mercoledì 12 settembre 2018

PAGELLE VENEZIANE : CONCORSO


Dopo l'edizione "stellare" dell'anno passato, forse la migliore degli ultimi anni, al curatore della Mostra Alberto Barbera è (quasi) riuscito il miracolo di ripetersi, allestendo un Concorso di assoluto livello artistico, cui è mancato forse solo l' "acuto", ovvero il film che "colpisce al cuore" e mette tutti d'accordo. Tuttavia ogni lungometraggio ospitato, a partire dal vincitore, ROMA di Alfonso Cuaròn, fino al peggiore (per me) The Nightingale di Jennifer Kent, ha offerto alla platea veneziana spunti di discussione e confronto tra cinefili, che poi è esattamente ciò che si chiede a un festival del cinema...



COLPI DI FULMINE







THE SISTERS BROTHERS 
(di Jacques Audiard, Usa/Francia)
All'inizio si stenta a crederci: un western classico e malinconico che abbraccia l'epica americana e il mito dell' Eldorado... diretto da un francese! Ma poi ti fermi a riflettere e ti accorgi che questo film umanissimo e dolente, interpretato da tre attori straordinari (John C. Reilly, Joaquim Phoenix e Jake Gyllenhaal) parla di fratellenza (il titolo è eloquente), affetti familiari, diritti umani, una società utopica, idealista e più giusta. Temi da sempre affrontati da Audiard nella sua filmografia. Non se è stato il film più bello del Lido, di sicuro è quello che mi ha più toccato il cuore.


LA FAVORITA 
(di Yorgos Lanthimos, Gb/Irlanda)
Yorgos Lanthimos si dà alla commedia (!), cambia sceneggiatore e centra l'obiettivo: abbandonata la stucchevole morbisità del suo "cervo sacro", porta a Venezia un divertente, caustico, cattivissimo affresco storico tutto al femminile, intriso di somma perfidia e humour nero. Un incrocio tra i Coen e la Coppola, ma con tutto il proverbiale cinismo del cineasta greco. Bravissime Rachel Weisz ed Emma Stone, ma Olivia Colman, regina complessata e depressa, è perfino superlativa.


NUESTRO TIEMPO  
(di Carlos Reygadas, Messico)
Lui, lei, l'altro. In Messico, tra spazi immensi e tempi dilatati. A Carlos Reygadas servono 173 minuti per interrogarsi sul senso dell'amore, sul tradimento, la gelosia e il perdono. Film forte e impegnativo, non solo per il minutaggio (che un po' si sente) ma per il trasporto (sincero) che ti scatena interiormente. Faticoso ma, specie in certi momenti (la corrispondenza che si scambiano i protagonisti) davvero molto, molto affascinante.


ROMA 
(di Alfonso Cuaròn, Messico)
Il Leone d'oro di quest'anno va a un bel film parzialmente autobiografico, sincero, smaccatamete autoriale ma capace di saper toccare le corde giuste dello spettatore: nella Città del Messico degli anni '70 (di cui Roma è un quartiere), in un avvolgente bianco e nero, Cuaròn racconta l'avvincente normalità della sua famiglia e della servitù, uniti dagli eventi. Produce Netflix, e sarebbe un vero peccato non poterlo ammirare al cinema... 


ZAN (UCCIDERE)    
(di Shinya Tsukamoto, Giappone)
L'ultimo film del maestro giapponese è una bella e cruda riflessione sulla violenza e sulla morte. Un samurai senza padrone si rifiuta di uccidere il prossimo, anche a rischio di rimetterci lui stesso la vita... perchè la violenza genera sempre altra violenza. In soli 80 minuti (un gran merito, viste le durate-fiume dei film di quest'anno) Tsukamoto mette in scena con coraggio i dubbi di chi è stato da sempre abituato ad uccidere. Personalmente mi ha ricordato molto Gli Spietati di Clint Eastwood, per lo stesso tono amaro e dolente. La visione non è una passeggiata ma merita arrivare fino in fondo.




C'E' DEL BUONO...




VOX LUX  
(di Brady Corbet, Usa)
Quando i difetti di un film ne sono, paradossalmente, anche il suo punto di forza. Vox Lux è esattamente come la società che rappresenta: eccessivo, squilibrato, inquieto, tormentato. E' un film sull'ansia, come lo ha definito il suo autore, e sull'incapacità di fermarsi, di riflettere, in un mondo che gira troppo veloce. Il personaggio di Celeste, ragazzina costretta a crescere troppo in fretta e nonostante tutto ancora immatura, popstar viziata e disperata, che odia il sistema ma sa di non poterne uscire, è uno specchio emblematico del nostro tempo. La prima parte del film è cupa e prolissa, forse volutamente, poi nell'ultima mezz'ora arriva Lei, Natalie Portman, è il ritmo cresce in maniera esponenziale pari al talento di questa straordinaria attrice.


