mercoledì 25 febbraio 2015

UN PICCIONE SEDUTO SU UN RAMO RIFLETTE SULL'ESISTENZA


(En duva satt pa en gren och funderade pa tillvaron)
di Roy Andersson (Svezia, 2014)
con Holger Andersson, Nils Westblom, Charlotta Larsson, Viktor Gyllenberg, Lotti Tornros
durata: 101 min.


Esce (finalmente) in sala l'ultimo Leone d'oro di Venezia, e dobbiamo ringraziare di cuore la benemerita Lucky Red  per aver avuto il coraggio di distribuirlo: non era affatto scontato, infatti, che qualcuno si prendesse la briga di proporre al pubblico italiano un film assolutamente folle, stralunato, inclassificabile e genialmente nonsense come quest'ultima opera di Roy Andersson, destinata inevitabilmente ai palati fini. Cui, lo dico a scanso di equivoci, il sottoscritto ne aveva predetto il trionfo al Lido un secondo dopo l'apparizione dei titoli di coda. Lo dico non per vantarmi di chissà cosa (i pronostici in genere non li indovino mai) ma semplicemente a riprova del fatto che Un  piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza era davvero il film più 'alternativo' e intrigante del concorso veneziano.

Roy Andersson è un corpulento signore settantenne che è sbarcato al Lido come fosse un marziano, e non solo per essersi presentato alla prima del suo film in tuta da ginnastica, sfidando tutti i protocolli: Andersson è una specie di 'Malick' scandinavo (appena cinque film diretti in oltre mezzo secolo di carriera) il cui modo di fare cinema è strettamente ancorato a un'idea esistenzialista, paradossale e dichiaratamente arcaica del cinema stesso: questo film è fatto di quadri in movimento, intesi proprio come elementi pittorici (non a caso è ispirato proprio a un dipinto, Cacciatori nella neve di Bruegel), oltre che di inquadrature rigorosamente fisse (non c'è un solo movimento di macchina in cento minuti di pellicola), una fotografia dalle cupe tinte pastello e un montaggio quasi elementare, i cui unici 'stacchi' sono, appunto, i 39 quadretti (più un prologo) che lo compongono.

Un film grottesco, dai toni grigi, opachi, lividi, come i personaggi che descrive: forse è lo specchio di una nazione (la Svezia?) che forse non è proprio quel luogo ameno e tranquillo, benestante, culturalmente elevato che c'immaginiamo. E che forse non è nemmeno popolato da forme di vita del tutto intelligenti come è lecito pensare... questa, a dire la verità, è l'ipotesi del piccione impagliato che nel prologo viene osservato con attenzione da un uomo impietosamente sfatto, tetro e pallido come un'ectoplasma. E forse sono davvero ectoplasmi quei poveri freaks che il pennuto osserva dall'alto, distaccatamente, con sguardo compassionevole...

Andersson fotografa con cristiana pietà e folle humor nero un'umanità spaventosamente gretta, indegna di vivere. Il suo è un film sull'insensatezza della società moderna, palesemente votata all'autodistruzione: non a caso l'incipit ci parla subito di 'tre incontri con la morte', tre episodi costruiti con precisione chirurgica sull'indegnità dello stare al mondo: un uomo muore mentre stappa allegramente una bottiglia, una vecchia in punto di morte rifiuta di consegnare ai nipoti avidi la sua borsetta (piena di soldi), un cliente di una mensa aziendale stramazza al suolo per un infarto e l'unica preoccupazione degli altri avventori è quella di come impossessarsi del cibo già pagato...  si ride, e molto, ma davvero amaramente. Ed è solo l'antipasto per ciò verrà dopo.

Le immagini successive infatti si susseguono come pugni nello stomaco, in un crescendo parallelo di ilarità e inquietudine, neanche troppo sottile: entrano in scena personaggi strambi e tragicamente vuoti, si ride della sofferenza altrui, un po' come vedendo i poveri animali addomesticati dei circhi...
due derelitti venditori di scherzi di carnevale cercano invano di piazzare i loro gadget, un re settecentesco, segretamente gay, irrompe a cavallo in un pub moderno e sequestra il giovane barista (dopo aver cacciato tutte le donne a fil di spada), un'insegnante di ballo palpeggia insistemente il suo docile allievo, una vecchia locandiera offre baldanzosamente il proprio corpo (zoppo) ai marinai che non hanno i soldi per pagare le bevute, in un esilarante numero da musical: storie di ordinaria follia e (dis)umanità, che finiscono tritate nel lugubre, gigantesco 'girarrosto' finale in cui vengono infilzati allo spiedo numerosi ragazzetti di colore...

Tutto si può dire di questo film, tranne che sia banale. Si ride e si piange, con retrogusto amaro, un po' come riguardando dopo tanto tempo i film di Fantozzi. Certo l'umorismo di Andersson (se di umorismo si può parlare) è ben più sottile e bonariamente nonsense: ricorda un po' il Kaurismaki prima maniera, un po' i Monty Python, volendo perfino Fellini (non è una bestemmia). Ma a ben vedere lo stile è spiazzante e inconfondibile, assolutamente unico. Andersson è un Autore con la A maiuscola, che merita di essere riscoperto e valorizzato. E pazienza se questo film farà forse solo una fugace apparizione nelle nostre sale, tanto non è cinema per tutti, e non è un discorso snob: tuffarsi nel mondo di Andersson significa abbandonarsi totalmente alle immagini, essere disposti a tollerare un'auto-analisi di coscienza e ridere amaro sulle riflessioni di un piccione su un ramo... se accettate queste condizioni, assisterete a un'opera grandiosa.

