domenica 8 settembre 2013

UN ROSI NEL DESERTO...

Sacro GRA riporta in Italia il Leone d'oro dopo 15 anni: vittoria a sorpresa ma nient'affatto scandalosa, che premia un cineasta semi-sconosciuto in patria ma autore di ottimi film purtroppo mai distribuiti. Certo i cinefili 'veri' si aspettavano il successo di Frears o Miyazaki, però va riconosciuto a Bertolucci e al direttore artistico Barbera il merito di aver 'sdoganato' alla Mostra un genere cinematografico come il documentario, finora sempre ingiustamente sottovalutato. Ma è stato il solo raggio di sole nella Mostra più sottotono dell'ultimo decennio, con un Concorso mai così scadente e pieno di trivialità e sensazionalismi. Unica nota positiva: una selezione italiana finalmente all'altezza.



Vince Gianfranco Rosi, vincono gli invisibili, le persone che stanno ai margini della Capitale e della società. Anche un grande regista come Ermanno Olmi lo va ripetendo da tempo: "saranno le periferie a salvare il mondo, il buon senso trova ancora un suo argine nelle classi esposte alle difficoltà della sopravvivenza". Rosi questo mondo lo aveva già descritto nel 2008 in un film straordinario (e purtroppo mai distribuito) come Below Sea Level, in cui raccontava la genesi di una città fantasma nel mezzo del deserto californiano abitata da persone respinte del cosiddetto 'sistema'. Sacro GRA, che raccoglie storie di ordinaria umanità disseminate intorno ai 70 km del raccordo anulare di Roma, non ha lo spessore e la qualità filmica del lavoro precedente, ma restituisce con tono leggero, garbato e ironico un filo di speranza e ottimismo a noi spettatori. In particolar modo, mi preme sottolinearlo, a quelli che come il sottoscritto hanno presenziato all'ultima Mostra di Venezia uscendo decisamente provati da un concorso che proponeva parecchi film 'estremi', efferati, psicologicamente e fisicamente durissimi.

'Philomena' di Stephen Frears
Ma anche, se dobbiamo dirla tutta, film abbastanza sensazionalistici e deliberatamente provocatori, di dubbia qualità e a mio giudizio messi in cartellone solo per far parlare di sè e cataminare l'attenzione verso una rassegna come quella veneziana in evidente crisi di soldi e di idee: ormai la globalizzazione del mercato cinematografico fa sì che il prestigio dei festival 'storici' non sia più automaticamente garanzia per la presenza di autori importanti (che ultimamente sembrano dirottare le loro attenzioni verso altre sponde ben più remunerative, come ad esempioToronto). E allora dàlli al titolo 'sconvolgente' che fa pubblicità gratuita alla rassegna...

Xavier Dolan, regista di 'Tom à la ferme'
Il problema è che quest'anno al Lido di sconvolgente c'era ben poco. Possiamo affermare con cognizione di causa che il Concorso Internazionale della 70. Mostra del Cinema è stato il più scadente dell'ultimo decennio: pochissimi titoli buoni (Philomena di Frears, Tom à la ferme di Dolan, il cartone di Miyazaki, a voler essere generosi anche The Unknown Known di Morris, un altro documentario) a fronte di autentiche ciofeche spacciate da film d'autore: alcune assolutamente irritanti e presuntuose (l'orrendo Under the Skin di Glazer, lo spocchioso e inutile La Jalousie di Garrel, per non parlare di Child of God del neo-guru hollywoodiano James Franco, oltre a Tracks di Curran, fotocopia mal riuscita di Into the wild), altre di una pesantezza insostenibile (Stray Dogs di Tsai Ming Liang, esteticamente bellissimo ma che addormenterebbe un toro) altre debordanti di violenza estrema più o meno mostrata (La moglie del poliziotto di Groening, Miss Violence di Avranas). Viene davvero da chiedersi se questi film rappresentino o meno il mondo reale (fermo restando che le stesse cose si possono dire in modi e forme ben diverse), in ogni caso è evidente ormai la netta separazione tra il pubblico 'da festival' e il pubblico 'di appassionati' (categoria alla quale mi sento di appartenere) e che di questo passo sarà sempre maggiore. Non commento (giudicate voi), è una semplice constatazione.

