giovedì 14 settembre 2017

PAGELLE VENEZIANE : CONCORSO

"Tre manifesti a Ebbing, Missouri"

Il Leone d'Oro assegnato a The Shape of Water è (finalmente, possiamo dire) il chiaro messaggio che anche ai festival può vincere un film che strizza l'occhio al pubblico, il miglior compromesso tra qualità artistica e possibilità commerciali. Come ho scritto da altre parti, il fantasy di Guillermo Del Toro non era forse il migliore film tra quelli in gara, ma davvero non si può storcere il naso di fronte alla vittoria del bravo regista messicano, al primo premio importante della sua (lunga) carriera. La 74. Mostra del Cinema ha messo in campo il miglior Concorso degli ultimi anni, con tanti titoli ben al di sopra della media (anche se forse è mancato il capolavoro, il film "memorabile", come poteva essere Larraìn l'anno passato). Nel complesso una ventina di titoli (quasi) tutti di buon livello, tra i quali anche l'Italia ha potuto ritagliarsi un ruolo da protagonista.



COLPI DI FULMINE







TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI  
(di Martin McDonagh, Usa)
Una madre disperata affitta tre giganteschi cartelloni pubblicitari per denunciare il presunto lassismo della polizia locale, rea a suo dire di non aver fatto abbastanza per catturare l'assassino della figlia, brutalmente stuprata e uccisa da uno sconosciuto. Di gran lunga il miglior titolo del Concorso: un film che ci porta nel ventre dell'America più retrograda e cinica, fatta di grandi spazi e miserie umane, dove razzismo, omertà e indifferenza sono i princìpi fondanti di gente abituata a sopravvivere nella propria mediocrità. Una pagina di grande cinema americano.


MEKTOUB, MY LOVE. CANTO UNO  
(di Abdellatif Kechiche, Francia)
Il cinema di Abdel Kechiche è straordinario nel raccontare la vita. Un giovane studente torna al paese natìo per trascorrere le vacanze estive: con la macchina fotografica inquadrerà, a debita distanza, il groviglio di corpi e sentimenti che si spiega davanti a lui. Tre ore che scorrono leggerissime, mettendo in scena relazioni di varia umanità. Non ossessivo, carnale e disturbante come La vita di Adele, ma ugualmente profondo.


THE SHAPE OF WATER   
(di Guillermo Del Toro, Usa/Messico)
Negli anni della Guerra Fredda, una ragazza muta s'innamora di uno strano essere acquatico rinvenuto in una cisterna: l'incontro tra due solitudini servirà per aiutarsi e sostenersi a vicenda in un mondo che fatica ad accettarli. Il Leone d'oro di quest'anno è una tenera ed edificante storia d'amore, contro tutti i pregiudizi e i razzismi. Film delicato e commovente, pur se non originalissimo.


AMMORE E MALAVITA  
(dei Manetti Bros, Italia)
Lo vado dicendo da almeno dieci anni: se i Manetti Bros fossero americani e lavorassero a Hollywood a quest'ora sarebbero ricoperti di gloria, oscar e dollari. Ma noi ce li teniamo stretti e festeggiamo (finalmente) il loro meritatissimo successo. Il film è un'autentica gioia per gli occhi: un musical in salsa napoletana che mescola humour, dramma, azione, melodia. Irriverente e romantico, al Lido ha contagiato tutti: mai visto tanto entusiasmo in proiezione stampa!


SUBURBICON    
(di George Clooney, Usa)
Diamo a Clooney quello che è di Clooney: che sia più bravo come regista che come attore è risaputo, e Suburbicon è un buon film. Non è vero che il merito è tutto dei Coen (autori della sceneggiatura) : gli ultimi film dei Coen sono, a mio avviso, pretenziosi e compiaciuti esercizi di stile. Invece Suburbicon è un bel noir teso e graffiante, una satira feroce alla politica trumpiana, pieno di ritmo e humour nero. Demenziale, violento, sarcastico, cinico. E purtroppo sottovalutato.


LA VILLA  
(di Robert Guédiguian, Francia)
In una caletta nei pressi di Marsiglia tre fratelli si riuniscono per assistere il vecchio padre malato. Sarà l'occasione per parlarsi e confrontarsi, riaccendendo vecchi dissapori e provando a riannodare i legami famigliari. Ma lo sbarco di alcuni profughi proprio sulla spiaggia della loro villetta cambierà fortemente i connotati della storia. Bel film questo di Guédiguian, sobrio e impegnato, senza un fotogramma fuori posto, che ti costringe a riflettere e pensare. Meritava di più.


LEAN ON PETE  
(di Andrew Haigh, Gran Bretagna)
Il quindicenne Charley, rimasto orfano, attraversa l'America a dorso del suo cavallo, ereditato dal padre, alla ricerca di una vecchia zia che potrebbe aiutarlo. Una tenerissima (e mai melensa) storia di amicizia tra uomo e animale, immersa in un western asciutto e iconico. Uno di quei film che Spielberg non riesce più a fare.


