venerdì 18 settembre 2015

PAGELLE VENEZIANE /2 - CONCORSO

"11 minut", di Jerzy Skolimovski
E come ogni anno siamo arrivati al momento del "pagellone" finale sul Concorso veneziano: di tutto rispetto, direi, malgrado i commenti poco entusiasti della critica. La miglior definizione l'ha data uno spettatore che ho incrociato al Lido: "la Mostra del Cinema è un po' come il Festival di Sanremo: il primo giorno le canzoni ti sembrano tutte brutte, poi in quelli successivi ti entrano in testa e cominci a canticchiarle..." Per i film è un po' lo stesso discorso: molti sono stati i titoli fischiati alle proiezioni stampa per poi essere rivalutati a mente fredda, e un palmarès che, a parte i dubbi sul Leone d'oro, ha assegnato premi sensati. Barbera si congeda (forse) da Venezia dopo quattro anni in cui ha cercato di impostare il Concorso sui temi dell'autorialità e della sperimentazione, rifuggendo ogni tentazione "glamour". Al sottoscritto questa linea è piaciuta, così come mi sono piaciuti molti titoli di questa rassegna. Ecco le mie scelte: 



Colpi di fulmine





11 MINUT (di Jerzy Skolimowski, Polonia) 
Undici minuti nella vita di undici persone diverse, contemporaneamente, nella stessa giornata, i cui destini alla fine sono incrociati dal Caso. Skolimowski costruisce un thriller adrenalinico e serratissimo, che ti tiene incollato allo schermo fino all'ultimo istante. Sarà anche un giocattolo o un mero esercizio di stile, come ha scritto qualcuno, ma questo giocattolo è Cinema allo stato puro, con la "C" maiuscola. E' il mio personale Leone d'oro, una spanna sopra tutti gli altri. Amore a prima vista.

EL CLAN (di Pablo Trapero, Argentina) 
Era l'unico film non inedito del Concorso veneziano, e vedendolo abbiamo capito perchè Barbera lo abbia voluto lo stesso, ad ogni costo: pellicola durissima, tesa, avvincente, ben recitata, con una colonna sonora da urlo, che ha il merito di riportare alla luce una pagina nerissima della storia argentina raccontando la storia (vera!) di un'insospettabile famiglia della middle-class dedita a sequestrare gli oppositori del regime a scopo di riscatto. In patria ha fatto sfracelli al botteghino, da noi sarebbe già tanto se riuscisse a uscire...

FRANCOFONIA (di Alexandr Sokurov, Russia) 
Sokurov torna al Lido dopo il Leone d'oro del 2011, il monumentale Faust, stavolta con una pellicola completamente diversa ma non meno affascinante: nei soli 75 minuti di durata il maestro russo ci regala un'autentica lezione di Storia dell'Arte applicata al cinema, dimostrando come si possa conquistare lo spettatore con la sola forza delle immagini e della Cultura, girando completamente in interni (quelli del Louvre) e concedendosi digressioni storiche e narrative che si fondono con la magia della location. La morale di fondo potrà anche essere banale (l'arte che svetta sulla guerra) ma lo svolgimento lascia estasiati. Se siete amanti del bello e della forma, concedetevelo.

SANGUE DEL MIO SANGUE (di Marco Bellocchio, Italia) 
Difficile, ostico, inclassificabile, indecifrabile dopo una sola visione, come ogni film di Bellocchio. Eppure, come ogni film di Bellocchio, incredibilmente affascinante e visivamente splendido. Due storie slegate tra loro, distanti cinque secoli, che si raccordano in un finale di una bellezza "esagerata" e che riflettono le "ossessioni" tipiche del grande regista piacentino: il difficile rapporto con la Chiesa, la religione, la faciloneria e la dabbenaggine dell'italiano medio, pronto a "servire" chiunque. Bellocchio, a 75 anni, si conferma ancora una volta come il più "avanguardista" dei registi italiani.

L'HERMINE (di Christian Vincent, Francia) 
Dal punto di vista narrativo non è niente di che (un magistrato, durante un processo, si ritrova nella giuria una sua vecchia "fiamma" di qualche anno addietro e cerca goffamente di ricucire il rapporto) eppure questa delicata commediola francese è semplicemente "perfetta" in ogni particolare: nella recitazione (Fabrice Luchini è favoloso, viene voglia di abbracciarlo), nella sceneggiatura, nella regia puntuale ma mai invadente, nella capacità di infondere nello spettatore un sorriso e una sensazione di benessere e romanticismo. Delizioso e lieve, come solo i film francesi (a volte) sanno essere.

