martedì 19 dicembre 2017

SUBURBICON

(id.)
regia: George Clooney (Usa, 2017)
cast: Matt Damon, Julienne Moore, Oscar Isaac, Noah Jupe, Jack Conley, Gary Basaraba
sceneggiatura: Joel Coen, Ethan Coen, Grant Heslov, George Clooney
fotografia: Robert Elswit
scenografia: James D. Bissell
montaggio: Stephen Mirrione
musiche: Alexandre Desplat
durata: 104 minuti
giudizio:

trama:  America, fine anni '50. Nella tranquilla e ospitale cittadina di Suburbicon il grigio uomo d'affari Gardner Lodge subisce, insieme alla sua famiglia, una brutale violazione di domicilio. Sarà la scintilla che farà esplodere il pentolone di ipocrisia e conformismo su cui si regge la gretta comunità di questa apparente città-modello, innescando una spirale di violenza senza fine... 


dico la mia:  Diamo a Clooney quel che è di Clooney, per cortesia. E riconosciamo una volta per tutte i meriti di questa star hollywoodiana che, strano ma vero, dispone anche un cervello pensante, buoni dote registiche, ed ha il coraggio di criticare apertamente un certo establishment (quello hollywoodiano) e una certa politica (quella trumpiana) senza peli sulla lingua, trasferendola nei suoi film. Che Clooney sia più bravo come regista che come attore è risaputo, e non è affatto vero che i meriti di Suburbicon stanno tutti nella sceneggiatura fratelli Coen... anche perchè questo vecchio copione dei Coen (che risale agli anni '80) è stato implementato e reso "attuale" (poi vedremo perchè) dallo stesso Clooney, insieme al suo "fido" sceneggiatore Grant Heslov. E il risultato finale è tutt'altro che disprezzabile.

Anche perchè, diciamolo chiaro, gli ultimi film dei Coen sono stati alquanto deludenti, più che altro per la distanza dal loro pubblico, manieristici e autoreferenziali. Invece Suburbicon è una dark-comedy divertente e ferocissima, che parla a tutti, con l'intento evidente di metterci in guardia dai pericoli del conformismo borghese, dall'ottusità e il bigottismo di una classe sociale agiata, egoista e sorda ai problemi del mondo, che si finge progressista e liberale ma solo finchè non si vanno a toccare i propri interessi e privilegi.

Suburbicon è in apparenza una città-modello, un luogo immaginario e perfetto fatto di villette a schiera con giardino, strade pulitissime e ordinate, vicini di casa cordiali e donne che vanno sempre a messa. Eppure questo quadretto idilliaco nasconde un substrato di ipocrisia e marciume che, di lì a poco, deflagrerà in tutta la sua cieca violenza. Non ho usato a caso la parola substrato: il prefisso -sub (come nel titolo del film) sta ad indicarci quello che si nasconde sotto il tappeto, sotto la superficie di un'ingannevole tranquillità, sotto le mentite spoglie di personaggi ambigui e repellenti come il protagonista del film, Gardner Lodge (un Matt Damon tanto bravo quanto odioso) nei cui occhiali "incerottati" si leggono le crepe di una morale marcia e sempre tragicamente attuale.

 Anche il film si compone di tracce e sottotracce, e qui vengono fuori i meriti di Clooney e Heslov: mentre la traccia principale, quella dei Coen, descrive le dis-avventure della famiglia Lodge (i cui membri, padre, figlio, madre e cognata - entrambe interpretate da Julianne Moore - vengono sequestrati e torturati in casa propria da una coppia di balordi), la traccia secondaria (scritta da Clooney e Heslov) descrive il disagio e lo strisciante razzismo dell'intera comunità nei confronti di una famiglia di colore appena stabilitasi in città, la cui unica colpa è il nero della loro pelle. E come non vedere dunque nelle palizzate che i civilissimi vicini di casa erigono per "proteggersi" dai nuovi arrivati una critica diretta (e giusta) alla folle politica trumpiana dei "muri" e dei rimpatri? Siamo negli anni '50, sembra dirci Clooney, ma ad oggi poco è cambiato...

Ma Suburbicon è più che altro una lucida critica a un modello sociale fallimentare, quello di una società agiata e rinchiusa in se stessa, che non tollera il cambiamento, che rifiuta tutto ciò che non rientra nei propri standard sub-culturali, la cui dis-educazione partorisce mostri in giacca e cravatta: non è un caso che tutti i protagonisti del film (buoni e cattivi, nessuno escluso) siano degli emeriti imbecilli che prendono sempre le decisioni sbagliate al momento sbagliato facendo precipitare la città nel sangue. Suburbicon è una satira feroce e spietata che celebra, attualizzandolo, il grande cinema americano di una volta (quello di Fritz Lang, Billy Wilder, Howard Hawks...) che sapeva divertire e far ragionare il pubblico su temi squisitamente politici, senza paura di sporcarsi le mani, dicendo le cose in faccia alla gente.

Certo, è lecito chiedersi cosa sarebbe diventato questo film in mano ai Coen (che comunque non ci avevano creduto, lasciando cadere lo script nel dimenticatoio). Ma è giusto anche rendere onore a Clooney che, alla sua sesta regìa, prosegue con coerenza e sincerità il suo percorso artistico fatto di impegno civile e politico, profondamente liberale, con risultati tutt'altro che disprezzabili.

6 commenti:

  1. Sai che invece a me non ispira? Sarà che è uscito in un momento in cui ci sono film che hanno un maggiore appeal, ma sul fatto che Clooney sia un bravo regista non ci piove!

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    1. E' un bravo regista ma è anche uno dei più sottovalutati... nessuno gli perdona di essere ANCHE (e soprattutto) un divo hollywoodiano. Eppure tutte le sue sei regìe, compresa questa, sono tutt'altro che banali. Dagli una possibilità :)

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  2. So che in America non è stato apprezzato, eppure io sono d'accordo con te: film caustico e scorretto, che apre tanti interrogativi sui tempi che corrono.
    Un caro saluto.
    Mauro

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    1. E' vero, in America è stato un flop clamoroso. Ma non per questo dobbiamo farci condizionare: a me è piaciuto parecchio

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  3. Bellissima commedia nera, mi ha tenuta incollata alla poltrona dall'inizio alla fine! Ma a Venezia perchè non è stato apprezzato?

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    1. Ma sai... a Venezia (purtroppo) difficilmente il cinema americano, specie se mainstream, viene apprezzato. Un vero peccato, perchè questo è un film d'autore a tutti gli effetti. E resto convinto che se la regìa fosse stata dei Coen qualche premio lo avrebbe portato a casa di sicuro...

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