sabato 7 luglio 2018

PAPILLON


titolo originale: PAPILLON (Usa/Serbia/Montenegro, 2017)
regia: MICHAEL NOER
sceneggiatura: AARON GUZIKOWSKI
durata: 133 minuti
giudizio: 



Quando si fa un remake di un film così famoso, quasi "cult", nella fattispecie l'omonimo film del 1973 diretto da Franklin J. Schaffner, scritto da Dalton Trumbo e interpretato da due mostri sacri del cinema hollywoodiano come Steve McQueen e Dustin Hoffman, la domanda appare perfino scontata: era proprio necessario? Difficile rispondere... come dico sempre, i film non cambiano la vita (anche se possono renderla molto più felice) e quindi probabilmente no, non si sentiva la necessità di rifare Papillon, specialmente in questo formato-fotocopia che l'inesperto regista danese Michael Noer ha girato senza sussulti. Però, come ben capite, questo discorso può valere un po' per tutti i film, e quindi mi pare giusto analizzare il nuovo Papillon prescindendo dall'originale.

Basato anche questo sull'ormai celeberrimo libro di memorie del vero Henri Charrière, piccolo truffatore che nel 1931 fu condannato all'ergastolo per un delitto mai commesso e quindi spedito nel terribile carcere dell' Isola del Diavolo, nella Guyana Francese, dove fu costretto ai lavori forzati sotto il regime carcerario più duro al mondo, una specie di lager legalizzato, la cui testimonianza creò non poco imbarazzo nell'opinione pubblica transalpina, il Papillon di Michael Noer è un elegante e pedissequo clone dell'originale che ha almeno il pregio di non annoiare mai: le due ore e un quarto di lunghezza scorrono fluide, senza cali di ritmo, in un discreto mix di azione e dramma, anche se la sceneggiatura non può certo dirsi imprevedibile (anche per chi non ha visto la pellicola di Schaffner).

Qualcosa però non torna, e si capisce subito perchè: si ha la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di finto, di poco credibile, vuoi per la fotografia asettica e la freddezza del digitale, vuoi per qualche piccolo ma marchiano errore tipico da film commerciale poco attento alla storia (i messaggi sui bigliettini che si scambiano i prigionieri sono scritti in inglese: come è possibile?) che, insomma, faticano a persuaderci che stiamo assistendo a una vicenda svoltasi più di ottant'anni fa, e che ci sembra davvero di aver già visto...

Il nuovo Papillon è un lungometraggio gradevole ma loffio, che non aggiunge niente all'originale e si limita a ricopiarlo perbene, privo però dell'effetto-sorpresa che nel 1973 poteva avere un film carcerario, novità quasi assoluta per l'epoca e che oggi risulta addirittura inflazionata: tra cinema e tv i prison-movies sono ormai all'ordine del giorno, e di sicuro lo spettatore non è più da tempo "vergine" in materia. Un film con poco mordente, un compitino ben svolto che però è totalmente svuotato della portata politica-sociale e delle relative polemiche che scatenò alla sua uscita, le cui uniche emozioni (si fa per dire) vengono dalle numerose efferatezze (queste sì, evitabili) che si susseguono durante la visione.

Infine, aspetto certo non secondario, la coppia di protagonisti scelti (Charlie Hunnam e Rami Malek) non ha il carisma per caricarsi sulle spalle un film che è soprattutto un film d'attori. Anche senza voler scomodare per forza il confronto impossibile con McQueen e Hoffman, i volti dei due nuovi performer non danno mai l'impressione della sofferenza, della paura, del dolore, della rabbia repressa covata in tanti anni di prigionia. La loro immagine sempre rassicurante, da "bravi ragazzi", stride pesantemente con il significato dell'opera.

4 commenti:

  1. Tante volte mi sfugge il senso di queste operazioni... mah.

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    1. Il senso è... la scarsa fantasia che a Hollywood e dintorni ormai manca sempre più, anche se questo film non può dirsi strettamente hollywoodiano (è una co-produzione con Serba e Montenegro, probabilmente per risparmiare). Però la tua domanda è più che pertinente: non se ne sentiva la necessità in effetti!

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  2. Sarò sincero: non mi aspettavo niente di diverso!
    Buona giornata e buona settimana!
    Mauro

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