venerdì 3 dicembre 2010

L'ultima zingarata

Chi mi conosce sa che non amo i 'coccodrilli'. Non mi piacciono i necrologi e difatti non ne troverete mai qui sopra: odio gli articoli preconfezionati e apologici delle grandi personalità che passano a miglior vita. Non è cinismo: semplicemente non servono, perchè chi ha avuto la fortuna di fare cinema lascia come testamento la propria opera, che vale più di mille rassegne stampa.
Questa volta però ho deciso di fare un'eccezione, e non tanto per la statura artistica di un grande maestro del cinema come Mario Monicelli, altrimenti chissà quante 'eccezioni' dovrei fare: nello stesso giorno, ad esempio, sono morti anche Leslie Nielsen e Irwin Kershner. Di sicuro meno importanti del 'Grande Vecchio' (cinematograficamente parlando, s'intende) ma egualmente capaci di regalarci tante emozioni in celluloide.

No, quello che mi ha colpito è stato il modo in cui è morto Monicelli: gettandosi giù da un balcone dell'ospedale, senza essere visto da nessuno e senza lasciare alcun messaggio a motivazione del suo gesto estremo. Non lo nego, mi ha turbato molto. Fa un certo effetto sapere che una persona si suicida a 95 anni, anche se non fosse ricca e famosa come il 'padre' della commedia all'italiana. Molti considerano il suicidio un segno di debolezza, io credo che a quell'età sia un atto di grande coraggio e di grande lucidità. Debole, semmai, è chi si toglie la vita a vent'anni, con una vita intera ancora davanti e con tante possibilità sempre aperte: si è deboli perchè non si ha la voglia di combattere, di reagire. Non è una critica, sia chiaro. Solo una constatazione: ognuno ha il diritto di disporre come vuole della sua vita, nessuno è giudice per commentare certe azioni.

Se Monicelli fosse morto di malattia, o di vecchiaia, o investito da una macchina probabilmente non avrei scritto nulla qui sopra. E in ogni caso non ci si può 'stupire' della morte di un quasi centenario. Ma saperlo morto così... beh, mi ha fatto una certa impressione e molta tristezza. Ma anche un grande rispetto verso una persona che ha voluto essere se stessa fino alla fine. Se n'è andato per sua scelta, prima che una malattia subdola e crudelle avesse ragione della sua fibra stanca e malandata. E' stata la sua ultima 'zingarata', la degna chiusura di una vita dedicata al cinema, e che il cinema (quello italiano soprattutto) rimpiangerà.

Toscanaccio burbero, irrequieto, 'scomodo' ma tremendamente geniale, Mario Monicelli ha spesso anticipato i tempi con le sue opere: divertenti, sardoniche, grottesche ma innegabilmente amare. Come se fin dagli anni '50 presagisse il vicolo cieco in cui si sarebbe infilata la cultura e la società italiana in generale da lì ai decenni futuri: tutti i suoi film sono pervasi da un'aura tragica, pessimista se non addirittura feroce: Amici Miei mi ha fatto sganasciare dalle risate, ma se lo vai ad analizzare ti accorgi senza fatica che è uno dei film più cupi e tristi del millennio che ci ha lasciato.

E' stato bello vedere l'altra sera in tv gli studenti urlare a squarciagola slogan e cori in ricordo di Monicelli. Lui, da sempre contestatore e bastiancontrario, da lassù avrà sicuramente apprezzato.
Ma, com'è nel suo stile, senza darlo troppo a vedere.

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