venerdì 5 aprile 2019

LA CASA DI JACK


titolo originale: THE HOUSE THAT JACK BUILT (DANIMARCA, 2018)
regia: LARS VON TRIER
sceneggiatura: JENLE HALLUND, LARS VON TRIER
cast: MATT DILLON, BRUNO GANZ, UMA THURMAN
durata: 155 minuti
giudizio:


Stati Uniti, anni '70. Dopo aver ucciso per strada una donna che gli chiedeva aiuto, infastidendolo, lo psicopatico Jack si trasforma in un serial-killer maniaco della perfezione, elevando ogni omicidio a un'opera d'arte e sfidando apertamente la polizia che gli darà la caccia per anni...




Lars Von Trier evidentemente sta meglio, o quantomeno ha trovato l'antidoto per tenere a bada la sua eterna depressione, il che ci rende tutti più felici… che cosa c'entra questo con il suo ultimo film? E soprattutto, in base a cosa possiamo sbilanciarci e sindacare sul suo stato di salute? Ovviamente sono solo (mie) supposizioni, dettate però da quello che lo stesso Trier ha sempre dichiarato: che, cioè, tutti i suoi film riflettono un momento, uno stato d'animo particolare e personale, legato al suo benessere psicofisico.

Mi spiego: con i suoi ultimi due film (Melancholia e Nymph()maniac), a mio modesto parere Trier ci aveva inviato un' evidente richiesta di aiuto. Erano il grido di dolore di un uomo represso e complessato, non proprio incline alle relazioni sociali, che provava con l'unico mezzo per lui possibile (ovvero i film) a comunicare al mondo il suo disagio interiore e, al tempo stesso, ad invocare cure e comprensione. Melancholia e Nymph()manic (splendido il primo, meno riuscito ma comunque toccante il secondo) erano due film intimisti, umanissimi, ben lontani dalle provocazioni spicce di Antichrist o Idioti. Personalmente li ho amati molto, perché restituivano un Von Trier più umile e meno incline alla polemica o allo scandalo, quello che ho sempre preferito.

Con La Casa di Jack invece cambia tutto. Trier torna ai vecchi tempi, ovvero a un cinema iper-compiaciuto, sarcastico, cinico, perfino sadico in certi punti, in linea con i suoi primi lavori, narcisisti fin quasi all'eccesso. Un Trier in gran forma (meglio per lui, ne siamo contenti) che però "sfoga" il suo proverbiale cinismo in un film stilisticamente perfetto ma moralmente banale, poverissimo, inutilmente eccessivo e crudele, furbescamente efferato, con tanto di "solita" polemichetta montata ad arte (vedi la bufala che girava a Cannes sulle - presunte - moltitudini di spettatori "costrette" ad abbandonare la sala perchè schifati dalla violenza delle immagini, notizia ovviamente falsa e costruita dagli uffici stampa). Un film apparentemente sconvolgente ma in realtà ben poco originale, giusto un po' di fumo negli occhi per ottenere risalto mediatico.

La Casa di Jack è infatti un film tutt'altro che sconvolgente, anzi. La struttura è quella "classica" del regista danese: un film-fiume di oltre due ore e mezza diviso in un prologo (su schermo nero), cinque capitoli (chiamati "incidenti" - uno per delitto) e un epilogo accecante e visionario (su schermo bianco) che cita Dante ed ha il merito, direi l'unico, di rendere omaggio al compianto Bruno Ganz, alla sua ultima interpretazione.

Quella su Virgilio è solo una delle innumerevoli citazioni colte (ci sono anche William Blake, Bob Dylan, Goethe, Glenn Gould...) di una pellicola ambiziosa che racconta però una storia alquanto elementare: quella di un ingegnere fanatico dell'ordine e della pulizia (Matt Dillon) che uccide chiunque gli passi accanto in nome di una macabra perfezione artistica. Niente a che vedere con capolavori come Arancia Meccanica o Funny Games: l'ultimo Trier è una storia funzionale solo al suo autore, per ribadire il nichilismo totale, artefatto e scontato di un regista che ormai conosciamo fin troppo bene perchè possa impressionarci davvero...