 Se poi allarghiamo gli orizzonti anche alle sezioni collaterali, allora... l'elenco si infittisce come la tangenziale nelle ore di punta: non è degno di commenti Moebius di Kim Ki Duk (provocazione fine a se stessa e stop), mentre si resta allibiti dalla sciatteria di film come The Canyons di Schrader (l'uomo che, non dimentichiamolo, ha sceneggiato Taxi Driver e Toro Scatenato) e Une Promesse, pastrocchio sentimentale girato svogliatamente in inglese (!) da Patrice Leconte.
Tom Hardy in 'locke'

Cosa resta? Un pugno di buoni film, finiti chissà come e chissà perchè fuori concorso e che invece avrebbero meritato ampiamente la vetrina principale: a cominciare dal bellissimo Locke, probabilmente il miglior film visto quest'anno al Lido e con il suo interprete Tom Hardy Coppa Volpi 'virtuale'. Degni di nota anche Still Life (che batte bandiera inglese nonostante la regia di Uberto Pasolini, produttore di Full Monty), l'argentino La Reconstruccion (storia di un dramma familiare e la relativa elaborazione del lutto) e la sorpresa dell'ultima ora: il remake giapponese de Gli Spietati di Eastwood, con il mitico Ken Watanabe nel ruolo che fu di Clint: un film epico e bello (quasi) quanto l'originale.

E infine, dulcis in fundo (mai come in questo caso siamo contenti di dirlo), eccoci a parlare della selezione italiana, una volta tanto degna di attenzione e all'altezza di una grande rassegna. Detto di Sacro GRA, è giusto ricordare anche gli altri due titoli tricolori in concorso: la quadrata opera prima Via Castellana Bandiera di Emma Dante (che ha regalato la Coppa Volpi all' 82enne Elena Cotta) e anche L'Intrepido di Gianni Amelio, vergognosamente fischiato e insultato in proiezione stampa, eppure a nostro parere bellissima favola laica sulla crisi economica e morale del nostro paese. E, nelle altre categorie, da ricordare almeno il divertentissimo Zoran - mio nipote scemo di Matteo Oleotto, intelligente commedia sull'integrazione e la tolleranza tra uomini (con un Giuseppe Battiston mattatore assoluto) e il profondo La prima neve di Segre (guardacaso sempre con Battiston).
Ma avremo modo di riparlarne, recensendo i film al momento della loro uscita nelle sale.
Per adesso, arrivederci al prossimo anno!

IL PALMARES DI VENEZIA 70:

Leone d'oro:   Sacro GRA  di Gianfranco Rosi
Leone d'argento:   Miss Violence  di Alexandros Avranas
Gran Premio della Giuria:   Jiaoyou (Stray Dogs)  di Tsai Ming Liang
Premio Speciale della Giuria:   Die Frau Des Polizizten  di Philip Groening
Coppa Volpi Miglior Attore:   Themis Panou (Miss Violence)
Coppa Volpi Miglior Attrice:   Elena Cotta (Via Castellana Bandiera)
Premio Miglior Sceneggiatura:   Steve Coogan e Jeff Pope (Philomena)
Premio Mastroianni Attore Emergente:   Tye Sheridan (Joe)
Leone del Futuro/Opera Prima De Laurentiis:   White Shadow di Noaz Deshe

18 commenti:

  1. Vabbè, a quanto pare però, Stray Dogs con la sua "pesantezza insostenibile" e Miss Violence con queste "violenze più o meno mostrate", si sono aggiudicati gli altri due premi più importanti, cioè!.... Poi per carità, ognuno ha i suoi gusti ci mancherebbe altro, guai se non fosse così ;)

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  2. Il toro si addormenterebbe a guardare il film di Ming-liang perché non sa nulla di estetica e perché, fondamentalmente, non ha un cuore in grado di capire la profondità e la vita che scorre in quel film.

    Ah, e "Miss violence" non è violento: è divertente.

