giovedì 30 giugno 2011

TRANSFORMERS 3 (USA, 2011) di Michael Bay


Se non fosse che il vecchio detto 'al peggio non c'è mai fine' è, putroppo, drammaticamente vero (e solo per questo non mi sbilancio troppo), non avrei problemi a incoronare Michael Bay come il peggior regista vivente. Certo, lui non sa nemmeno che esisto, e se anche lo sapesse si farebbe sicuramente delle grasse risate a fronte dei quasi 800 milioni di dollari incassati con la sola trilogia dei Transformers, ai quali poi vanno aggiunti gli introiti altrettanto clamorosi di Armageddon, Pearl Harbor, The Rock e compagnia. Insomma, un vera e propria miniera d'oro per Hollywood che, ovviamente, se lo tiene ben stretto consentendogli di propinarci ogni anno i film più insulsi e fracassoni che il genere umano ricordi...

Ovviamente il mio è un discorso puramente qualitativo: in realtà Michael Bay il suo lavoro lo sa fare, eccome. E lo testimoniano i dati che vi ho appena riferito. Il problema è un altro: come è possibile che così tanta gente corra a vedere questi film? Che cosa ci trova di interessante? Come è possibile, soprattutto, che RITORNI a vedere un altro film del genere dopo avere già assistito ad altre 'opere' dello stesso tipo? La risposta che tutti mi danno è sempre la stessa: 'sono film spettacolari, poco impegnati, giocattoloni adatti ad un popolo di adolescenti che ama disconnettere il cervello e passare due ore in totale svago'. Il classico 'pubblico da multisala', dunque, con bibita in mano, popcorn nell'altra e rutto libero...

Ma ora dico... è possibile che gli adolescenti siano davvero tutti così? Io non credo, così come non mi passa assolutamente per la testa pensare che chi va a vedere Transformers 3 sia automaticamente un decerebrato. Credo invece che ci sia un grosso equivoco di fondo, che forse non tutti gli appassionati di cinema hanno ben chiaro: noi 'cinefili' doc consideriamo (e ci mancherebbe altro!) il CINEMA, quello vero, come ARTE a tutti gli effetti. E che cosa si intende per 'arte', nel senso più letterale del termine? Basta andare su Wikipedia per scoprirlo: 'viene detta 'arte' ogni attività umana che, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall'esperienza, porta a forme creative di espressione estetica'.

Ecco svelato l'arcano! L'arte può considerarsi tale solo se alla base c'è uno sforzo creativo! E secondo voi in Transformers 3 c'è forse una minima traccia di creatività? Può esserci creatività in una fracassona produzione mangiasoldi? I film di Bay sono spettacolari, esagerati, elettrizzanti, divertenti... tutto quello che volete, ma sono prodotti costruiti in laboratorio che non possono definirsi film. Senza offendere nessuno e senza avere pretese di giudicare chicchessia, nè tantomeno sentirsi critici con la puzza sotto il naso. Transformers 3 è un 'oggetto' di tutto rispetto, che arriva al sodo e assolve perfettamente alla sua funzione, che è quella di attrarre pubblico grazie al 3D e ai mirabolanti effetti speciali e, logica conseguenza, incassare tanti soldi.
Ma, per favore, non chiamiamolo cinema.

VOTO: *

domenica 19 giugno 2011

LONDON BOULEVARD (GB, 2011) di William Monahan

E' il momento degli sceneggiatori che decidono di compiere il 'grande passo' verso la regia: dopo George Nolfi che ha diretto I guardiani del destino, tratto da un racconto di P.K. Dick (vedi post sotto), tocca adesso a William Monahan ('writer' prediletto da Scorsese e vincitore dell'Oscar per The Departed) debuttare dietro la macchina da presa con questo London Boulevard, opera tanto ambiziosa quanto imperfetta, degna tuttavia di rispetto e meritevole di essere vista, se non altro per l'accuratezza dei particolari e la 'confezione' di gran classe.


