domenica 6 marzo 2011

IL GIOIELLINO (Italia, 2011) di Andrea Molaioli


"A parte i quattordici miliardi di debiti, questa azienda è un gioiellino". La frase è stata attributa a Calisto Tanzi, ed è emblematica del livello di una certa classe imprenditoriale tipicamente nostrana: quella dei 'miliardari di provincia' che, con somma ignoranza e spregevole cialtronaggine si atteggiavano a padri-padroni della finanza italiana nell'immediato dopo-tangentopoli. Era la seconda metà degli anni '90, la bufera che aveva sgretolato la prima repubblica non si era ancora placata, eppure c'era chi, in barba a tutto, si permetteva di 'inventarsi' di sana pianta soldi facili confidando nella propria onnipotenza, incuranti delle conseguenze (sia quelle riguardanti loro stessi che quelle, ben più drammatiche, verso gli ignari risparmiatori che avevano dato loro fiducia). Come dire: cambiare tutto affinchè nulla cambi, secondo la ben nota teoria gattopardiana.

Piccoli uomini, meschini individui, rozzi nell'aspetto e nella goffaggine: fanno i conti a mano, parlano a malapena l'inglese, si tuffano nella Borsa senza cognizione di causa, senza idee, senza dignità, senza vergogna. Spendono e spandono, falsificano bilanci, rubano dalle proprie tasche (il colmo!), utilizzando la loro azienda come un bancomat. Si chiamano Tanzi, Cragnotti, Fiorani, Coppola, Ricucci... gente inetta e barbara, triste esempio di un paese (rigorosamente scritto con la 'p' minuscola) che troppo spesso si è identificato a loro immagine e somiglianza. E che troppo spesso ha coperto le malefatte di questi individui, incoraggiandone addirittura la loro inquietante carriera. Ne sono una prova le varie depenalizzazioni del falso in bilancio, la mancata viglilanza degli organi preposti, i politici che dietro 'laute ricompense' (chiamamole così) chiudono un occhio (e forse anche tutti e due) di fronte a palese delinquenza.

L'ultimo film di Molaioli racconta questo, e gli va dato atto di aver avuto coraggio. Il film non è perfetto, tutt'altro, ma centra l'obiettivo: quello di tratteggiare la grettezza e lo squallore di una società basata sul denaro facile e la corruzione, dove si va avanti per 'conoscenze', 'amici', appoggi politici, e dove chi si sforza di essere onesto (o meno 'farabutto' degli altri, se preferite) fa inevitabilmente una brutta fine. La vicenda ricalca espressamente quella della Parmalat, ma non necessariamente si deve fare un confronto con i 'protagonisti' dell'epoca. E' semplicemente 'una storia italiana' come tante, portata come esempio.
Il film è abbastanza didascalico, ha una struttura un po' troppo 'televisiva', tratteggia in modo superficiale e anche abbastanza ingenuo situazioni ben più complesse e drammatiche, stemperandone la drammaticità e facendo ricorso a luoghi ben più che comuni (la donna in carriera che va a letto col capo), ma bisogna dire che nel complesso coinvolge e appassiona, pur non essendo un film 'denuncia' ma una discreta pellicola d'inchiesta, decisamente 'fuori contesto' e coraggiosa nel panorama attuale del cinema di casa nostra.

Bravi gli interpreti, tutti azzeccati: Servillo è 'imperiale' come sempre nel suo ruolo, ma corre il rischio di 'inflazionare' la sua immagine recitando sempre la parte del 'bastardo cinico': prima o poi vorremmo vederlo in una commedia... Remo Girone, dimesso e trattenuto, incarna perfettamente i panni dell'imprenditore sprovveduto e 'vecchia maniera', travolto dagli eventi. Sarah Felberbaum, bellissima e 'stronza' al punto giusto, al suo primo ruolo importante è più che credibile.

VOTO: * * *

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