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  3. Non sono un critico cinematografico nè ho la pretesa di diventarlo, e i miei giudizi risentono inevitabilmente di una formazione che è quella di un semplice appassionato (e non studioso) di cinema. Ragion per cui non mi sogno affatto di mettere in discussione la qualità estetica e formale di certe pellicole ma, come nel caso del film di Tsai Ming Liang, se a metà proiezione un terzo del pubblico festivaliero (che si presume competente) ha già abbandonato la sala e altrettanti sonnecchiano beatamente, credo che qualche riflessione vada fatta...

    Il punto è sempre lo stesso: la frattura ormai sempre più profonda tra il cinema 'da festival' e il cinema dei circuiti ordinari, che viaggiano inesorabilmente verso mondi paralleli. Attenzione: è soltanto una constatazione, e NON mi sogno affatto di affermare che i festival del cinema dovrebbero dare spazio alla produzione più commerciale, però non si può negare che dei venti film in concorso quest'anno a Venezia ce ne sono al massimo 2-3 che possono sperare in un qualche minimo risultato in termini di pubblico (lasciando perdere per un attimo il discorso sulle difficoltà di distribuzione). Perchè, non smetterò mai di pensarlo, il confine tra autorialità e autoreferenzialità spesso è molto sottile.

    Inoltre, come ripeto, la mia personalissima opinione è che alle pellicole in concorso quest'anno sia stato molto spazio al sensazionalismo solo per motivi di marketing: più 'estreme' sono e più fanno parlare, aldilà della loro effettiva qualità artistica. Come si spiega, altrimenti, l'esclusione dal Concorso di film come 'Locke' o 'Still Life' che avrebbero fatto un figurone specie se paragonato a certi titoli in competizione? Il dibattito è aperto...

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    1. Guarda che non è che omettendo una certa dose di personalismo e solpsismo, fosse anche egomaniaco o egoico, le tue impressioni e le tue opinioni vengano in qualche modo lambite o smussate. Il punto è questo: a me non dà fastidio che una persona dica che Tsai faccia addormentare un toro perché il film di Tsai è bello, no, a me dà fastidio che una persona dica che Tsai faccia addormentare un toro perché fondamentalmente pensa di sapere come un toro potrebbe giacere in un regime soporifero. Non sei uno studioso di cinema, okay: ma sei per caso uno zoologo? O, meglio: secondo che castistica un toro dovrebbe addormentarsi vedendo (guardando?!) un film di Tsai e non di Vin Diesel? No, sul serio: spiegamelo. Sono curioso!

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    2. Guarda, la prima regola di chi tiene un blog è quella di non rispondere alla provocazioni... anche perchè non è affatto stimolante nè divertente. Quindi per quanto mi riguarda la discussione finisce qui. Se poi vogliamo parlare di cinema sono disponibilissimo a farlo, a patto che da parte tua ci sia il rispetto per le opinioni altrui (anche perchè, aldilà del modo in cui ti poni, sei uno che ne capisce davvero. Senz'altro più di me). Se poi non reputi questo blog all'altezza, nella rete ce ne sono quache altro migliaio dove puoi sentirti sicuramente più a tuo agio