Forse ha ragione Sandro Parenzo, il distributore italiano del film, nell'affermare che "ne La Casa di Jack c'è più cinema e delirante passione che nel 90% dei film che normalmente escono...", solo che è un cinema autocitazionista e fine a se stesso, un giochino per cinefili, un ottimo esercizio di stile che però (almeno per quanto mi riguarda) non comunica nè spiega alcunchè, dove nemmeno la tensione riesce ad emergere in una sceneggiatura verbosissima che finisce col dilatare troppo i tempi tipici dell'horror.

In molte recensioni leggo che "Von Trier è così: prendere o lasciare"... non sono d'accordo: prendo Von Trier quando le sue opere trasmettono sincerità e riflessioni (seppur disilluse) sulla vita. Lo lascio volentieri agli altri quando cerca, in modo elegante e sublime, di prenderci solennemente per i fondelli.

12 commenti:

  1. Concordo con la tua prima parte: non sembra certo un film di un uomo depresso, anzi! Però, lo ammetto, mi è piaciuto da matti. Non penso ci siano oggi registi più originali di Von Trier. Ma è solo la mia modestissima opinione.
    Un saluto e buon weekend.
    Mauro

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    1. In questo film di originale, per me, c'è davvero poco... c'è ottimo mestiere, senza dubbio, e qualche trovata geniale di un regista che, quando vuole, sa anche esserlo. Però nel caso specifico mi pare più forma che sostanza.

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  2. Sì, Lars ha buttato le medicine nella tazza del water :) io mi sono divertita da matti, le due ore e mezzo non le ho proprio sentite!!
    Non è un commento granchè tecnico, lo so ;)

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    1. ma in fin dei conti anche a me non è affatto dispiaciuto... fermo restando che, come ho scritto, l'ho trovato piuttosto asettico e poco sentito. e le due ore e mezza, invece, le ho sentite eccome.

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  3. Per me è stato puro godimento, e non stato troppo a chiedermi i motivi. Lars è maledettamente geniale, uno dei pochi registi davvero liberi del nostro tempo

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    1. Come sopra: ne riconosco la genialità, ma non in questo film. "La casa di Jack" è ben fatto, ma non mi ha trasmesso praticamente nulla. Il fatto che Von Trier sia un regista "libero" (lo penso anch'io) in questo caso non depone a suo favore... lui sarà anche libero ma il film è ingabbiato in vecchi schemi, che ci riportano al Trier narcisista e irritante degli esordi.

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  4. Chiusa fantastica e che riassume tutto il mio pensiero. Per quanto ami film come "Dogville" (il mio preferito fra i suoi) e il già citato "Melancholia", questo mi è sembrato un enorme pippone a due mani.
    Stilisticamente perfetto, ma da lui questo è il minimo. Certo mi piacerebbe che la provocazione avesse del contenuto.

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    1. Esatto. La perfezione nelle stile da lui ci si aspetta, eccome. Non c'è da stupirsi. Però oltre all'estetica per me non c'è molto altro in questa pellicola tronfia e impersonale, scontata nelle conclusioni. Un film che di sicuro non mi impressionerà come "Melancholia", anzi...

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  5. A me Lars frega sempre, anche quando palesemente vuole provocare. Ma ho capito che mi piace come ragiona -strano, malato- la sua testa, come riesce a collegare alto, basso, pruriginoso e (come in questo caso) anche il sangue. Forse più freddo e strutturato rispetto ai più di istintivi/genuini Nymphomaniac e Melancholia, ma comunque un film che mi sono goduta e studiata con piacere.

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    1. "Godibile" infatti è la parola giusta, sono d'accordo. Ma "godibile" non significa nè "cult", nè "capolavoro", come in troppi (non te) hanno scritto... e non significa nemmeno ciofeca assoluta, come sentenziano gli haters di Trier. Hai ragione: godiamocelo e guardiamocelo in santa pace. Alla fine, è solo un film ;)

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  6. Lars è un maledettissimo, geniale bastardo. Riesce a farci ammirare il male, a renderlo affascinante come nessun altro. Questo è un gran film.

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    1. Mah, qui non sono d'accordo. Come dice Lisa, sopra, Trier è un provocatore di professione, che unisce alle sue provocazioni un grande mestiere. Questo è un film godibile ma, secondo me, fine a se stesso. Inutile scomodare Haneke (il primo che mi viene in mente quando si parla di male "chirurgico") che è, davvero, un'altra cosa.

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