sabato 18 novembre 2017

THE SQUARE

(id.)
regia: Ruben Ostlund (Svezia, 2017)
cast: Claes Bang, Elisabeth Moss, Dominic West, Terry Notary
sceneggiatura: Ruben Ostlund
fotografia: Fredrik Wenzel
scenografia: Josefin Asberg
montaggio: Jacob S. Schulsinger
musiche: AA.VV.
durata: 145 minuti
giudizio: 

trama:  Christian è un uomo piacente e di successo, direttore del Museo D'Arte Contemporanea di Stoccolma, che si prepara ad ospitare un'installazione chiamata "The Square": un quadrato luminoso dentro il quale tutte le persone hanno la stessa dignità sociale, azzerando ogni disparità. Ma il furto del cellulare innescherà nell'uomo una serie di contrattempi e inconvenienti che gli complicheranno parecchio la vita... 


dico la mia:  Il calcio non c'entra niente (giuro!), nessun dente avvelenato. Il fatto è che, personalmente, faccio molta fatica ad associare la Svezia a un paese ridanciano, amante della comicità e della satira. Insomma, ammetto di avere più di qualche problema con l'humour svedese: per questo sono rimasto piuttosto deluso da The Square, inopinatamente premiato (ora posso dirlo con cognizione di causa) con la Palma d'Oro all'ultimo Festival di Cannes e in corsa per l'Oscar come miglior film straniero. Un palmarès a mio giudizio esagerato per un film grottesco, disturbante e provocatore, ma anche esageratamente cerebrale, compiaciuto, tipico "oggetto da festival" che, sono pronto a scommettere, non reggerà per molto all'usura del tempo...

Intendiamoci, il regista Ruben Ostlund è uno che in passato ha dimostrato di saperci fare: due anni fa seppe stupire ancora la platea cannense con il bellissimo Forza Maggiore (qui la recensione), un film basato su un assunto semplice e devastante, ovvero su quanto poco, davvero poco, basti per rompere una relazione umana e sentimentale in apparenza solidissima. In quel caso si trattava di un evento imprevisto, di un'imponderabile reazione istintiva destinata a minare per sempre la solidità della coppia. In The Square accade praticamente lo stesso: un piccolo, insignificante episodio (il furto di un cellulare) scatena nel suo irreprensibile possessore una serie di reazioni negative che destabilizzeranno la sua vita e, per osmosi, quella di tutti coloro che gli stanno intorno.

Il protagonista, Christian (chissà perchè chiamato sempre e solo per nome), è un uomo ricco e piacente, direttore del museo nazionale d'arte contemporanea. Il museo sta per inaugurare una nuova opera d'arte (The Square, appunto) una specie di quadrato luminoso il cui perimetro vorrebbe rappresentare uno spazio aperto alla solidarietà e all'uguaglianza tra le persone. Eppure, dopo lo spiacevole episodio del furto del telefono, i comportamenti di Christian saranno tutti volti a smentire clamorosamente il messaggio predicato dall'installazione: l'uomo diventerà goffamente malvagio, subdolo, meschino, disposto a ogni nefandezza per scoprire l'autore del furto e recuperare il maltolto, scatenando reazioni impreviste e incontrollabili.

The Square vorrebbe essere una satira opprimente sulla società moderna e i suoi "mostri" (ben rappresentati, va detto, dalla scena ormai cult dell'uomo-scimmia che irrompe nella serata di gala, metafora efficace del disfacimento morale del nostro tempo), solo che i toni del film non esulano mai dai una comicità troppo fredda e concettuale, straniante, mal riuscita, nonchè ripetitiva e debordante: i 145 minuti di pellicola scorrono lunghissimi, in un accumulo di situazioni via via sempre più pesanti e surreali, perlopiù slegate dal contesto, che affaticano lo spettatore. Non sembra esserci infatti alcun collegamento tra le meschine peripezie del protagonista e i vari siparietti "comici" che punteggiano il film: sembra di assistere a un incrocio tra Vi presento Toni Erdmann di Maren Ade e Un giorno di ordinaria follia di Joel Schumacher, solo che le due situazioni non si incontrano mai...

The Square appare come un film furbetto e compiaciuto, con qualche trovata geniale (la già citata scena dello "scimmione", il demenziale "piano" per recuperare il telefono attraverso lettere minatorie anonime, la sequenza - terribile - tra Christian e il ragazzino che non ci sta a passare per ladro...)  ma con un'ironia mai del tutto convincente, a volte anche  greve, che non fa altro che appesantire oltremisura una pellicola basata su un canovaccio estremamente semplice intorno al quale è stata imbastita una confezione tutt'altro che snella e genuina. Un film che ammicca parecchio al pubblico senza però trovare mai il giusto equilibrio tra ironia e dramma, tra finte provocazioni (la scena del preservativo) e momenti pseudo-comici che pochissime volte strappano davvero il sorriso. Sembra un film d'autore, sembra un film intelligente, sembra un film matto e malsano... ma alla fine il re si scopre nudo. E il resto è fuffa.



6 commenti:

  1. Si ride pochissimo, e a denti stretti. Non è una commedia, anche se sembra esserlo. In realtà è un horror: un horror sull'assurdità dei nostri tempi, sull'insensatezza della vita, sulla solitudine. Mi ha disturbata, ma penso che quello fosse lo scopo del film. Per me promosso a pieni voti:)

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    1. Concordo sulla spiegazione, ma io l'ho trovato faticosissimo: è vero, la satira quando è pesante sfocia nel dramma, nell' horror simbolico... però a me questo film ha lasciato poco e ha disturbato ancor meno, ho sofferto parecchio il minutaggio (con conseguenti cadute di palpebra). D'altra parte come scrive sotto Stories è un film divisivo e allora, forse, il suo obiettivo lo ha raggiunto ;)

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  2. Ciao Kris! :)
    Non lo nego: Questo film mi incuriosisce parecchio sia per i suoi riconoscimenti che per la presenza della Moss. Mi intimorisce però questa sua confezione un po' intellettualoide. Chissà quale sensazione avrà la meglio. Sicuramente un lavoro che fa discutere, considerando i diversi pareri discordanti che leggo. E, forse, con questo ha già raggiunto il suo obiettivo!
    Un saluto,
    Fede.

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    1. Esatto: a Cannes c'è chi lo ha incensato e chi lo ha demolito, e probabilmente è giusto così. Comunque lo si veda, non è un film banale e ne va dato atto al regista. Io l'ho trovato troppo lungo e troppo pesante, e resto dell'idea che con un'una mezz'oretta in meno, rinunciando a qualche scena appiccicata lì, poteva essere davvero molto più graffiante e sardonico. Ma è solo la mia opinione...

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  3. L'umorismo svedese non ha mai brillato per acume, ma penso che il regista lo sappia perfettamente. La satire è volutamente pesante proprioperchè NON deve far ridere, è parte integrante del disagio che scaturisce dal film

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    1. Dici? Può anche essere... forse sono io che non l'ho visto sotto questo (rispettabilissimo) punto di vista. Di certo c'è che, sì, lo humour non è la caratteristica base degli svedesi!

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