sabato 7 aprile 2018

CHARLEY THOMPSON

(Lean on Pete)
regia: Andrew Haigh (Gb, 2017)
cast: Charlie Plummer, Travis Fimmel, Chloe Sevigny, Steve Buscemi, Steve Zahn
sceneggiatura: Andrew Haigh
fotografia: Magdus Nordenhof Jonck
scenografia: Ryan Warren Smith
montaggio: Jonathan Alberts
musiche: James Edward Barker
durata: 121 minuti
giudizio: 


trama:  Il quindicenne Charley Thompson, rimasto orfano, attraversa l'America a dorso del suo vecchio cavallo Lean on Pete, ereditato dal padre, alla ricerca di una zia lontana che (forse) potrebbe aiutarlo...


dico la mia: Il suo unico "difetto" è quello di essere uscito nell'anno sbagliato: presentato in concorso all'ultima Mostra di Venezia, Charley Thompson è stato (quasi) ignorato dai media e dal pubblico, purtroppo schiacciato da una concorrenza mai così forte come quest'anno: di fronte ai colossi americani che si sono contesi il Leone d'oro (La forma dell'acqua e Tre manifesti a Ebbing) questo piccolo film inglese ha fatto la classica figura del vaso di coccio in mezzo ai grandi vasi di ferro... ed è un vero peccato, perchè stiamo parlando di una di quelle pellicole che riescono a farti innamorare del cinema con la sola forza della narrazione e dei personaggi, pedine fondamentali di una trama volutamente classica e lineare (personalmente mi ha ricordato molto Una storia vera di David Lynch) che arriva direttamente al cuore dello spettatore.

Il protagonista, Charley Thompson, è un ragazzino di quindici anni abbandonato dalla mamma subito dopo la nascita, cresciuto con un padre donnaiolo e spiantato, amorevole ma del tutto inadeguato a gestire un figlio. Quando anche lui morirà, il piccolo Charley troverà la salvezza nel posto più improbabile possibile, una scalcinata scuderia di cavalli da corsa che ospita un vecchio ronzino destinato al macello, chiamato Lean on Pete, con il quale il ragazzo stringerà un rapporto così intenso da portarselo via e scappare insieme verso un futuro naturalmente incerto ma (almeno) pieno di calore umano.


E qui viene il bello. Poteva nascere l'ennesimo film smielato e ipocritamente buonista sull' amicizia tra uomini e animali (a tutti noi, che a Venezia lo vedevamo in anteprima, è corso un brivido lungo la schiena pensando, ad esempio, al diabetico War Horse di Spielberg) e invece (quasi) miracolosamente, il film di Andrew Haigh dribbla con destrezza le trappole retoriche e giovanilistico-sentimentali disseminate lungo la sceneggiatura per trasformarsi in un bellissimo romanzo di formazione su un ragazzo costretto a crescere troppo in fretta in mondo ostile, quello di un' America rurale e selvaggia, povera e ripiegata su se stessa, lontanissima dagli stereotipi hollywoodiani. Un western moderno e quasi neo-realista, intenso e dolente, che non potrà non commuovere lo spettatore, il quale assiste con trepidazione e rabbia all'odissea del piccolo Charlie, anima sensibile e ferita, rifiutato da un paese che ormai non offre più nemmeno il miraggio del suo Sogno.

La bravura di Haigh sta tutta nel modo in cui riesce a far emergere dall'ordinarietà una storia in apparenza banale rendendola estremamente toccante: lo fa affidandosi a un giovane e bravissimo attore (Charlie Plummer, meritatamente premiato in laguna come miglior talento emergente) in grado di far risaltare l'approccio assolutamente sincero e per nulla ricattatorio che il regista ha saputo dare al film, asciugandolo da ogni manicheismo e dandogli perfino sprazzi di epicità. Haigh dilata il ritmo, si prende il tempo necessario per tratteggiare i rapporti umani (cosa sempre più rara nel cinema vorticoso di oggi) e segue i personaggi passo passo, svelandoli con gradualità e pudicizia, con profondità e rispetto.

Pare una storia qualunque, vista e rivista, quella di Charley Thompson e del suo cavallo Lean on Pete (nome emblematico: significa letteralmente "appoggiati a Pete", che è anche il titolo originale del film). A fare la differenza è la regìa "invisibile" eppure potentissima, umile ma fieramente autoriale, di un cineasta abile a rappresentare i rapporti umani con la delicatezza e la giusta distanza di sguardo (che avevamo già apprezzato nei precedenti Weekend e 45 anni). Non uscirà in molte sale, ma se siete buoni cinefili vale la pena recuperarlo.

4 commenti:

  1. Ricordo che ne avevi parlato benissimo anche nei tuoi resoconti da Venezia, a questo punto devo proprio andarlo a vedere. Sperando di trovarlo.
    Buonanotte e buon weekend.
    Mauro

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    1. Sì, è un film che mi è rimasto impresso fin dalla prima visione. Cerca di vederlo, Mauro: ti assicuro che ne vale la pena.
      Un abbraccio!

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  2. Purtroppo a me aveva fatto fin troppo soffrire. Ne ho patito la lentezza, il ritmo dilatato e le troppe brutture che Charley incontra lungo la strada (che a tratti mi son parse esagerate), e poco sono entrata in empatia con lui.
    Peccato, perchè gli altri due film di Haigh li avevo amati particolarmente.

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    1. Sì, ricordo che a te era piaciuto poco :) pensa che questo è stato il primo film che ho visto quest'anno al Lido (sono arrivato due giorni dopo l'inaugurazione) e mi aveva conquistato fin da subito: del resto il western e i grandi spazi mi hanno sempre affascinato, fin da quando ero piccolo...

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