sabato 2 ottobre 2010

Oscar: l'Italia "scommette" su Virzì

E così, con ben poca suspance in verità, il nodo è stato sciolto: sarà La prima cosa bella di Paolo Virzì il film che rappresenterà l'Italia agli Oscar 2011. Una scelta ovvia, scontata, e che speriamo possa rinverdire i fasti di un palmarès italico che è ormai fermo al 1999, quando fu Roberto Benigni con La Vita è Bella a portarsi a casa per l'ultima volta l'ambita statuetta. Non sarà facile, la concorrenza quest'anno è agguerrita e ben qualificata: favorito su tutti il bel film francese Gli Uomini di Dio di Xavier Beauvois, ma altri brutti clienti potrebbero essere il messicano Biutiful di Gonzalez Inarritu (con Javier Bardem), il thailandese Lo zio Bonmee che si ricorda le vite precedenti (entrambi premiati a Cannes), il bosniaco Cirkus Columbia di Denis Tanovic, lo spagnolo Tambien la lluvia di Iciar Bollain, il danese In a better world di Suzanne Bier. Più, ovviamente, le inevitabili sorprese.

Scelta giusta e scontata, dicevamo. Ma questo non ci impedisce di fare alcune considerazioni in merito ai criteri di selezione e, più in generale, di riflettere sull'annosa questione dello stato di salute del cinema italiano.
Cominciamo col dire che, a mio personalissimo parere, La prima cosa bella non solo NON è stato il film più bello della scorsa stagione, ma non è nemmeno il film più bello dello stesso Virzì. E' una pellicola ruffiana, buonista, un po' stucchevole, decisamente sconsigliata ai diabetici. Nulla a che vedere con le precedenti opere del regista livornese, da Ovosodo a Caterina va in città, ironiche, graffianti e, soprattutto non omologate. Eppure ha un punto di forza che la rende adattissima al mercato internazionale: la storia è semplice, lineare, universale. E' una storia che può funzionare bene in tutto il mondo, a qualunque latitudine, e risultare così comprensibile e chiara da non aver (quasi) bisogno nemmeno dei sottotitoli. E', insomma, un film VENDIBILE all'estero: roba che nella produzione italiana di oggi sembra quasi una parolaccia.

Questo, infatti, almeno secondo me è il grande problema del cinema italiano: non riuscire più a raccontare storie che possano essere viste e capite da chiunque le guardi, a prescindere dalla lingua e dalla razza... Siamo diventati (salvo poche eccezioni) provincialotti e ottusi, gelosi (giustamente!) della nostra tradizione ma incapaci di esportarla, ci vantiamo di avere una cinematografia sempre viva e di qualità, eppure i nostri film nella stragrande maggioranza dei casi non vanno oltre la dogana di Chiasso...
Ecco perchè opere come Noi Credevamo, il film più bello visto quest'anno a Venezia, non spuntano nemmeno un premio (cosa può capire un giurato straniero del nostro Risorgimento?). Ecco perchè film come Gomorra e Il Divo, capolavori e massimi esponenti di un cinema nazionale geniale e elitario, raccolgono messe di premi ma nemmeno sbarcano oltreoceano.

Ed ecco perchè i lungimiranti selezionatori nazionali hanno preferito La prima cosa bella a titoli ben più importanti ma strettamente 'territoriali' come, ad esempio, L'Uomo che verrà di Diritti o La Nostra Vita di Luchetti. A dire la verità un altro bel film (anzi, un grandissimo film!) di respiro internazionale quest'anno c'era: Le Quattro Volte di Michelangelo Frammartino. Ma sappiamo bene che titoli come questo è già un miracolo se riescono ad arrivare nei cinema, figuriamoci ottenere una distribuzione disgnitosa!
Siamo prigionieri delle nostre quattro mura, e gelosi di un mondo che ci va sempre più stretto.
Speriamo che Virzì possa farci cambiare strada, ma onestamente ci credo poco.

2 commenti:

  1. Posso permettermi di dissentire carissimo?Non voglio fare del nazionalismo becero, ma vorrei proprio capire perché il risorgimento non dovrebbe avere respiro internazionale quando film che parlano della rivoluzione francese, di Maria Antonietta, della guerra civile americana, della guerra dei roses, della guerra civile in Ruanda, dei problemi interni in Afghanistan invece sono considerati di respiro internazionale?E tu sai quanto adoro, ad esempio, Marie Antoinette.. non sarà che sono gli altri che non sono capaci di mettersi nei nostri panni?Ad esempio tu citavi "Il Divo" forse sai che Sean Penn quando lo premiò nel 1998 disse di averci visto Kissinger nel personaggio de "Il divo"?Non sarà che i distributori hanno paura di tematiche troppo italiane che farebbero a pezzi i luoghi comuni imbecilli che ci sono in ogni film(magari anche bello... tipo chessò "Ricette D'amore", carinissima commedia tedesca con un gustoso sterotipo nostrano)estero che parla anche di noi?Mi viene in mente il caso di "Dopo Mezzanotte" che ha vinto premi ovunque e ha incassato più soldi all'estero che non da noi... perché i distributori non hanno più coraggio?Perché anche i selezionatori italiani non provano a scegliere film italiani come il citato "Noi credevamo"?Siamo davvero così sicuri che non incasserebbe all'estero?E questo senza nulla a togliere a "La prima cosa bella". Il problema, a mio parere, non è tanto i film poco internazionali, ma il poco coraggio di distributori e selezionatori nostrani per l'oscar: se non ci crediamo noi ai nostri film perché ci dovrebbero credere gli altri?
    Scusa il malloppone

    RispondiElimina
  2. Cara Silvia, tu puoi permetterti tutto!! :-)
    Hai ragione, davvero. Noi italiani spesso ci siamo dovuti fare una cultura sulla storia americana (il che non è un male, per carità...) per capire i loro film, e non ci sarebbe niente di male che anche loro facessero altrettanto nei nostri confronti.
    Il problema è che loro, purtroppo, hanno il coltello dalla parte del manico: il potere economico e la lingua sono ostacoli difficili da superare. "Loro" hanno i soldi e fanno quello che vogliono. E in più i nostri film sono girati in una lingua bellissima, la più bella che c'è, ma che (ahinoi) è parlata solo da 60 milioni di persone su 5 miliardi di abitanti. E all'estero, purtroppo, non doppiano i nostri film...

    RispondiElimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...