domenica 5 giugno 2016

QUANDO ERAVAMO RE

Ripropongo, per così dire, un mio vecchio articolo del 30 marzo 2015: in quella data il sottoscritto e altri blogger amici dedicammo tutti insieme una giornata al "black power". E oggi che uno dei suoi massimi esponenti se n'è andato per sempre, mi sembrava doveroso ricordarlo con le stesse parole di allora... un doveroso omaggio ad un gigante. 


(When we were kings)
di Leon Gast (Usa, 1996)
Documentario. Con Cassius Clay/Muhammad Ali, George Foreman, Don King
durata: 84 minuti


Kinshasa, Zaire. 30 ottobre 1974.
Due uomini si affrontano su un ring, in quello che verrà ricordato come il più grande evento di sempre nella storia della boxe. Sono entrambi neri, ma uno è buono. E l'altro, per forza di cose, fa la parte del 'cattivo'.

Il cattivo risponde al nome di George Foreman, una specie di armadio semovente capace di deformare coi pugni un sacco da allenamento. E' un gigante dotato di una forza sovrumana, che qualche mese prima ha mandato al tappeto uno come Joe Frazier, tanto per mettere in chiaro le cose. E' un uomo introverso, taciturno, che vince ma non incanta, che non fa nulla per rendersi simpatico.

Il buono invece si chiama Muhammad Ali. Una volta era Cassius Clay, prima che si rifiutasse di partire per il Vietnam e gli ritirassero la licenza. Un mito a fine carriera (così si diceva), ormai più fenomeno mediatico che sportivo: sempre in tv, sui giornali, a briglia sciolta, con le sue provocazioni e le sue prese di posizione sui diritti umani ("nessun vietcong mi ha mai chiamato 'sporco negro' ", amava ripetere). Ma ormai, per tutti, quasi un ex-atleta.

L'incontro si disputa a Kinshasa, voluto fortemente (a scopo propagandistico) dal dittatore locale Mobutu Sese Seko, uno che fece costruire le prigioni nei sotterranei dello stadio per rinchiudervi gli  
oppositori al suo regime. Sono le quattro di mattina, orario scelto per permettere la diretta negli Stati Uniti: per 'ingannare' l'attesa, un mega-concerto di black-music ha allietato gli oltre centomila spettatori presenti (si sono esibiti gente come James Brown, Miriam Makeba, B.B. King...).
Ma ora tocca a loro.

Ali sa bene che Foreman è favorito: più giovane, più rabbioso, più forte fisicamente. Sa che non può permettersi di affrontarlo a viso aperto, pena la disfatta. E infatti lo lascia sfogare per otto lunghissimi round... dove incassa, incassa, e incassa ancora. Foreman picchia duro, schiuma rabbia, sferra colpi che ucciderebbero un toro in calore. Eppure Ali resiste, assorbe i pugni, sfrutta l'elasticità delle corde per attutire i tremendi jab dell'avversario. E trova anche, incredibilmente, la forza per irriderlo ("E' tutto qui ciò che sai fare, George?"). Ovviamente tutto lo stadio tifa per lui, malgrado anche dall'altra parte ci sia un pugile di colore. Ma Ali rappresenta un simbolo, la speranza di un popolo intero: in centomila ripetono ossessivamente "Ali, boma-ye!" ("Ali, uccidilo!"). Foreman in seguito dirà che gli sembrava di combattere contro centomila avversari assatanati... come in effetti avvenne.

All'ottava ripresa Foreman è stremato, incredulo nel vedere Ali ancora in piedi. E Ali sfrutta il momento, colpendolo con tremendo gancio sinistro che gli alza la testa quel tanto che basta per permettergli di sferrare un micidiale diretto a viso pieno. Foreman si accascia a terra, si sdraia di schiena, prova a rialzarsi, ma l'arbitro ha già contato fino a dieci. Ali ora danza sul ring come una libellula: sa di essere diventato immortale, in una delle serate più drammatiche e memorabili non solo nella storia del pugilato ma dello sport mondiale.

Il documentario di Leon Gast, premiato con l'oscar nel 1997, racconta la cronaca dell'incontro e, soprattutto, di come ci si arrivò: lo fa ripercorrendo brevemente la storia di Clay/Ali, inframezzandola con interviste, filmati di repertorio, conversazioni più o meno private con il più grande pugile di sempre. Ma il vero miracolo del film, se di miracolo si può parlare, sta nell'abilità del regista nell'aver saputo trasmettere a chi guarda la grandiosità dell'evento, quell'aura di leggenda che si respirava all'epoca, e che è la stessa che trasuda dalle immagini. A dimostrazione, ancora una volta, che il documentario è il mezzo migliore per raccontare lo sport... perchè lo sport è già 'cinematografico' di suo, spettacolare, e non ci sono fiction che tengano.

6 commenti:

  1. sei stato premiato con il liebster award

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    1. Grazie, grazie, grazie! Piovono i premi per SOLARIS... troppo buona! Ho già scritto il mio post sul Liebster e perciò rispondero' alle domande direttamente sul tuo blog: il prima possibile!

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  2. Un grande recupero per un grande film, ed un grandissimo personaggio, dentro e fuori dal ring.

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    1. Sì. e' il caso di dire un' "icona" a cavallo tra due secoli. Un gigante.

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  3. Strano, non ho mai visto questo documentario, dovrei probabilmente recuperarlo perché Alì a me è sempre piaciuto, era davvero un grande uomo oltre ad essere un sublime sportivo ;)

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    1. E' un film bellissimo e appassionante, vincitore dell'oscar per il miglior documentario. Se sei un fan di Ali devi vederlo assolutamente!

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