L'INSULTO   
(di Ziad Doueiri, Libano)
Una banale lite, una parola di troppo finiscono per scatenare una causa giudiziaria e un incidente diplomatico dalle conseguenze imprevedibili... il libanese Ziad Doueiri costruisce un film dalla sceneggiatura di ferro, sbattendoci in faccia la dura realtà del proprio paese fatta di rabbia repressa e mai del tutto sopita. Proprio in queste ore scopriamo che il regista è stato arrestato al rientro in patria, a dimostrazione della "scomodità" della pellicola. Un motivo in più per vederla.


SANDOME NO SATSUJIN (THE THIRD MURDER)  
(di Hirokazu Kore-Eda, Giappone)
Un noto e ricco avvocato accetta di assumere le difese di un reo confesso di omicidio, con l'obiettivo di evitargli la pena di morte. Parlando con il suo assistito, però, si convince ben presto che l'uomo non ha affatto commesso il delitto... un bellissimo legal-drama tutto giocato sulla parola e sulla psicologia degli personaggi, che si interroga sul senso della giustizia. Molto lento ma affascinante. 



C'E' DEL BUONO...




SWEET COUNTRY  
(di Warwick Thornton, Australia)
Nell'inospitale deserto australiano, a cavallo tra le due guerre, uno schiavo ne(g)ro uccide il suo padrone (bianco) che gli ha violentato la figlia. Costretto a fuggire, braccato dalle forze dell'ordine, intraprenderà una disperata fuga verso la libertà. Sorprendente western vecchio stile, molto lento ma estremamente rigoroso, dalla morale profonda. Meritato il premio speciale vinto a Venezia.


THE LEISURE SEEKER  
(di Paolo Virzì, Italia)
Paolo Virzì mette in scena un bel ritratto di amore senile: Helen Mirren e Donald Sutherland sono due anziani coniugi decisi a resistere al tempo che passa. Stanchi e malandati, rimettono in moto il loro vecchio camper per intraprendere il loro (forse) ultimo viaggio attraverso l'America. Un po' prevedibile nella trama e nella struttura, ma sincero e toccante le corde giuste. Preparate i fazzoletti: nel film la morte si materializza in ogni momento, eppure Virzì costruisce un gioioso inno alla vita. Si piange, e tanto.


JUSQU'A' LA GARDE  
(di Xavier Legrand, Francia)
Due genitori separati si contendono la custodia del figlio. Il padre è violento, manesco ed irascibile, eppure i giudici ne stabiliscono l'affido congiunto (un weekend a testa). Ma l'uomo non accetta la separazione e terrorizza la ex-moglie e il bambino. Una sorprendente, cruda opera prima del giovane regista Xavier Legrand, vincitrice di due premi tra cui quello per la regìa. Un po' acerbo ma efficace, con un finale che non si dimentica facilmente.





UNA FAMIGLIA  
(di Sebastiano Riso, Italia)
Volutamente sgradevole, il film di Riso mette in scena un argomento "spinoso" (quello dell'utero in affitto e delle donne costrette ad essere usate come procreatrici di figli a pagamento) con un'asciuttezza e un rigore poco comuni nel cinema italiano. Certo non tutto funziona (ad esempio la protagonista, Micaela Ramazzotti, ormai "prigioniera" del suo personaggio) ma in fin dei conti il tentativo, coraggioso, merita ampiamente la sufficienza.


FOXTROT  
(di Samuel Maoz, Israele)
Tre militari suonano alla porta per annunciare la più terribile delle notizie: un figlio morto in guerra, o forse no... ci siamo sbagliati. Maoz mette in scena con molto mestiere (e molto manierismo, va detto) una tragedia greca con la guerra sullo sfondo. Il regista, già Leone d'oro nel 2009 con Lebanon, indubbiamente sa il fatto suo, tuttavia la pellicola non riesce a scrollarsi di dosso un certo senso di artificiosità.




C'E' DA SOFFRIRE...




MOTHER!    
(di Darren Aronfsky, Usa)
Il cinema di Aronofsky non ha mezze misure: è debordante, eccessivo, kitsch. Quando questi elementi si amalgamano bene tra loro possono venir fuori belle cose (penso a The Wrestler) ma quando questo non succede inevitabilmente si scade nel ridicolo... eppure Mother! seppur imbarazzante a livello interpretativo e di scrittura, è un film che non lascia indifferenti: è la descrizione di un incubo, cosa mai facile. Aronofsky merita comunque rispetto.