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    3. Non ho letto la costituzione dei blogger, ma vedrò di sanare questa mia lacuna andando a vedere se l'articolo a cui ti riferisci parla di provocazioni o battute ironiche. Sia come sia, non è scrivendo cose come "se poi non reputi questo blog all'altezza, vai a farti un giro" che inciti alla discussione, così come il tuo riferimento toroideo non stimolava una conversazione cinefila piuttosto che zoofila. Neanche il discorso che hai fatto sopra è, onestamente, un vero e proprio parlare di cinema, o meglio: è un parlare di cinema, sì, ma dal punto di vista del marketing ("non mi sogno affatto di mettere in discussione la qualità estetica e formale di certe pellicole [DISCORSO SUL CINEMA ABORTITO SUL NASCERE] ma, come nel caso del film di Tsai Ming Liang, se a metà proiezione un terzo del pubblico festivaliero (che si presume competente) ha già abbandonato la sala e altrettanti sonnecchiano beatamente, credo che qualche riflessione vada fatta... [DISCORSO DI MARKETING]"). Ora, è probabile che per te le due cose debbano andare a braccetto, però credo che, se così fosse, la cosa sarebbe piuttosto sterile, non credi? "NON mi sogno affatto di affermare che i festival del cinema dovrebbero dare spazio alla produzione più commerciale, però non si può negare che dei venti film in concorso quest'anno a Venezia ce ne sono al massimo 2-3 che possono sperare in un qualche minimo risultato in termini di pubblico (lasciando perdere per un attimo il discorso sulle difficoltà di distribuzione)." Okay, e allora? E soprattutto, perché? I film che vanno nelle sale, spesse volte vanno schifo, e di certo il grande cinema, ora come ora, è tagliato fuori dai grandi circuiti, anzi spesso non viene nemmeno distribuito. Penso a "Post tenebras lux", a "Camille Claudel, 1915" eccetera. Il che non significa - come sembri supporre tu - che i film di Reygadas, di Dumont o di Ming-liang si pongano fuori dai circuiti, anzi: significa che certo cinema è posto fuori dai circuiti perché il monopolio della distribuzione è in mano ai soliti noti. Il discorso che fai tu mi suona, in fin dei conti, parecchio fascista: quello che in fondo sostieni è che un film debba essere apprezzato e non ti sogni minimamente di fare il discorso inverso, facendolo vertere non sul film da apprezzare ma sulla gente che deve/può apprezzarlo, col rischio fastidioso - per giunta - di dimostrarti più hipster di me nel tuo sostenere che film come quelli di Dumont e Reygadas e Ming-liang e chi più ne ha più ne metta non possono essere apprezzati perché, di fondo, la gente non è pronta. Ti ripeto, infine, che il nome del tuo blog deriva dal regista che ha principiato tutto questo flusso di cinema cosiddetto contemplativo, quindi se poi si preferisce recensire le novità settimanali nei multisala piuttosto che approfondire un certo film o scovarne qualcuno di cui ancora non si è parlato o di cui si è parlato poi si conosca, per lo meno, non soltanto la sterilità di un'operazione simile ma, pure, il cortocircuito che ne sta alla base: perché scriverne se, come dici tu, sono film che possono sperare in un minimo risultato di pubblico?

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    4. Il fascismo non c'entra niente. Sono perfettamente d'accordo con te sul fatto che molto grande cinema (non tutto) è tagliato fuori dai circuiti ufficiali perchè le logiche distributive, purtroppo, vanno esattamente nella direzione opposta. Questo almeno per quanto riguarda l'Italia, perchè in altri paesi ho avuto modo di constatare che la situazione per fortuna è un po' diversa(Francia, Regno Unito). Ma comunque quello che dici è vero. Come è vero che i festival dovrebbero dare spazio GIUSTAMENTE a QUESTO tipo di cinema, perchè d'altra parte questa è la funzione dei festival.

      Il problema però è un altro, che i cinefili duri e puri come te (non offenderti) faticano a capire: che anche il cinema 'alternativo' può essere scadente... non è che se un film è indipendente, prodotto e distribuito in proprio, non corteggiato dalle grandi case, questo è per forza garanzia di qualità. Può essere brutto anche un film di Tsai Ming Liang, o Dumont, o Reygadas, o chi ti pare. Dipende sempre (si ritorna sempre lì) dal gusto personale. Certo (e qui to dò ragione) lo spettatore ha l'obbligo prima di esprimere giudizi 'tranchant' di evolversi, studiare, documentarsi, approfondire, ma non si può comunque ignorare a prescindere la componente-pubblico.

      E' vero, io faccio fatica a scindere il discorso-marketing da quello strettamente cinefilo. ma lo faccio perchè sono e resto convinto (e qui sei padronissimo di non essere d'accordo) che l'arte cinematografica debba sempre avere un riscontro popolare. Lo so che molti considerano questa una bestemmia, ma io ritengo un film un'espressione artistica ben diversa e molto meno intimista di un quadro, una poesia o una canzone. Un film 'vive' quando viene proiettato in sala e quando ci sono persone disposte a vederlo. Un film proiettato in una sala vuota non serve a niente (lasciando perdere, ancora una volta, il discorso relativo alla distribuzione).

