domenica 10 luglio 2011

THE CONSPIRATOR (USA, 2011) di Robert Redford

Washington, 15 aprile 1865: il presidente americano Abramo Lincoln viene ucciso a sangue freddo mentre sta assistendo ad uno spettacolo teatrale. L'assassino si chiama John Booth, e anche lui fa l'attore, pure di successo. Il paese, appena uscito dalla sanguinosa Guerra di Secessione, da quel momento entra nel panico, scatenando la prima grande 'caccia all'uomo' della storia americana... alla fine Booth viene ucciso da un cecchino mentre cerca di nascondersi in un fienile, mentre alcuni suoi compagni riescono a darsi alla macchia.

L'ultimo film di Robert Redford comincia da qui, ma non per raccontarci la biografia di Lincoln, come si potrebbe supporre, bensì per far luce su una vicenda 'oscura' e quasi dimenticata dai libri di storia: quella di Mary Surratt, vale a dire la proprietaria della pensione dove Booth e gli altri 'cospiratori' si riunivano per definire i loro piani terroristici. La donna viene arrestata e incarcerata per favoreggiamento, oltre ad essere esposta al pubblico ludibrio in quanto responsabile di aver coperto i fautori dell'attentato. Perfino il difensore d'ufficio, il giovane avvocato Frederick Aiken, è totalmente convinto della sua colpevolezza, tanto da considerare come un'offesa verso la sua persona e la sua carriera il dover prendere le difese di chi si è macchiato di un simile reato.

Succede, però, che interrogando la donna Aiken si convince via via sempre di più che l'imputata era davvero inconsapevole e incolpevole di quello che accadeva dentro il suo albergo, e che il responsabile vero e principale collaboratore di Booth è in realtà il figlio di lei, che adesso è latitante e si nasconde chissaddove. Ogni tentativo di scagionare la sua assistita si rivela però vano: lo Stato, nella persona del Ministro della Giustizia Edwin Stanton, in realtà ha già scritto la sentenza (ovviamente di colpevolezza),  e usa la Surratt come 'ostaggio' per far costituire il figlio. E per far condannare la donna non esita a far promulgare una serie di leggi totalmente antidemocratiche e illiberali al fine di giungere allo scopo.

Robert Redford, coerente con le sue ormai celeberrime idee 'liberal-democratiche', mette in scena un film dallo stampo splendidamente 'classico', stile cinema d'inchiesta anni '70, forse un po' ingenuo e stereotipato in certe situazioni, ma onesto e 'sanguigno' nella fattura. Ed è fin troppo evidente leggere in questa pellicola una chiara e netta presa di posizione verso il sistema giudiziario americano, paragonandolo a quello attuale. Gli interrogativi che pone Redford sono noti: è giusto, in nome della sicurezza nazionale, sacrificare in parte i propri diritti e la propria libertà? E' giusto che per scongiurare una ribellione la giustizia venga piegata alla 'ragion di stato'? E' normale che chi detiene il Potere si faccia leggi a proprio uso e consumo, senza che nessuno eserciti alcun controllo?

'In guerra, le leggi si fermano' afferma Stanton nella battuta più celebre del film. Già, ma può un attentato essere considerato 'guerra'? E chi lo stabilisce? Ovviamente sempre i potenti, i vincitori, che fanno e disfanno le leggi a proprio piacimento. E ogni riferimento all'attentato delle Torri Gemelle non è certamente casuale, specie a pochi mesi dal decennale della più sanguinosa tragedia americana della storia. Redford vuole metterci in guardia e farci notare, amaramente, che a quasi 150 anni dall'uccisione di Lincoln le cose non sono affatto cambiate, e che in nome della lotta al terrorismo gli Stati uniti, oggi come allora,  non esitano a rinnegare la Carta Costituzionale, e di conseguenza la democrazia.

Il film, come detto, è bello e coinvolgente. Un legal-movie di respiro antico, interpretato da attori stupendi: da Robin Wright, mai così brava, a James McAvoy, Tom Wilkinson, Evan Rachel Wood, e un soprendente Kevin Kline, davvero a suo agio nei panni, per lui insoliti, di 'cattivo'. Bello anche il finale, che non sveliamo, ma dove una didascalia ci avverte che l'avvocato Aiken, dopo la conclusione del caso-Surratt, abbandonerà la toga per diventare giornalista: esattamente il primo cronista del neonato 'Washington Post'... come dire, gli 'Uomini del Presidente' sono avvertiti.

VOTO: * * * *

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