PER AMOR VOSTRO (di Giuseppe Gaudino, Italia) 
Forse la più bella sorpresa del Concorso: film viscerale, debordante, sanguigno, appassionante e doloroso come la Napoli che racconta, senza ruffianismi e strumentalizzazioni. Grande prova di Valeria Golino, che stramerita la Coppa Volpi vinta e si conferma come una delle attrici italiane più brave, belle e sottovalutate. E' stato l'unico film italiano premiato, e merita di essere visto. Ricordatevene quando uscirà al cinema.

THE DANISH GIRL (di Tom Hooper, Gran Bretagna) 
Il "solito" film di Tom Hooper: ruffianissimo, patinato, elegante, impeccabile. Questa volta però con un tasso di emotività ben maggiore, tanto da far commuovere copiosamente il pubblico del Lido (mi ci metto anch'io) ma nella maniera giusta, cioè senza ricattare chi guarda e dando il giusto risalto ai protagonisti della storia. Eddie Redmayne è davvero notevole, "rischia" realmente di vincere il secondo oscar consecutivo (e stavolta non sarebbe uno scandalo). Sarà forse il film in concorso che otterrà i maggiori risultati al botteghino.



C'e' del buono...



DESDE ALLA' - FROM AFAR (di Lorenzo Vigas, Argentina) 
Ha vinto il Leone d'oro tra lo stupore generale, e indubbiamente a mio avviso c'era di meglio (vedi sopra), ma non è assolutamente un brutto film: la pellicola di Vigas strizza più di un occhio a Pasolini e al cinema neo-realista mettendo in scena la (dis)umanità di una Caracas ripresa dai bassifondi, dove si incrociano le solitudini di un ragazzo di vita e di un uomo di mezza età: il loro desiderio sessuale sembra rispondere più a un'enorme carenza affettiva piuttosto che a una vera attrazione. Il film gioca tutto su questo rapporto, con un finale che lascia interdetti...

RABIN: THE LAST DAY (di Amos Gitai, Israele) 
Amos Gitai torna al Lido per raccontare l'ultimo giorno di vita del premier israeliano Yitzhak Rabin, fautore del processo di pace e assassinato da un colono integralista, almeno secondo le ricostruzioni "ufficiali". Ma il film mette ovviamente in dubbio questa tesi, sbandierando apertamente l'assassinio "politico". Gitai assembla in maniera lucida, coraggiosa e potente l'enorme quantità di materiale girato e analizzato, senza tuttavia mai discostarsi dai clichè tipici dei film d'inchiesta: ne viene fuori un'opera importante ma, a mio avviso, eccessivamente didascalica, che non riesce a tirar fuori quell'emozione che dovrebbe costituire il valore aggiunto di film come questo.

A BIGGER SPLASH (di Luca Guadagnino, Italia) 
Guadagnino torna al Lido con la versione "rock" del suo film precedente, Io sono l'amore (tra l'altro con la stessa splendida protagonista: Tilda Swinton). Le tematiche non cambiano: crisi di coppia, ipocrisia, incomunicabilità, deflagrazione del disagio. Ma se in Io sono l'amore tutto si svolgeva nella freddezza e nel distacco di una tetra villa-prigione della Brianza, in A bigger splash il ritmo è folle, chiassoso, animalesco, sensuale. La macchina da presa (in)segue nervosamente i personaggi nello stupendo scenario di Pantelleria, e per almeno 3/4 il film funziona egregiamente. Peccato che poi arrivi lo sciagurato cameo di Guzzanti a rovinare tutto...

REMEMBER (di Atom Egoyan, Canada) 
Non si può dire che sia un film del tutto riuscito questo Remember (debutto veneziano per Atom Egoyan) troppo costruito e prevedibile per emozionare davvero, ma capace comunque di offrire più di uno spunto di riflessione sull'importanza della memoria storica e, soprattutto, sulla differenza, a volte fin troppo sottile, tra giustizia e vendetta. Personalmente, aldilà del loro valore artistico, penso che pellicole come questa, al giorno d'oggi, non facciano mai scomodo.


C'è da soffrire...