      Per questo non potrò mai apprezzare opere che si disinteressano totalmente del pubblico (su questo blog il discorso venne fuori anche riguardo l'ultimo Malick) perchè il confine tra autorialità e autoreferenzialità è certe volte davvero molto breve. E, per chiudere il discorso, torno a dirti che, a mio modestissimo parere, ho il sospetto che parecchie delle opere in concorso a Venezia erano messe lì solo ed esclusivamente per sensazionalismo e pubblicità occulta a una selezione scadente, e che nelle sezioni collaterali c'erano pellicole forse più 'facili' ma sicuramente più belle e importanti di quelle in gara. Ma questa, ovviamente, è soltanto la mia opinione.

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    5. Sì, può essere brutto anche un film di Reygadas, finora però non mi è mai capitato di vederne uno brutto. Il problema, e per questo la componente-pubblico è fondamentale, è l'approccio: non deve essere il regista ad approcciarsi al pubblico, perché il pubblico è eterogeneo e, come in tutte le arti, non c'è mai un destinatario ma sempre dei riceventi, anzi dev'essere il pubblico ad approcciarsi al regista, a modulare le proprie sensazioni come il regista vuole. Solamente da qui può scattare il meccanismo di decifrazione del film. Prendi, per esempio, l'identificazione dello spettatore onnipercepiente: con chi si identifica, lo spettatore in sala, se non con la mdp? E la mdp è, in maniera non soltanto simbolica, il regista. Quello che dici, a me, può anche andare bene, tant'è che spesse volte molti film postmoderni sono, citando i Simpson, "strani per essere strani", così come l'autorialità è spesso autoreferenziale (e per questo odio Malick), solo, secondo me, sbagli nel credere - e qui il fascismo centra eccome, almeno come sistema di totalizzazione o di genericizzazione di una singolarità - che il regista debba in qualche modo parlare al pubblico; è semmai, appunto, il pubblico a dover ascoltare il regista - è diverso.

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    6. Sì, è diverso. A patto che il regista VOGLIA farsi ascoltare (non è scontato). Comunque il bello di questo scambio di opinioni è che siamo giunti a una sintesi... senza spargimento di sangue. Discorso stimolante, oltretutto.
      Perciò non mi vergogno affatto nel porti le mie scuse (a proposito di saper ascoltare...) Ho dato un'occhiata al tuo blog: indubbiamente ho molto da imparare!

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    7. Mi permetto di dire la mia:
      Innanzitutto mi considero più come Kelvin un semplice appassionato, un autodidatta, senza una preparazione culturale specifica. Su alcune cose mi trovo in accordo con Kelvin, su altre con Poor. Mi spiego meglio, per me la grandezza del cinema è che può essere tantissime cose, avere tantissime forme... E non ce ne è giusta a prescindere! Questo è il suo maggior pregio. Non esiste un tipo di cinema valido ed uno valido. Esistono film di valore e film non di valore.
      Per quanto mi riguarda ben venga anche il cinema finalizzato solo all'intrattenimento come quello di Tarantino, oppure il cinema realista di Clint Eastwood, le commedie originali come Eternal sunshine, che hanno sicuramente più presa sul pubblico. Ma allo stesso modo ben venga anche il cinema inteso esclusivamente come arte, che se ne strafrega di arrivare alla massa. E penso che i festival dovrebbero proprio dare spazio a quel tipo di cinema che non riesce ad arrivare nelle sale. Per quel terzo della sala che riesce ad apprezzarlo e non se ne va a metà proiezione. Un cinema che cerca linguaggi diversi. Non concordo con Kelvin sul fatto che il cinema debba avere una certa presa sul pubblico. L'arte non è mai stata per il grande pubblico e non lo sarà mai. Poi ci sono i registi che riescono a fare cinema d'arte, riuscendo al contempo a catturare una grossa fetta di appassionati! Bene, bravi, tanto di cappello! Ma non necessariamente un film che viene capito da un piccolissima percentuale di pubblico deve essere necessariamente giudicato di poco valore... Non so se mi sono spiegato. Comunque, in ogni caso, avete dato vita ad una conversazione molto stimolante!