OPERA SENZA AUTORE  
(di Florian Henkel Von Donnesmarck, Germania)
Un po' troppo televisivo, con molte ingenuità, eppure capace di coinvolgere il pubblico e reggere benissimo le oltre tre ore di durata. Donnesmarck non ha grande talento registico ma è un cineasta bravo a raccontare storie, a parlare alla gente. Non è poco. Opera senza autore racconta la storia di due ragazzi vissuti negli anni più duri della Germania: il nazismo, la guerra, il muro, l'incubo di un passato difficile da cancellare. Kurt, il protagonista, cerca di farlo attraverso l'arte e la pittura, linguaggio universale di pace. Non è bello come Le vite degli altri, ma dopo il passo falso di The Tourist per il regista è il ritorno nel cinema che conta.


PETERLOO  
(di Mike Leigh, Gran Bretagna)
Onore al "compagno" Mike Leigh, sempre caparbiamente dalla parte dei più deboli e degli oppressi, cui va il merito di aver riportato alla luce un fatto storico poco conosciuto (il massacro di Peterloo ad opera dell'esercito britannico contro il popolo affamato di pane e diritti). Un po' didascalico, forse un po' troppo lungo, ma rigoroso e importante. Da salutare a pugno alzato.


CAPRI-REVOLUTION  
(di Mario Martone, Italia)
Capri, 1910: in un'isola selvaggia e poverissima, ben diversa da oggi, una giovane contadina s'imbatte in una colonia di nudisti: sarà l'occasione per prendere consapevolezza di se stessa , del proprio ruolo e della propria libertà. Martone sfrutta questa metafora per rappresentare le due Italie che si fronteggiano in un particolare momento storico: quella patriarcale e restìa al cambiamento (dei poveracci, ma anche dei nobili che temono di perdere i loro privilegi) e quella interventista e progressista della nuova classe borghese. Il problema è che lo fa, soprattutto nella prima parte, in modo un po' stereotipato e con qualche lungaggine di troppo (in certi punti pare di assistere a Mediterraneo di Salvatores) per poi riscattarsi in un bellissimo finale. Ma Il giovane favoloso e Noi credevamo erano di altro livello.


AT ETERNITY'S GATE 
(di Julian Schnabel, Usa)
Willem Dafoe conquista meritatamente la Coppa Volpi dando vita a un Van Gogh intenso e sofferente, in un ruolo che sembra cucito su misura per la sua faccia scavata, da "uno che ne ha passate tante"... la pellicola di Schnabel è un biopic piuttosto convenzionale, ma colpisce dritto al cuore il pubblico.


22 JULY 
(di Paul Greengrass, Usa)
Il 22 luglio 2011 a Utoya, in Norvegia, l'estremista xenofobo Anders Breivik uccise con bombe e armi di precisione, ma soprattutto con lucida follia, 77 persone (perlopiù ragazzi) che si trovavano lì in colonia estiva, senza mai mostrare il minimo segno di pentimento. Paul Greengrass, ottimo regista di action, ricostruisce con grande mestiere la sequenza dell'attentato, cui seguono però due ore di ricostruzione processuale e psicologica degli sviluppi della tragedia. Il film alterna momenti di commozione ed impegno ad altri di (quasi) inevitabile retorica.




DOUBLE VIES  
(di Olivier Assayas, Francia)
Un gioiello di sceneggiatura l'ultimo film di Oliver Assayas, ormai ospite fisso del Lido, nonchè un'attenta riflessione sui tempi moderni, i mezzi di comunicazione, i rapporti di coppia nell'era "social". A mancare è però l' "anima" del film, il sentimento, il coinvolgimento verso chi guarda. Un buon compito svolto con diligenza ma senza passione, che lascia in ogni caso abbastanza freddi.



FRERES ENNEMIS  
(di David Oelhoffen, Francia)
Due amici d'infanzia, uniti dal sentimento ma divisi dalla vita (e dalla legge). Quante volte abbiamo già visto un simile plot? Il regista David Oelhoffen imbastisce un convenzionalissimo drammone metropolitano senza troppe sfumature e infarcito di tutti gli ingredienti tipici del prodotto (droga, sparatorie, corse in auto, affetti familiari) però bisogna dire che il film funziona abbastanza, merito di un buon soggetto e una discreta coppia di protagonisti (il bravo Reda Kateb e il "bel" ragazzone Matthew Schoenaerts, che per una volta prova anche ad essere un minimo espressivo...). Si può vedere.




C'E' DA SOFFRIRE...




