martedì 16 agosto 2011

IN UN MONDO MIGLIORE (Danimarca, 2010) di Susanne Bier

La Danimarca non è la Norvegia, e sarebbe tremendamente sbagliato generalizzare. Tuttavia non posso negare che la visione di questo film è stata inevitabilmente condizionata dai tragici fatti di Oslo. E confesso anche che, pur non avendo mai messo piede da quelle parti, probabilmente è vero che il 'profondo nord' dell'Europa non è affatto quel paradiso di civiltà che tutti finora avevamo immaginato. E non c'è bisogno di scomodare ulteriormente gli avvenimenti sanguinosi di questi giorni: altri indizi comparsi in tempo recente lo stanno a testimoniare: si pensi all'improvvisa 'invasione' di letteratura giallo-horror proveniente dalla vicina Svezia, a un certo tipo di musica leggera, ai film... di Lars Von Trier e, appunto, della connazionale Susanne Bier!

Nessun posto è un paradiso. E in nessun posto possiamo trovare un mondo migliore di quello che ci siamo costruiti. La sintesi è un po' grossolana ma efficace. Tutta la pellicola della Bier si regge su una metafora abbastanza semplice da capire: sia che ci troviamo nella selvaggia Africa dilaniata dalle guerre intestine, sia nella democraticissima Danimarca, i peggiori istinti umani possono portare a una spirale di violenza senza fine, partendo spesso di episodi tanto banali quanto scatenanti. Noi occidentali, per riprendere una celebre frase di Ermanno Olmi (vedi qualche post più sotto), non siamo migliori di altri e non abbiamo 'patenti' per insegnare a stare al mondo.


                                                                                                                                                                                    I protagonisti di In un mondo migliore sono due bimbi: uno, Elias, è timido e introverso, continuamente vessato dai compagni di classe. Poi c'è Cristian, appena rientrato in Danimarca dopo la morte della mamma a causa di un tumore. Entrambi hanno due padri estremamente problematici: quello di Elias si sta separando dalla moglie, che non vede mai a causa della sua professione (è medico-missionario in Africa). L'altro invece non riesce a elaborare il lutto e, soprattutto, non comunica più con il figlioletto, che cresce carico di odio e risentimento verso il padre assente e, di riflesso, verso il mondo che lo circonda. Cristian conosce Elias durante un litigio tra quest'ultimo e i 'bulli' della scuola: lo difende e lo salva dall'ennesima umiliazione. I due ragazzi cominciano a frequentarsi, ma il carattere rancoroso e arrabbiato di Cristian condizionerà anche il più mite compagno di giochi, introducendolo a un'escalation di piccoli dispetti e violenze che via via si faranno sempre più pesanti...

Susanne Bier
Il film, pur risentendo di un certo didascalismo e di certi 'virtuosismi' non richiesti (vedi l'insistito e, secondo me, inutile uso della camera a spalla: si vede che è un marchio di fabbrica in Danimarca - Von Trier docet) regge molto bene la tensione e lo spaesamento che intende instaurare nello spettatore. Molto inquietante soprattutto nel descrivere il rapporto quasi morboso che si crea tra i due ragazzi, costringendo abilmente chi guarda a interrogarsi sull'uso irrazionale della violenza, spesso causata dal comportamento di altri, nella fattispecie dal lassismo dei due padri inetti. Inevitabile a questo punto l'accostamento con Il nastro bianco di Michael Haneke, premiato a Cannes un paio di stagioni fa e dal quale, a mio modesto parere, il film della Bier attinge a piene mani.

Peccato però che In un mondo migliore non mantenga fino in fondo la glacialità e la compattezza del capolavoro di Haneke, complice l'uso spesso ridondante della musica (completamente assente e spiazzante nel film austriaco), e di un finale troppo 'telefonato' e buonista che stride non poco con quanto mostrato prima.

VOTO: * * *

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