Tratto dal romanzo omonimo di Ken Bruen, London Boulevard racconta il tentativo di ritorno alla vita normale dell'ex-galeotto Mitchell (Colin Farrell), appena uscito dal carcere e deciso a tagliare i conti col passato malavitoso. Cercherà di guadagnarsi da vivere facendosi assumere come bodyguard di una nevrotica star del cinema (Keira Knightley) letteralmente 'assediata' dai paparazzi e da tempo inattiva sul fronte lavorativo. E' fin troppo ovvio svelarvi che nessuna delle due cose sarà semplice da realizzare...

Monahan sceglie come film d'esordio un noir di stampo abbastanza classico, riversandovi il bagaglio stilistico acquisito con The Departed e orchestrando una trama ben oliata ma anche abbastanza prevedibile: le atmosfere sono infatti quelle 'canoniche' del genere, non prive di una buona dose di violenza e di personaggi tipicamente stereotipati (boss mafiosi, usurai, vittime inermi, ragazzini adolescenti già in procinto di diventare killer spietati). Tutti elementi che però non nuociono in una pellicola tutto sommato godibile e ben orchestrata.

Dove però il film delude è proprio nella parte che avrebbe dovuto essere il vero punto di forza, l'elemento di novità in un contesto tradizionale, vale a dire il rapporto creatosi tra la vulnerabile diva e il suo aspirante 'protettore', che avrebbe meritato un approfondimento ben diverso. Keira Knightley è bravissima nell'interpretare una celebrità ansiosa, insicura e tormentata, ormai fuori dal giro e dalla vita privata impossibile. Il suo profilo scavato, appuntito, l'aspetto quasi sciatto e dimesso la rendono magnificamente credibile. Peccato però che è proprio questa parte ad essere 'trascurata' dal regista, trattata con grande superficialità e ridotta quasi ad un 'cameo' nell'economia del film. Peccato davvero perchè c'erano tutti i presupposti (non solo nel titolo) per 'rendere omaggio' al capolavoro di Billy Wilder: i raffronti con Sunset Boulevard sono evidenti e chiaramente voluti, a cominciare dal ruolo del bravissimo David Thewlis, maggiordomo-aiutante-confidente della diva, che non può non ricordare l'Erich Von Stroheim del film appena citato.

Un debutto, insomma, con luci e ombre. E dove i riferimenti cinematografici fanno soprattutto aumentare il rimpianto per ciò che doveva essere e invece non è stato, lasciandoci in bocca una costante sensazione di 'già visto'. Almeno fino alla prossima occasione.

VOTO: * * *

sabato 18 giugno 2011

I GUARDIANI DEL DESTINO (USA, 2011) di George Nolfi

Philip K. Dick si conferma lo scrittore più 'saccheggiato' dal mondo del cinema, e ormai credo che siano  ben pochi i suoi racconti o romanzi non ancora trasferiti sul grande schermo: forse sono rimasti solo quelli più 'ostici' da tradurre in immagini, e non è un caso che questo I guardiani del destino (in originale 'The adjustement bureau', vale a dire 'L'ufficio aggiustamenti') abbia impiegato così tanto prima che qualcuno decidesse di farne un film. Tratto da un racconto breve, questo debutto dietro la macchina da presa dello sceneggiatore George Nolfi è un classico esempio di fantascienza 'distopica' (ovvero ambientato in un presente ben diverso da quello attuale), dove il regista deve cimentarsi con concetti piuttosto impegnativi e assoluti quali il libero arbitrio, l'ineluttabilità del destino, la capacità dell'uomo di autocontrollarsi e tutelare la propria esistenza. Tesi che funzionano bene sulla pagina scritta, ma indubbiamente complicati da rappresentare al cinema. E il risultato, va detto subito, convince solo a metà.