EX LIBRIS  
(di Frederick Wiseman, Usa)
So bene che Wiseman è uno dei più grandi documentaristi viventi e ogni suo lavoro va ammirato per perfezione e dedizione, ma è anche vero che un documentario di 197 minuti sulla biblioteca pubblica di New York annienterebbe anche un toro in calore... Non perchè, sia chiaro, non si possa fare un documentario sulla biblioteca pubblica di New York, ma farlo durare 197 minuti è sadismo allo stato puro. E vi assicuro che in sala non ero l'unico a dormire.


HUMAN FLOW  
(di Ai Weiwei, Cina)
Ai Weiwei lo conosciamo bene, personaggio di grande spessore umano oltre che artista poliedrico. Ma volendo analizzare l' Ai Weiwei regista dobbiamo dire che un film di 140 minuti che mostra 23 storie diverse di migranti, ognuna delle quali meriterebbe un film a parte, non rende giustizia a nessuna di esse. Paradossalmente il film è troppo breve per sviluppare a modo le storie e troppo lungo per tenere alta l'attenzione dello spettatore. Una mezza delusione.


HANNAH    
(di Andrea Pallaoro, Italia)
Perdonate il francesismo ma... i 95 minuti di Hannah mi hanno fatto (quasi) rimpiangere i 197 del documentario di Wiseman. Una rottura di palle inenarrabile, nel senso letterale del termine: Charlotte Rampling (Coppa Volpi immeritata) sta sempre in primo piano senza fare assolutamente nulla (a parte il bagno al cane), pronuncia una parola ogni quarto d'ora e infonde tristezza a piene mani. Film ambizioso e pretenzioso, clamorosamente inutile. La solita "marchetta" da pagare al cinema italiano.



Mancano inoltre all'appello Downsizing di Alexander PayneJia Nian Hua di Vivian Qu e First Reformed di Paul Schrader, che non sono riuscito a vedere. La recensione è rimandata alla loro uscita in sala.

10 commenti:

  1. Un profluvio di stelle, vedo!! :) In effetti ho letto da ogni parte che quest'anno il concorso era bellissimo.
    Non vedo l'ora di vedere Kechiche e Guediguian, la mia indole francese reclama!
    Di McDonagh invece non so nulla, ma ne parlate tutti così bene...

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    1. McDonagh aveva già diretto due piccoli "cult" come "In Bruges" e "7 psicopatici" ma stavolta si è davvero superato. "Tre manifesti a Ebbing" è il film della maturità, un gran bel lavoro.
      E non male, comunque, anche i due francesi ;)

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  2. Tre manifesti, The Shape of Water, aMmore e malavita, Suburbicon e Mother! sono i film che non voglio proprio perdere.

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    1. Sono tutti titoli degni di nota, che meritano la visione.
      Perfino "Mother!" nonostante (a mio modo di vedere) sia un film profondamente sbagliato, è comunque un film che non lascia indifferenti. Merita rispetto (e non i fischi - assurdi e inqualificabili - sentiti a Venezia)
      Ma ne riparleremo tra pochissimo: esce il 28 settembre prossimo!

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  3. Come al solito mi fai venire voglia di vederli tutti.
    Gran bel lavoro!
    Un abbraccio.
    Mauro

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  4. Un concorso in cui le mele marce mancavano, o magari c'erano, ma solo per questione di gusti. A sorpresa infatti non mi hanno convinto e coinvolto Lean on Pete (su cui, visto il regista, puntavo molto, ma il cliché del road movie e l'abbandono a metà strada del cavallo non mi hanno fatto capire che strada voleva prendere) né La Villa, colpa di attori che ho faticato a sentire.
    Per il resto, viva Kechiche, viva McDonagh e il gran cinema, che si spera possa trovare la strada della distribuzione!

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    1. I gusti sono sempre personali, però direi che in media il Concorso di quest'anno è stato oggettivamente di alto livello (e mi dispiace che in pochi lo abbiano sottolineato come si deve, mentre invece ci "scateniamo" sempre quando non lo è). Anch'io ho "sentito" meno alcuni titoli e molto di più altri, però riconosco il fatto che stavolta tutti i film avevano il loro perchè e meritavano il loro posto. Prendo come spunto il contestatissimo "Mother!" : film sbagliato (per me) ma in ogni caso un film che non lascia indifferenti e suscita discussioni (che poi è quello che vogliamo da ogni festival...)

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  5. Mi hanno sorpreso molto i due premi a Jusq'à la garde, aquesto punto sono molto curiosa di vederlo

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    1. In effetti è stata una sorpresa anche... per il suo regista! Che, poverino, si sciolto in lacrime all'annuncio del premio per la regìa. Che dire, forse due riconoscimenti sono esagerati ma va detto che, per essere un'opera prima, è un film ben scritto, che non sbanda, che sa trattare nel modo giusto un argomento complicato, e che nel finale è ansiogeno e "disturbante" al punto giusto. I due premi non sono affatto uno scandalo.

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