TRAMONTO    
(di Laszlo Nemes, Ungheria)
Ci sono film che a volte necessitano di più di una visione per esprimere un giudizio corretto. Questo di Laszlo Nemes ne è la prova: pellicola di grande fascino visivo, di grande bellezza estetica, ma estremamente ermetica, criptica, di non facile comprensione (almeno per me). Il formalismo esasperato (ma non compiaciuto) dell'opera ti impedisce di "sentire" il film e farlo tuo, rendendolo distante. Nemes racconta una storia simbolica del declino dell'impero austro-ungarico (il "tramonto" del titolo) attraverso le vicende di una giovane modista che torna, per varie vicissitudini, a lavorare nell'azienda che porta il suo nome ma non le appartiene più. Sarà lei che farà da cartina di tornasole con la Storia. Film complesso e faticoso, ma non privo di interesse.


SUSPIRIA  
(di Luca Guadagnino, Italia)
Non mi è piaciuto, inutile girarci intorno. Non ho un grande feeling con l'horror ma in questo caso (forse) c'entra poco. Del film di Argento è rimasta solo la traccia, Guadagnino trasporta la vicenda nella Berlino dell'immediato dopoguerra, appesantendo (troppo) la trama con contenuti socio-politici inconcludenti e anche piuttosto banali (si parla di ex-nazisti con scheletri nell'armadio, guerra fredda, stragi occulte, roba vista già mille volte...) Il film dura un'ora in più dell'originale e, seppur visivamente notevole e curatissimo nei dettagli, non cattura mai lo spettatore: nè per pathos, nè per per paura, nè per la vicenda in sè. Emozioni zero. Molto bella invece la colonna sonora di Thom Yorke. 


WHAT YOU GONNA DO WHEN THE WORLD'S ON FIRE?  
(di Roberto Minervini, Italia/Usa)
Tre storie emblematiche sui soprusi che deve affrontare la comunità nera residente nel sud degli Stati Uniti (già protagonista del film precedente di Minervini, Louisiana). Film di denuncia, impegnato, sulla carta potente e necessario, in realtà estremamente ripetitivo e stereotipato, di durata eccessiva. Dovrebbe indignarci, ma si respira soltanto pesantezza.


ACUSADA  
(di Gonzalo Tobal, Argentina)
Il giovane regista argentino Gonzalo Tobal, al suo primo festival importante, porta al Lido un copia-incolla della vicenda giudiziaria di Amanda Knox (ricordate il delitto di Perugia?) limitandosi a cambiare nome ai personaggi e inserendo qualche scena pruriginosa per solleticare l'appetito del pubblico (soprattutto maschile). Sembra una puntata di "Quarto grado" con un pizzico di pepe in più...


THE NIGHTINGALE    
(di Jennifer Kent, Australia)
Come volevasi dimostrare, i fatti incresciosi (che non sto a ripetere) accaduti prima, durante e dopo la presentazione di The Nightingale al Lido hanno fatto sì che questo film venisse premiato per meri motivi politici, totalmente indipendenti dalla qualità artistica dell'opera. Sì, perchè va detto chiaro: The Nightingale è un film osceno, indifendibile sotto ogni punto di vista. E' pornografia pura, un film ignobile che mette in mostra solo violenza compiaciuta e gratuita, con un sadismo da far accapponare la pelle. 136 minuti per un copione ridicolo (un revenge-movie senza nè capo nè coda) che sono solo un pretesto per "regalare" al pubblico ogni tipo di efferatezza: stupri, assassinii. mutilazioni, neonati uccisi... oltre ogni limite di buon gusto e senza alcuna ironia. Il classico titolo buttato lì in concorso al solo scopo di provocare, cosa che è puntualmente avvenuta.


Mancano inoltre all'appello La ballata di Buster Scruggs dei Fratelli Coen, First Man di Damien Chazelle e The Mountain di Rick Alverson, che non sono riuscito a vedere. La recensione è rimandata alla loro uscita in sala.

6 commenti:

  1. I tuoi "colpi di fulmine" sono anche i miei, però io voglio vedere anche Suspiria: sono troppo curiosa!

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    1. Ci mancherebbe, "Suspiria" è il classico film divisivo: a me non è piaciuto (più che altro per la sua pesantezza) però in molti hanno gridato al capolavoro. E comunque è un film formalmente e visivamente inmpeccabile, solo per questi aspetti merita la visione.

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  2. Un grandissimo lavoro, come sempre. Complimenti. Grazie a queste schede avremo di che sognare per tutto l'autunno!
    Buonanotte.
    Mauro

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  3. C'è molta storia in questo concorso veneziano, una gran voglia di guardare al passato (almeno al cinema) e non può che essere una bella cosa, in tempi dove la storia non si insegna più

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    1. Vero. Bella riflessione. Indubbiamente sì, del resto la storia, come anche la fantascienza(pur essendo generi agli antipodi) hanno uno scopo ben preciso: parlare del passato o del futuro per farci riflettere sul presente. E, come dici giustamente, solo Dio sa quanto oggi c'è bisogno!

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