Matt Damon
Il film è concepito sotto forma di 'thriller romantico': un politico 'trombato' alle elezioni e una ballerina in carriera (Matt Damon e Emily Blunt, più che discreti) si incontrano per caso (ma sarà vero?) nel bagno di un albergo. Ovviamente è amore a prima vista, ma i due finiscono per perdersi quasi subito, salvo poi incontrarsi di nuovo dopo diversi anni, in tempo per scoprire che il loro amore è contrastato da un 'commando' di energumeni in giacca, cravatta e cappello, incaricati da un fantomatico 'Presidente' di far sì che il destino del mondo compia regolarmente il proprio corso. La ragione per cui due individui apparentemente insignificanti siano così importanti per le sorti del pianeta non ve la sveliamo, così come non vi diciamo come mai la loro storia d'amore non s'ha da fare: sappiate solo che questa 'task-force' di oscuri funzionari ha il compito, appunto, di sorvegliare il corretto andamento del 'Piano' e, se la situazione lo richiede, di intervenire e operare opportuni interventi (gli 'aggiustamenti' del titolo originale) affinchè tutto proceda secondo quanto stabilito.

Ma stabilito da chi? Ognuno può sbizzarrirsi come vuole nell'individuare la figura del Presidente: gli appassionati di fantascienza non potranno non intravedere somiglianze letterarie con Asimov e la sua 'psicostoria'  (con il 'mitico' Hari Seldon e l'immortale robot Daneel Olivaw nel ruolo di guardiani del tempo), oppure, restando in ambito cinefilo, con THX1138 di George Lucas o, molto più 'dozzinalmente', anche con Men in Black di Sonnenfeld.

Emily Blunt
Un giochino divertente di rimandi e citazioni più o meno esplicite, quindi. Purtroppo però bisogna dire che la resa filmica non è altrettanto autoriale: anzi, a dirla tutta si vola piuttosto bassi riguardo dialoghi e situazioni, spesso molto elementari e carichi di umorismo involontario, mentre la sceneggiatura troppe volte si arrampica sugli specchi per reggere una storia che, comunque, si difende abbastanza bene fino all'ultimo quarto d'ora di pellicola, per poi naufragare in un finale assolutamente semplicistico e 'telefonato', che certo non fa onore all'inventiva e alla visione pessimistica e disillusa di Dick verso il destino dell'umanità.
In conclusione, un'occasione perduta. O, se preferite, un discreto filmetto estivo da vedere senza troppe pretese e per trascorrere una serata distensiva e scacciapensieri. Probabilmente l'esatto contrario di quello che avrebbe desiderato l'autore del racconto...

VOTO: * * *

venerdì 17 giugno 2011

Venezia 67 \ VENERE NERA (Algeria, 2010) di Abdellatif Kechiche

Vi ricordate di Abdel Kechiche? Avevamo lasciato il talentuoso regista algerino tre anni fa, proprio alla Mostra del Cinema di Venezia, come autore del tenero e divertente Cous Cous. Pareva un Leone d'Oro scontato, e invece una giuria miope presieduta dal cinese Zhang Ymou assegnò la vittoria al connazionale (nonchè amico...) Ang Lee, vincitore per la seconda volta in tre anni. Ci furono polemiche a non finire e Kechiche, amareggiatissimo, tuonò che non avrebbe più messo piede in laguna. Però si sa, il tempo (e i soldi) leniscono tutte le ferite, e infatti rieccolo presentarsi, lo scorso settembre, di nuovo in concorso al Lido... anche se è forte il sospetto che in realtà l'autore di Venere Nera sia il suo fratello gemello, considerata l'enorme differenza di argomento, stile e toni tra le due pellicole.

Ma finiamola qui. Perchè in realtà c'è poco da scherzare: Venere Nera è un film angosciante, terribile, che non risparmia niente allo spettatore e fa riaffiorare una ferita ancora aperta nella cultura europea dell' 800.
Il film è la tragica biografia di Saartje Baartman, detta la 'Venere ottentotta', una donna nera sudamericana che divenne tristemente famosa per la forma del suo corpo, a suo modo da Guinness dei Primati: aveva, infatti, fianchi e sedere iper-sviluppati e un'apparato genitale di enormi dimensioni. tanto enormi che la poveretta, schiava nel suo paese d'origine, venne trascinata con la forza in Europa e costretta a esibirsi nei luna-park come fenomeno da baraccone. La donna non cercò mai di ribellarsi alle continue violenze, e la sua vita fu un vero inferno: prima processata  e poi venduta a un impresario senza scrupoli, poi costretta a prostituirsi in una casa d'appuntamenti parigina, morì di sifilide a soli 25 anni. Il suo corpo fu poi comprato dal Museo della Scienza Umana di Parigi a scopo di studio: gli scienziati le asportarono i genitali e li destinarono in esposizione per gli studenti di  medicina.