22 commenti:

  1. Visto ieri sera. Tecnicamente immacolato, concettualmente folle. Surrealisticamente reale. Straordinario.
    Daniele

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    1. A me a Venezia era piaciuto immediatamente: humour nero tagliente, surreale, sconclusionato, folle (è l'aggettivo giusto). Visivamente spettrale e dal messaggio tutt'altro che rassicurante. Si ride amaro, ma con qualità.

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    2. In sala eravamo in 5. Una coppia di anziani, io, una coppia di trentenni. Questi ultimi verso metà si sono alzati e se ne sono andati. Il solo fatto che abbia ricevuto distribuzione è incredibile :)
      D

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    3. A Perugia è andato talmente bene che hanno allungato un'altra settimana...
      Ma del resto qui da noi Mommy è rimasto in sala 2 mesi con sold out quasi giornaliero.
      Abbiamo tanti problemi qua ma per il cinema siamo proprio un'isola felice

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  2. Sono molto curioso: mi avrebbe fatto impazzire dieci anni fa, ora che sono più pane e salame non saprei. Staremo a vedere.

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    1. E' il primo film che vedo di Roy Andersson... mi dicono che sono un po' tutti uguali, eppure questo mi ha conquistato. Poi mi dirai :)

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  3. Ho visto il trailer la prima volta e mi ha davvero incuriosita. Adesso lo sono più di prima!

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    1. Se vai al cinema con la mente sgombra e disposta ad approcciarti a qualcosa di autorialmente 'nonsense' potrebbe anche sorprenderti...

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  4. Solo per il titolo mi aveva incuriosito, ma era irreperibile. Spero di avere qualche chances adesso, perché tu e altri blogger mi avete messo una scimmia incredibile :)

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    1. Purtroppo, come al solito, la distribuzione è stata infelice. Anzi, è quasi un miracolo che sia almeno uscito al cinema: merito indubbiamente del Leone d'oro vinto a Venezia che lo ha reso un po' più appetibile. Anche questa, del resto, è la funzione dei festival... al Lido tutti ci chiedevamo perchè 'Birdman' fosse rimasto senza premi. Col senno di poi, ci rendiamo conto che Inarritu non aveva certo bisogno. Mentre questo gioiellino, probabilmente, sarebbe rimasto invisibile.

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  5. Cagata pazzesca. Umorismo zero. Solamente noia e banalita

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  6. Solita grande rece.
    Ed è bello che abbiamo scritto entrambi molto e nemmeno un rigo simile, dimostra di quanto materiale ci sia dentro.
    COmunque Andersson semmai è il "vecchio" Malick, quello di adesso sforna più di Stephen King

    Ottimo il paragone con gli animali da circo, davvero

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    1. E' vero, ormai Malick è diventato quasi un regista 'complulsivo'... ed è bello parlare di film per una volta non 'ordinari', aldilà dei gusti. Grazie mille per i complimenti!

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  7. Andersson è Andersson, i paragoni sono imperfetti per questo film, penso.
    è un film aldilà, su un mondo che non ha futuro, forse solo il nostro mondo sazio, con la birra in mano, senza altro da fare che arrivare all'indomani.
    le scene iniziali, quelle con la morte, sono una dichiarazione del resto che si vedrà dopo.

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    1. Sì, hai ragione... in effetti è difficile classificare questo film e lo stile di Andersson in generale. Però sui concetti-base siamo un po' tutti d'accordo: l'insensatezza della vita, il senso di ineluttabilità, la totale sfiducia nel futuro. Aldilà dello svolgimento, sono temi su cui dibattere eccome.

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  8. Condivido tutto. Non c'è niente da aggiungere!:-)

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  9. "Tutto si può dire di questo film, tranne che sia banale."

    Mah, a dire il vero la scena del forno con i vegliardi che guardano credo si possa ben definire come banale se non peggio.
    Classico caso di sequenza che finisce per imbastardire il resto della pellicola.

    Comunque, torno a vedermi Il senso della vita dei Python.

    T.S.

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    1. No, non sono d'accordo. E' una sequenza 'politicamente scorretta', disturbante, dura, cattiva. Capisco che possa non piacere (è volutamente provocatoria), ma certo non è banale: dove le hai viste altre scene del genere?

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  10. Banale nel senso che è scontata, soprattutto didascalica.
    Proprio il genere di errore che i Python han sempre evitato nei loro film.

    Altre scene del genere le ho viste spesso quando ho avuto a che fare con vecchi autori che vorrebbero puntare il dito con ferocia ma che finiscono con l'essere prevedibilissimi, appunto.
    Maestrini prevedibili.

    Comunque, la pellicola resta interessante anche se a mio avviso troppo imbevuta di autocompiacimento sterile.
    Un classico film da festival, insomma, nel bene e nel male.
    Un'opera più adatta ai vegliardi guardoni che a giovani tizzoni sul fuoco...

    T.S.

    P.S. blog interessante, complimenti.

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    1. Ma sai... la definizione 'film da festival' è vera, però dice tutto e niente: aldilà dei gusti personali, se questo film non avesse vinto il Leone d'oro non sarebbe mai arrivato in sala. E guardando gli incassi che ha ottenuto, seppur risibili, troviamo una media per schermo molto alta per un film del genere, segno che il pubblico apprezzerebbe certi titoli se solo gli fosse permesso di vederli con una distribuzione decente.
      Non credo che esistano film 'non per tutti' o solo 'da festival'. Ogni persona è diversa dall'altra ed ha gusti e metri di valutazione diversi, però sono convinto che a parità di distribuzione potremmo avere grosse sorprese sui gusti del pubblico. Purtroppo è ovvio che la controprova non ci sarà mai.

      p.s. grazie per i complimenti!

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