HEART OF A DOG (di Laurie Anderson, Stati Uniti) 
Un film-diario che Laurie Anderson, vedova di Lou Reed, ha dedicato alla sua cagnetta Lolabelle, cartina di tornasole di un personalissimo viaggio nel proprio passato, tra ricordi di gioventù, disquisizioni artistoidi, elucubrazioni sui massimi sistemi e filmini d'infanzia. L'idea non sarebbe neanche malvagia se non fosse per il taglio che la regista dà alla pellicola: ritmo non proprio adrenalinico, appesantito per tutti i 75 minuti di durata (lunghissimi) dalla propria voce-off. Onestamente, è molto probabile che cali la palpebra... un oggetto filmico tipicamente festivaliero, fine a se stesso, che può sopravvivere solo in questo particolare contesto.


ANOMALISA (di Charlie Kaufman e Duke Johnson, Stati Uniti) 
Confesso che il sottoscritto ha da sempre molti problemi con il cinema di Kaufman. Sarà perchè il suo stile onirico, pindarico, surreale, probabilmente trova difficoltà a conciliarsi con la mia mente da bancario, fattosta che... proprio i suoi film non riescono a piacermi, non mi trasmettono nulla. Così mentre in sala, durante la proiezione, il pubblico spesso applaudiva e rideva, io sono rimasto totalmente indifferente dall'inizio alla fine. Di Anomalisa posso apprezzare solo l'accuratezza stilistica e il grande lavoro sull'animazione in stop-motion, che però non bastano ad emozionare. Ma, nella fattispecie, sicuramente è un problema mio.

EQUALS (di Drake Doremus, Stati Uniti) 
Ed ecco il film più brutto della Mostra, talmente insignificante e inconsistente da chiedersi, seriamente, come abbia fatto a meritare il concorso principale... un imbarazzante "collage" di spunti (chiamiamoli così) rubati da altre pellicole di fantascienza, con una trama adatta (forse) per adolescenti cresciuti con Twilight. Pellicola di una banalità sconcertante, perfino irritante nelle sue scenografie "fighette" e i costumini candidi che fanno tanto film d'autore. Orwell, per carità, è meglio lasciarlo stare.

7 commenti:

  1. Peccato per Doremus, perché i suoi film precedenti, Like Crazy e Breathe In, mi sono piaciuti moltissimo. Però ne ho letto bene, proprio come ho letto male di Per amor vostro e Sangue del mio sangue. E' proprio vero che i gusti sono gusti, quindi conto di vederli. Sono certo che The Danish Girl sarà un trionfo - poi ho un amore grande per la Vikander - e a me Guadagnino, raffinatissimo ma un po' superficiale, piace. Quanta eleganza il vecchio Io sono l'amore. 11 Minut sembra imperdibile. ;)

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    1. Condivido l'amore per Alicia Vikander, che tra poco sarà protagonista su queste pagine ;) sul resto dico che, ovviamente, hai ragione... i gusti sono gusti, anche se mi riesce difficile credere che qualcuno possa parlare bene di "Equals", a meno che non sia una provocazione. Capisco invece le critiche a Bellocchio e Guadagnino, due film che inevitabilmente dividono, anche se su quest'ultimo la penso come te. Anche su "11 minut" la critica si è spaccata, giudicandolo un mero esercizio di stile: probabilmente lo è, ma è comunque una "bomba". Speriamo che esca!

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  2. Come al solito hai fatto un grandissimo lavoro, sintetizzando in poche ma essenziali righe tutto il cartellone di Venezia e permettendo a noi lettori di farci un'idea. Aldilà dei giudizi personali, sei davvero un grande!
    Un abbraccio.
    Mauro

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    1. Sei sempre troppo gentile, Mauro... avercene di lettori come te! Grazie, grazie ancora!

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  3. Ho seguito molto poco le cronache dal festival, ma ero curiosa di vedere per amor vostro. E l'ho patito tantissimo.
    Indiscutibilmente brava la Golino, potenzialmente interessante la storia, ma l'ho trovato davvero inutilmente pretenzioso.

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    1. E' un film intriso di "napoletanità" verace fino al midollo... e rispecchia il carattere dei napoletani: sanguigno, debordante, esuberante. Sì, forse anche pretenzioso, ma a Napoli il confine tra poesia e sguaiatezza è molto sottile. A me è piaciuto moltissimo per lo stile visivo e soprattutto per il modo efficacissimo in cui descrive, senza filtri, un certo tipo di realtà.

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  4. Grazie per le post
    Mi piace molto el blog
    bellissimo!
    Baccio

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