sabato 28 aprile 2018

IL TUTTOFARE

(id.)
regia: Valerio Attanasio (Italia, 2018)
cast: Sergio Castellitto, Guglielmo Poggi, Clara Alonso, Elena Sofia Ricci
sceneggiatura: Valerio Attanasio
fotografia: Ferran Paredes Rubio
musica: Pivio, Aldo De Scalzi
montaggio: Giuseppe Trepiccione
durata: 96 minuti
giudizio:


trama:  Antonio Bonocore, giovane praticante avvocato, svolge il tirocinio presso lo studio del "principe del foro" Toti Bellastella: 300 euro al mese (ovviamente in nero) per mettersi a completa disposizione del suo capo, anche per compiti improbabili e talvolta grotteschi...


dico la mia: Il sottoscritto di mestiere fa l'impiegato di banca, e quindi sa bene quanto certe professioni (come il bancario, appunto) permangano nell'immaginario collettivo della gente comune come esempi di attività ben retribuite e piene di privilegi. Pochi sanno invece che un neo assunto in banca, oggi, non raggiunge i 1.500 euro di stipendio mensile e con quello deve pure pagarsi la copertura assicurativa per tutelarsi dai rischi di un lavoro difficile... lo stesso discorso vale anche per un'altro mestiere apparentemente "nobile" come l'avvocato: siamo abituati a vedere in tv e al cinema figure di "principi del foro" ricchi e potenti, dall'eloquio fluido e dalle sontuose parcelle. Peccato però che l'avvocato sia uno dei lavori più inflazionati dell'Italia del XXI secolo, e per uno che sfonda ce ne sono (almeno) altri cento che si arrabattano per sbarcare il lunario.

Il giovane Antonio Bonocore (Guglielmo Poggi) è un tirocinante ingenuo e idealista che per la cifra di 300 euro al mese, in nero, si fa un mazzo così al servizio del suo mentore, il subdolo Toti Bellastella (Sergio Castellitto), per il quale si adatta a fare di tutto: aiutante, portaborse, autista, perfino cuoco personale e maggiordomo. La sua speranza (come quella di migliaia, se non milioni di altri praticanti) è quella di entrare in società nello studio legale a difendere clienti scrocconi e danarosi. Cosa che a un certo punto sembra perfino possibile, senonchè la condizione postagli da Bellastella è alquanto singolare: sposare la sua procace amante argentina per farle prendere la cittadinanza e non far destare sospetti a sua moglie (una luciferina Elena Sofia Ricci).

Il quarantenne Valerio Attanasio, al suo debutto alla regia, è stato uno degli sceneggiatori di Smetto quando voglio, e si vede: anche Il tuttofare, del resto, è una storia di precariato e sfruttamento, che racconta di giovani bravi e studiosi costretti a sopportare l'umiliazione di lavorare gratis o quasi alla mercè di una classe dirigente cafona e tremendamente ottusa. Antonio Bonocore dopo innumerevoli peripezie capisce che l'unico modo per sopravvivere in questo mondo di squali è comportarsi di conseguenza... anche se lo imparerà troppo tardi e ovviamente a sue spese. Il tuttofare, per certi versi, ricorda parecchio I mostri di Dino Risi (con Castellitto abilissimo - e divertente - nel gigioneggiare in un ruolo che avrebbe potuto essere di Gassmann o Tognazzi) e, pur non aggiungendo niente di nuovo a tanti altri film sul disagio giovanile, ha il merito di divertire e far riflettere lo spettatore attraverso un linguaggio farsesco e provocatorio, forse perfino eccessivo...

La seconda parte del film, in effetti, esagera un po' e degenera in un'escalation di situazioni sempre più grottesche e sopra le righe, dove il regista fatica a tenere insieme i pezzi di una storia buffa che finisce con l'avvitarsi su se stessa (il finale è infatti alquanto "telefonato" e prevedibile). Nella prima parte però (la migliore) ci viene mostrato uno spaccato credibile e pienamente realistico di un pezzo di paese quasi sconosciuto ai più: quello formato da tanti ragazzi disposti davvero a umiliarsi (o poco ci manca) per raggiungere un traguardo che per la maggior parte di loro resterà una chimera.

Le statistiche raccontano che solo il 10% (circa) dei candidati riesce a superare il difficilissimo esame da avvocato, che si tiene a cadenza annuale (ergo, se ti bocciano devi aspettare un anno per riprovarci). E anche una volta che si è idonei le difficoltà non mancano: devi trovarti uno studio, farti i clienti, affrontare la concorrenza (spietata) di altri ragazzi di belle speranze come te, pagare le salatissime tasse di iscrizione all'albo. Un salasso, insomma.

Un film "acerbo" ma interessante, quindi. Un'opera prima che pecca degli inevitabili errori di gioventù ma che ha il merito di rappresentare (proprio come Smetto quando voglio) un disagio sociale che colpisce le nuove generazioni e che è uno dei veri, grandi mali del nostro paese. Non è poco.

8 commenti:

  1. Già, quello degli avvocati è un micromondo che merita film come questo! Sono molto curioso di vederlo

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    1. Per me è un film discreto. Certo nel finale degenera un po' ma d'altra pare c'era una storia da imbastire (difficile fare un film solo mostrando l'umiliazione dei praticanti). Ma il messaggio veicolato è comeunque significativo.

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  2. Non mi è dispiaciuto.Un po' "grezzo" come dici te ma tutt'altro che campato per aria nel mettere in evidenza lo sfruttamento dei praticanti. Un mestiere (si per dire) e una prassi tutta italiana.

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    1. Indubbiamente. Non sono documentato ma non penso che all'estero si costringano i futuri avvocati a lavorare gratis o quasi per 18 mesi alla totale mercè dei loro capi. Almeno spero.

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  3. Mah. A parte Castellitto, finalmente non trattenuto (dalla moglie), mi è parso alquanto inveorsimile. Da salvare c'è ben poco.

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    1. Non sono d'accordo. Secondo ci sono parecchie cose da salvare: l'argomento, la condizione di un pezzo di società che non viene quasi mai mostrata, il taglio dato al film, la bravura degli attori (tutti, non solo Castellitto). Le parti deboli sono nella sceneggiatura, ma per essere un'opera prima merita ampiamente la sufficienza.

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  4. E' solo un film. E la realtà (purtroppo) supera sempre la fantasia. Conosco bene le umiliazioni cui vengono sottoposti questi ragazzi, e il taglio del regista è sì grottesco ma anche parecchio sfumato. Quasi a prendere poco sul serio una situazione che invece andrebbe condannata senza se e senza ma.

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    1. Io non mi sento di essere così cattivo... è vero, è "solo" un film, ma secondo me la condizione di questi ragazzi viene fuori eccome. Il taglio grottesco è stato volutamente adottato dal regista proprio per non incorrere nel "solito" film drammatico e pesantuccio (che poi, diciamolo, che storia si sarebbe potuto imbastire altrimenti su un praticante avvocato?). E, ripeto, a parte il finale un po' troppo sopra le righe il resto della pellicola lo trovo assolutamente credibile.

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