martedì 7 maggio 2019

STANLIO E OLLIO


titolo originale: STAN AND OLLIE (USA, 2018)
regia: JON S. BAIRD
sceneggiatura: JEFF POPE
cast: STEVE COOGAN, JOHN C. REILLY, SHIRLEY HENDERSON, NINA ARIANDA, DANNY HUSTON
durata: 97 minuti
giudizio: 


Inghilterra, 1953. Stan Laurel e Oliver Hardy, ormai anziani, malati e in difficoltà economiche, affrontano la loro ultima tournée teatrale: a dispetto di tutto, e malgrado gli inizi stentati, riscuoteranno ancora una volta un successo clamoroso.



Lo scompenso c'è, ma dura solo un attimo: colpa, come al solito, del doppiaggio italiano che lascia un po' straniti... sentire le voci di Stanlio e Ollio "diverse" da quelle cui eravamo abituati (soprattutto quella di Ollio, con l'accento impagabile di Alberto Sordi) all'inizio ti disorienta, giusto il tempo di abituarci alle perfette interpretazioni di Steve Coogan e John C. Reilly, capaci non di imitare ma di entrare dentro i loro personaggi, ovvero il duo comico più amato e famoso di sempre, da grandi e piccini. 

Stanlio e Ollio
è un buon film, lo diciamo subito per fugare i pregiudizi: è vero, la regìa di Jon S. Baird è piuttosto convenzionale, ma non c'è bisogno di ricorrere a particolari virtuosismi tecnici quando si tratta di raccontare una bella storia, capace di commuovere semplicemente per quella che è, immergendoci nelle vite pubbliche e private di due uomini di spettacolo legati, forse inconsapevolmente, da una grande amicizia capace di superare le prove più difficili di un rapporto straordinario ma anche complicato, in special modo negli ultimi anni di carriera, durante la loro parabola discendente (artistica e umana).

Il film comincia infatti con un flash: siamo nel 1937, a Hollywood, e un lungo piano sequenza ci introduce dentro il set di un film, uno dei tanti (centinaia) girati in quel periodo da Stan Laurel e Oliver Hardy. Nonostante i due comici siano all'apice del successo, il successo non li ha arricchiti: all'epoca non si parlava ancora di diritti d'autore e Laurel, il più pragmatico e impulsivo dei due, batte cassa al produttore Hal Roach (Danny Huston) chiedendo una percentuale sugli incassi e ottenendo per tutta risposta il licenziamento. Hardy, più pacato, resterà invece fedele a Roach, che per i film successivi gli affiancherà un nuovo partner, Harry Langdon. Ma il pubblico, che li vuole insieme, inseparabili, non gradirà. E Laurel faticherà parecchio a dimenticare il "tradimento" dell'amico...

Le lancette si spostano poi nel 1953, dove comincia il film vero e proprio: li ritroviamo in Inghilterra, indebitati fino al collo e costretti a esibirsi in squallidi teatri di provincia, quasi sempre semivuoti, per una tournèe che dovrebbe servire a finanziare un ipotetico ma irrealizzabile ritorno sul set. Laurel sta scrivendo una sceneggiatura per un film su Robin Hood, in chiave ovviamente parodistica, ma in cuor suo sa benissimo che il loro momento d'oro è ormai passato... però non ha il coraggio di rivelarlo a Hardy, in apparenza più ingenuo e sognatore, oltre che minato da una salute sempre più precaria, che invece sembra crederci eccome.


L'inizio della tournée è un disastro, ma piano piano accade il miracolo: accettando, come consigliato dagli impresari, di girare sketch pubblicitari (spesso anche umilianti) per promuovere i loro spettacoli, i due risalgono la china e cominciano a riempire di nuovo le platee. Merito della televisione, che risveglia i ricordi del loro pubblico, che non li ha mai dimenticati, e che nell'ultima settimana di repliche, a Londra, tornerà ad applaudirli in massa: è il canto del cigno di una coppia mitica, ma solo dal punto di vista lavorativo. Da questo momento in poi il film si concentra sull'aspetto umano di Laurel e Hardy, la cui amicizia e complicità supererà ogni barriera artistica e personale, arrivando dritta al cuore dello spettatore.

Stanlio e Ollio è dunque il bellissimo racconto di una bellissima amicizia, capace di soprassedere alle disavventure della vita e superare gli inevitabili rancori personali, piccoli e grandi, spesso causati dalla loro turbolenta vita sentimentale: entrambi infatti portavano sulle spalle il peso di svariati divorzi che avevano drasticamente eroso il loro patrimonio. Le loro ultime compagne, la ballerina russa Ida (Nina Arianda) e la premurosa Lucille (Shirley Henderson), non si sopportavano e i loro siparietti, nel film come nella vita, sono impagabili.

La parte migliore del film è però quella che descrive la caducità della gloria e la fatica di un mestiere, quello dell'attore, che può regalarti enormi gratificazioni e momenti di disperazione a seconda dell'aria che tira: la notorietà che svanisce, le umiliazioni che si devono sopportare (alberghi infimi, difficoltà economiche, impresari che si negano al telefono...), i compromessi da accettare per restare a galla. Una fatica mentale ma anche fisica: ci si commuove e ci si rattrista nel vedere come la dura legge dello spettacolo (che deve, necessariamente, sempre andare avanti) costringa due uomini malati e malmessi ad andare in scena malgrado le ginocchia che scricchiolano e il cuore che non regge...


Due uomini che però hanno scelto proprio quella vita lì, e non la cambierebbero per nessun'altra al mondo. Il regista, per fortuna (e per bravura) evita il finale ad effetto e vira verso un epilogo malinconico e coerente con i toni del film, in grado di rappresentare degnamente la parabola di due artisti al crepuscolo ma sempre grandissimi, che lasceranno ai posteri la loro parte migliore: quella di chi riusciva sempre, anche nei (nostri) momenti più difficili, a prenderti per mano e strapparti una risata.

6 commenti:

  1. Condivido l'osservazione sul doppiaggio: ennesima dimostrazione di come sia sempre preferibile la versione originale (che spero di vedere presto). Però è davvero un buon film, oltre le mie aspettative :)

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    1. ma sai cosa... più che alla versione originale mi riferivo proprio al doppiaggio italiano, che senza la voce di Sordi fa davvero stranissimo! Ma d'altronde sono i mali del doppiaggio, in effetti ;) come sempre!

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  2. Un film abbastanza piatto nello svolgimento, salvato dalla grandissime interpretazioni degli attori. La storia di Stanlio e Ollio è nota, qui molto è romanzata, ma indubbiamente attira il pubblico

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    1. "piatto" mi pare un termine un po' troppo negativo. diciamo che la sceneggiatura passa certamente (e forse volutamente) in secondo piano rispetto alla qualità e alle performances degli interpreti, questo sì.

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  3. Un film delizioso, con degli interpreti molto in parte. Certo, il doppiaggio italiano fa effetto ma d'altronde, per noi, farebbe tutto molto meno ridere anche in lingua originale :P

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    1. Esatto. In questo caso infatti lo "straniamento" non è dovuto tanto alla lingua originale quanto alla voce del grande Albertone, ovviamente inimitabile :) però il film sì, è davvero delizioso. Incredibile che le interpretazioni di Reilly e Coogan siano state dimenticate dall' Academy...

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