sabato 1 dicembre 2018

WIDOWS, EREDITA' CRIMINALE


titolo originale: WIDOWS (USA, 2018)
regia: STEVE McQUEEN
sceneggiatura: STEVE McQUEEN, GILLIAN FLYNN
cast: VIOLA DAVIS, MICHELLE RODRIGUEZ, ELIZABETH DEBICKI, CYNTIA ERIVO, CARRIE COON, COLIN FARRELL, LIAM NEESON, ROBERT DUVALL
durata: 128 minuti
giudizio: 

Non occorre certo scomodare Hitchcock o Kubrick per avere l'ennesima riprova che il cinema di genere è sempre un ottimo pretesto per stimolare riflessioni più profonde, a patto ovviamente che il regista ne sia capace… Widows, ispirato all'omonima serie televisiva degli anni '80, in apparenza sembrava un film davvero molto lontano dallo stile di Steve McQueen, cineasta nero (non è un dettaglio) di solida fama, rivelatosi al mondo con gli "arrabbiati" Hunger e Shame e poi assurto alla gloria degli Oscar con il premiatissimo 12 anni schiavo. Un regista con i fiocchi, e perciò capace di trasformare un semplice heist-movie come questo in un prodotto molto più complesso e affascinante di come appare...

E la struttura di Widows in apparenza, perlappunto, è proprio quella del film d'azione più classico: quattro donne disperate (le nere Viola Davis e Cyntia Erivo, la latina Michelle Rodríguez, la bellissima Elizabeth Debicki, già vista ne Il Grande Gatsby di Luhrmann), vedove ingannate - ma non rassegnate - di quattro ladri rimasti uccisi in una rapina finita male, sono costrette loro malgrado ad unirsi e aiutarsi a vicenda per restituire alla malavita locale i soldi persi dai loro uomini nel colpo fallito. L'unico modo per accontentare gli aguzzini, e magari mettersi in tasca anche qualcosina per loro stesse, pare essere quello di raccogliere le orme dei mariti e pianificare una grande rapina da cinque milioni di dollari a spese del politico di turno.

Da questo momento in poi, però, non aspettatevi un'ennesima roba stile Ocean's o I soliti ignoti: McQueen prende il toro (cioè il film) per le corna e lo doma a modo suo, coniugando brillantemente cinema di genere e cinema d'autore e plasmandolo a sua immagine, ovvero quella di un regista sempre attento ai drammi sociali e al presente difficile di un paese immenso e complesso come gli Stati Uniti. Per farlo sposta l'azione da Londra alla "nera" Chicago, una delle città più violente e corrotte d'America (la città di Al Capone), emblema delle disparità create dal capitalismo: Veronica (Viola Davis, bravissima) moglie nera di un boss bianco (Liam Neeson) vive in una splendida casa tirata su con soldi sporchi, che ora non si può più permettere. Le sue "colleghe" sono invece povere e incattivite, pronte a tutto pur di sopravvivere, dato che non c'è tempo per elaborare il lutto. Il denaro (che manca) è il pensiero dominante di ognuna di loro, che smuove le coscienze e lava i rimorsi, oltrepassando con facilità i sentmenti.

Widows, pur prendendosi molte licenze narrative (la sceneggiatura in più punti necessita di una buona sospensione dell'incredulità) riesce abilmente a rendere l'idea del marcio di un sistema di potere basato sulla corruzione e l'imbroglio. Non è un caso che, come dice lo stesso regista, non si vede un solo poliziotto in tutto il film: la legalità è messa all'angolo, sovrastata dal malaffare che invade, come un cancro, tutti i gangli della democrazia. Ne sono la riprova proprio le quattro protagoniste, nessuna delle quali pentita del loro status di mogli criminali e perfettamente "integrate" (o forse stritolate) in una società di cui sono la logica conseguenza.

Del resto, nessuno dei personaggi del film è totalmente privo di macchia, a cominciare dai politici in odore di elezioni: e qui McQueen compie un'apprezzabile deroga al politicamente corretto, mostrandoci un ritratto inconsueto della comunità afroamericana, tutt'altro che vittima e, anzi, diretta espressione della mafia locale. Il candidato "nero" in cerca di voti è infatti totalmente dedito al voto di scambio (anche con il clero locale) e non esita ad eliminare gli avversari con ogni tipo di violenza. Esattamente come i bianchi, ovvio, espressioni dell'etnia wasp dominante da secoli e ora terrorizzati dalla possibilità di perdere il potere e il controllo del territorio (buoni anche i ritratti del pavido rampollo in cerca di potere - un misurato Colin Farrell - e del vecchio padre razzista e cinico - il quasi novantenne Robert Duvall - che candida il figlio alle elezioni esclusivamente per manipolarlo).

Widows è tutto questo e anche di più, forse pure troppo... due ore e otto minuti (che non si sentono minimamente) necessarie per regalarci un potente thriller che unisce il melò e il giallo, la questione razziale e la vergogna del capitalismo, l'azione e la riflessione. Ma soprattutto riesce a dipingere con maestria un bellissimo ritratto femminile di quattro donne affascinanti e problematiche, i cui caratteri "restano" ben oltre i titoli di coda...

8 commenti:

  1. Risposte
    1. Sì, in effetti le sue capacità non si discutono (neppure nel pesantissimo "12 anni schiavo", il suo film più difficile da digerire). Un regista coi fiocchi.

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  2. Me lo sono proprio goduto al cinema: un mix di ingredienti molto ben azzeccato.

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    1. Assolutamente d'accordo: godibilissimo e anche profondo.

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  3. Bello. Un noir dalle mille sfaccettature, girato con classe e eleganza. Le quattro attrici sono fantastiche, ma nemmeno gli uomini sono così male: a cominciare dall'eterno Robert Duvall!

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    1. Vero, Duvall è un fuoriclasse e anche Liam Neeson ogni tanto si ricorda di essere un ottimo attore. Qui torna finalmente a buoni livelli.

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  4. Non so perchè (parlo in generale, eh!) tutti i critici da un po' di tempo a questa parte soprassiedono allegramente sulla "sospensione d'incredulità", giustificando ogni cosa in nome dello spettacolo. La sceneggiatura non conta più niente, potrebbe scriverla un computer. Ma davvero la critica cinematografica si è ridotta a questo? (commento non polemico, giuro)

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    1. hai sollevato un polverone... scherzo! in realtà la questione è serissima e ti rispondo molto volentieri. con una premessa: io non sono un "critico", sono solo un blogger dilettante che si diletta a scrivere di cinema, e non ho idea su che pilastri si debba fondare la critica cinematografica. non ho mai detto (e mai pensato!) che la sceneggiatura non conti nulla, anzi: i film di sceneggiatura sono forse quelli che preferisco (penso, ad esempio, a "The Social Network" di Fincher, per me un capolavoro di sceneggiatura) però credo che un film vada valutato in tutte le sue componenti, non solo dallo script. In questo caso, a mio giudizio, è evidente che al regista non importava tanto scrivere una sceneggiatura "ad orologeria" quanto far riflettere il pubblico sui temi che ho elencato nella recensione (questione razziale, valore del denaro, cultura capitalista, ecc...) e per farlo ha scelto la strada del film di genere. Ci vedo, insomma, un intento più "alto e nobile" e che preferisco, piuttosto che un film arido ma perfetto in ogni suo tassello (e qui ogni riferimento all'ultimo Nolan - gardacaso il primo che mi viene in mente - non è certo casuale). Spero di essermi spiegato, in ogni caso sono qui :)

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