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    8. Ti sei spiegato :) e sono totalmente d'accordo che il valore di un film non si giudica da quante persone lo vanno a vedere, altrimenti così si rischia di rivalutare anche le vanzinate. Però non generalizzerei sul concetto che l'arte sia elitaria. Lo ripeto, per il cinema secondo me non è così. Il cinema nasce come arte 'popolare' (se i Lumière invece di proiettare il loro 'arrivo del treno' al pubblico lo avessero fatto in una stanza vuota, oggi probabilmente questa discussione non sarebbe possibile) e vive solo se c'è un pubblico (altrimenti a cosa servirebbero la sale cinematografiche?). E credo che un regista quando fa un film debba in un qualche modo considerare questo aspetto: non dico che debba cercare per forza il GRANDE pubblico, ma UN pubblico sì. Perchè, ripeto, un film secondo me diventa tale solo quando lo fai vedere a qualcuno. Altrimenti è un'altra cosa. E' comunque arte, ma non è cinema.

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    9. Dico anche la mia, Innanzitutto il cinema è visto dal grande pubblico come evasione e come passatempo, mi volete spiegare pellicole di Dumont, di Liang e via dicendo il grande pubblico come si ci avvicina? E' ovvio che sono autori in cui è più difficile avvicinarsi, se non sei un cinefilo o un appassionato che si documenta non cerchi di vedere questi film, ma film da popcorn perchè dopo una giornata a lavorare ti vuoi rilassare, fermo restando che io detesto i film da popcorn e nel mio blog li massacro proprio, sono più alla ricerca di cinema che mi lascia qualcosa dentro, per questo apprezzo i cult movies che trovano molto spazio dalle mie parti, ma sono aperta a qualsiasi genere cinematografico e non mi fermo solo in un argomento, alzo le mani perchè non li conosco questi registi e risulterei presuntuosa se ne parlassi, comunque sia il cinema è anche questo. :)

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    10. Certo Arwen, il cinema è questo, è Dumont, Reygadas, e mille altre cose ancora... non esiste UN solo tipo di cinema e tutti meritano rispetto. Per questo non mi piace l'elitarismo settario di certi cinefili intransigenti (parlo in generale, non di coloro che sono intervenuti in questa discussione). Possiamo fare gli snob e gli schizzinosi quanto vogliamo ma non possiamo non ammettere che senza il cinema commerciale, il glamour, il divismo e la stessa famigerata Hollywood, anche il tutto il cinema d'essai non potrebbe esistere... E allora facciamo tutti qualche riflessione in proposito e rendiamoci conto che è possibile benissimo parlare di cinema a 360 gradi, senza mal di stomaco.
      Grazie per il tuo intervento!

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    11. aggiungo una cosa, se una discussione si fa in un blog, non si deve continuare in altri blog, non è per Kelvin questo messaggio, onde cominciare con critiche gratuite a provocare i normali scambi di opinioni vero poor yorik? Ora, tu non mi conosci non sai il mio bagaglio culturale, ti prego di non "giudicare superficialmente" il mio lavoro. detto questo mi scuso con questo messaggio ma quando ci vuole ci vuole, ah se si imparasse a leggere bene...

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  4. Adesso mi hai messo tutti questi titoli in testa e avró un bel po' di film da guardare...

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  5. Il dilemma se i festival del cinema servano o meno è vecchio quanto il mondo. Personalmente credo che un festival debba servire proprio a dare spazio a opere fuori dai circuiti tradizionali, come li chiami tu, perchè spesso sono l'unico modo per vederle. Non penso che la qualità di un film si giudichi dalla quantità di turpiloquio (dipende se è gratuito o meno) e in ogni caso trovo pericoloso affermare che i festival debbano andare incontro al pubblico, perchè così si rischia di rivalutare il cinema di cassetta, che tanti danni ha fatto a generazioni di spettatori.
    Mauro

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    1. Ciao Mauro!
      Praticamente la risposta che ho dato sopra a poor vale anche per te... discorso interessante, comunque!

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