Le pellicola di Kechiche si rifà esplicitamente a The Elephant Man, cercando di colpire lo spettatore con scene forti, crudeli, efferate, senza fermarsi di fronte a nulla e mostrando quando occorre immagini raccapriccianti, al limite del disgusto e forse oltre. L'intento è, ovviamente, quello di far riflettere sugli orrori del razzismo, della schiavitù e della 'diversità' in generale. Ma lo stile utilizzato dal regista, inopinatamente rozzo, morboso e ricattaorio, finisce più per schifare e impietosire piuttosto che generare una presa di coscienza in chi lo guarda. Alla fine il film risulta essere toccante più per la vicenda che racconta piuttosto che per la sua realizzazione. Grande interpretazione per l'attrice Yahima Torres, clamorosamente dimenticata in sede di palmarès dalla Giuria presieduta da Tarantino.

VOTO: * *  

giovedì 9 giugno 2011

SENZA ATOMICA

Il fatto che questo sia un blog di cinema non significa che qui sopra non si debbano trattare argomenti di attualità o politica. Anche perchè il cinema ha spesso anticipato e prevenuto molti temi 'politici' per definizione, oppure ha prodotto opere capace di generare discussioni e smuovere le coscienze.
Siamo alla vigilia di una consultazione referendaria dalla quale dipenderà molto del nostro futuro... senza esagerare. Perchè convertire il nostro paese all'energia nucleare potrebbe avviare un processo irreversibile che interesserà direttamente le nostre vite nonchè le generazioni future.

Per questo ritengo doveroso 'schierarmi' in prima persona, senza alcuna difficoltà: il 12 e 13 giugno si vota per scongiurare la minaccia atomica nel nostro paese, ed è perfino superfluo pregarvi di recarvi alle urne e dare una spallata convinta a chi vuole addensare nubi 'radioattive' sulle nostre teste, al solo scopo di lucro.
Riflettete.

1. MINACCIA ATOMICA (1950) 
In seguito a un'esplosione atomica Londra viene evacuata. Fa effetto vedere la metropoli spopolata... più di cinquant'anni dopo Danny Boyle farà la stessa cosa con 28 giorni dopo.

2. IL DOTTOR STRANAMORE (1963)
Il capolavoro più amaro di Stanley Kubrick. Si ride sull'imbecillità umana, ma alla fine la bomba scoppia sul serio. Sulle note di 'We'll meet again'... strepitoso.

3. A PROVA DI ERRORE (1964)
La versione 'seria' del film di Kubrick. Uscì quasi in contemporanea e ne fu 'schiacciato', ma questa pellicola di Sidney Lumet è tutt'altro che da disprezzare. Anzi.

4. INTERCEPTOR, IL GUERRIERO DELLA STRADA (1981)
Mel Gibson è già una star, e questo film inaugurò un genere: quello del 'pianeta post-catastrofe atomica'. A suo modo, un piccolo cult.

5. PIOGGIA NERA (1989)
Una coppia di coniugi viene 'incaricata' di trovare un marito alla giovane nipote sfigurata dalle radiazioni di Hiroshima. Un viaggio allucinante negli orrori della guerra nucleare, diretto con rispetto e asciuttezza dal 'maestro' Shoei Imamura.

6. RAPSODIA IN AGOSTO (1991)
Un'anziana donna racconta ai nipotini l'olocausto nucleare. Forse non il miglior Kurosawa, ma comunque un film toccante e mai lacrimevole. Un bell'affresco sull'importanza della memoria e del ricordo.

7. GOMORRA (2008)
Garrone ci mostra senza pietà quella che sarebbe l'Italia 'convertita' all'energia nucleare: una fogna di scorie radioattive, inevitabilmente terreno fertile per la criminalità organizzata. profetico.