martedì 20 novembre 2018

SOLDATO DI CARTA (BUMAZNYJ SOLDAT)



titolo originale: BUMAZNYJ SOLDAT (Russia, 2008)
regia: ALEKSEY GERMAN JR.
sceneggiatura: JULIA GLEZAROVA, VLADIMIR ARKUSHA, ALEKSEJ GERMAN JR.
cast: MERAB NINIDZE, CHULPAN KHAMATOVA, ANASTASIYA SHEVELEVA
durata: 118 minuti
giudizio:



Unione Sovietica, 1961. Mancano sei settimane al lancio del razzo Vostok, la navetta che spedirà nello spazio Yuri Gagarin, primo uomo nella storia a riuscirci, facendolo assurgere a gloria imperitura. Eppure, nelle gelide e fangose, sterminate pianure del Kazakistan, dove si trova la base, pare di stare già in un'altra dimensione: un giovane ufficiale medico, Danijl (Merab Ninidze), è incaricato di assistere psicologicamente i cosmonauti che si stanno preparando all'impresa. Un'impresa che appare folle, un po' come la terra di nessuno dove si trovano a lavorare, un lembo di pianeta desolato e dimenticato da Dio (anzi, dal Soviet) dove è facile cadere in preda alla pazzia.

Piano piano infatti la verità viene a galla: la sfrenata "corsa allo spazio", a chi arriva più lontano, in un'assurda sfida propagandistica con gli Stati Uniti d'America, ha ben poco di epico e di umano. Si fanno esperimenti, prima con i manichini, poi con gli animali, in ultimo con le persone. Persone che vengono catapultate oltre l'orbita terrestre dentro ordigni fragilissimi, insicuri, che mettono a dura prova la loro incolumità fisica e psichica. Costretti ad aspettare il loro destino confinati a migliaia di chilometri dalle loro case, stremati dal freddo, dalla fame e dalla snervante attesa di essere sparati in cielo, sperando di tornare vivi, questi uomini sono come martiri moderni in attesa di un miracolo, condizione paradossale in un immenso stato-continente che ha abolito la religione...

Mi è venuto naturale, recensendo First Man di Daniel Chazelle, il bel film americano passato in concorso all'ultima Mostra di Venezia, tornare indietro con la mente a questa pellicola, altrettanto bella e profonda (e anch'essa presentata al Lido, dieci anni fa) che è anche davvero molto affine al film del regista di La La Land. Come in First Man, infatti, anche in Soldato di carta gli eventi politici e mediatici, strumentalizzati dal regime, si sgretolano e restano sullo sfondo a confronto con il profondo dilemma umano e privato che coinvolge i protagonisti della storia. Che per Danijl è rappresentato dal triangolo amoroso tra lui, la moglie Nina (Chulpan Khamatova) che è rimasta a Mosca ad aspettarlo, e la giovane e fragile collega Vera (Anastasiya Sheveleva), sposata con uomo in fin di vita e bisognosa d'affetto...

Tutto questo naturalmente s'intreccia col dilemma pubblico raccontato dal film: se sia giusto, cioè, sacrificare una vita umana in nome di una causa, per quanto grande essa sia. Un dubbio atroce che s'insinuerà nella testa di Danijl tormentandolo fino all'esaurimento, proprio come quei soldati che, come recita il titolo del film, bruciano con la stessa facilità della carta all'interno delle loro astronavi. E mostrandoci una realtà storica poco diffusa ma palese: Gagarin non fu affatto il primo uomo ad andare nello spazio, bensì il primo che riuscì a tornare vivo... prima di lui chissà quanti altri martiri senza volto, sacrificati per l'orgoglio nazionale, morirono arsi vivi nel silenzio.

Non è un film facile, Soldato di carta. Il ritmo è volutamente lentissimo, straniante, faticoso. Ci sono prolungati e complessi piani sequenza dove la macchina da presa indugia alla ricerca di barlumi di umanità (voci, volti, suoni) che si perdono nell'immensità della taiga russa. La fotografia plumbea pare trasportarci nello squallore della vicenda esattamente come i protagonisti. Un film che ci mette a disagio, ci costringe a condividere lo spaesamento di una nazione intera, ben rappresentato dalla bellissima scena, grottesca e allo stesso tempo angosciante, dei due soldati (uno è Gagarin) che si sfidano in bicicletta, con le tute spaziali addosso, in mezzo alla steppa... una sequenza lontana anni luce da qualsiasi tipo di retorica.

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