto di "insinuare" una cosa: non sarà che per la scelta dei film in concorso intervengono fattori per così dire "contingenti" al puro criterio artistico? Mi fermo qui, chi vuole capire capisca.

"Spira Mirabilis" di D'Anolfi/Parenti
Ma, polemiche a parte, il nocciolo della questione è un altro: è ormai evidente, da anni, che i più importanti registi italiani non vedono di buon occhio la rassegna veneziana e cercano di evitarla quando è possibile o di "sopportarla" quando non possono farne a meno, e comunque preferendole quasi sempre festival alternativi (Cannes in testa, dove ormai Nanni Moretti, Paolo Sorrentino e Matteo Garrone, i nostri "tre moschettieri", sono praticamente di casa).

 Questione di budget e prestigio? Forse, ma non solo... i motivi sono da ricercarsi anche, purtroppo (mi dispiace dirlo) nell'atteggiamento quasi sempre ostile e prevenuto della grande maggioranza della critica di casa nostra verso il cinema italiano: un atteggiamento incomprensibile, assurdo, autolesionista e controproducente. Attenzione: non voglio dire che la critica nazionale debba difendere a tutti i costi, a spada tratta, la nostra produzione (anche se, ad esempio, i media francesi lo fanno da sempre e non se ne vergognano...) ma che abbia quantomeno un atteggiamento obiettivo! Un esempio eclatante (uno dei tanti) lo si è visto proprio all'ultima Mostra di Venezia, dove alla proiezione stampa di Piuma un imprecisato "giornalista" (chiamiamolo così) ha apostrofato con un sonoro "vergogna!" la pellicola di Roan Johnson, tra lo sbigottimento generale. Tradotto: si può pure criticare un film come Piuma, ci mancherebbe, ma ricorrere all'insulto gratuito è davvero poco edificante (e la dice tutta sulla qualità di certa critica).

E, insomma, se questa è l'aria che tira capite bene che un regista italiano ci pensa due (e forse anche più) volte prima di presentare un film al Lido, ammesso ovviamente che dipenda solo da lui (al netto, cioè, delle scelte imposte da produzione e marketing). Ma in ogni caso, ve lo garantisco, affrontare le forche caudine della nostra critica non è davvero facile per nessuno! E su questo andrebbe fatta una seria riflessione...

14 commenti:

  1. "atteggiamento quasi sempre ostile e prevenuto della grande maggioranza della critica di casa nostra verso il cinema italiano"
    Scontiamo questo problema, è vero. Annoso problema ed è per questo che non leggo più recensioni e articoli sui giornali principali, preferisco ormai da anni la rete con i blog come il tuo, molto più informati e pertinenti.

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    1. Ti ringrazio, sei troppo buono! Però, in generale, condivido: i blog offrono un'informazione magari più "dilettantesca" ma di sicuro più libera e indipendente. Non ci sono dubbi.

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  2. Assolutamente d'accordo. Se mi posso permettere io temo che sia un problema generale, amplificato dai social. Non sto dando la colpa ai social, sto dando la colpa al modo sbagliato di usarli e al modo sbagliato di criticare.
    Prima citavi Lo chiamavano Jeeg Robot. Ebbene prima ancora di uscire c'erano i soliti sapientoni tra la critica e il pubblico, pronto a stroncarlo.
    Altro esempio. Prima ancora che arrivassero a Venezia ho letto in giro critiche prevenute a Indivisibili e a Tommaso, così senza motivo.
    Non lo sopporto questo atteggiamento.
    Non amo che si parli bene del nostro cinema a prescindere, vedere Mollica, per cui tutto è sempre e solo straordinario, ma appunto un po' di obiettività non guasterebbe.
    Io sono abbastanza sicura di una cosa che se alcuni film venissero dai grandi autori americani la critica nostrana gli sbrodolerebbe sopra.
    Idiozia pura -_-.

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    1. I social riflettono il paese, ed è risaputo che l'Italia è un paese di "tuttologi"... per questo dico sempre che il cinema, e la cultura in generale, dovrebbero essere privilegio per pochi. Ebbene sì, sarò snob e presuntuoso, però non si possono regalare perle ai porci. Ricordo, ad esempio, quando in tv fu trasmesso in prima visione "La Grande Bellezza" di Sorrentino e tutti diventarono critici cinematografici, anche quelli che vedevano un film all'anno per Natale.
      Il problema, però, è che da noi anche la critica "ufficiale" è prevenuta e provinciale, spesso esercitata da chi non lo merita. E condivido al 100% la tua puntualizzazione: se molti dei nostri film battessero bandiera a stelle e strisce piacerebbero a tutti.

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    2. p.s. tra l'altro, "Tommaso" è davvero un buon film...

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  3. Non è certo da ora che i critici cinematografici italiani danno addosso al nostro cinema. La critica italiana è sempre stata provinciale, dalla notte dei tempi!

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  4. Come sai, mi sono sempre rifiutata di "confinare" qualsiasi arte (cinema compreso) sotto questa o quella bandiera. Non m'interessa se un film è italiano, americano o cinese, m'interessa solo che sia bello. Non fraintendermi: non voglio essere polemica e non ho la puzza sotto il naso, semplicemente queste logiche, davvero, mi sfuggono da sempre. E' da quando sono nata che sento parlare di morte del cinema italiano, ormai direi perfino che porta bene!

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    1. Ti capisco. E, in termini assoluti, sono d'accordo con te: è assurdo mettere bandiere alle opere d'arte. Però, permettimi, il cinema è anche industria, business, investimenti, senza i quali non esisterebbe. E vedere spesso vanificati questi sforzi per colpa di una critica dilettantesca e preconcetta non è bello. Almeno per me.

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  5. Condivido. Lo sciovinismo è sbagliato ma anche l'opposto, ovvero la stroncatora preconcetta e tafazziana dei nostri film.
    Buona giornata, Sauro.
    Mauro

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  6. In realtà il cinema italiano, quando è 'spendibile', viene apprezzato molto all'estero. I produttori italiani dovrebbero essere più coraggiosi e andare fuori dagli schemi, facendo conoscere autori e film validi che non portano solo la firma di Sorrentino e Garrone. Invece la critica nostrana dovrebbe sostenere invece di urlare vergogna. Almeno sbeffeggiassero con più originalità!

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    1. Ho ripetuto due volte invece nell'ultima frase, ma il concetto è sempre quello! :-D

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    2. Assolutamente d'accordo: il cinema italiano all'estero è infatti apprezzato, il problema è che arriva solo un "certo" cinema (cioè, appunto, quello degli autori più famosi) mentre bisognerebbe fare molto di più per allargare la nostra distribuzione...

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