sabato 15 giugno 2019

BEAUTIFUL BOY


titolo originale: BEAUTIFUL BOY(USA, 2018)
regia: FELIX VAN GROENINGEN 
sceneggiatura: LUKE DAVIES, FELIX VAN GROENINGEN
cast: STEVE CARELL TIMOTHEE CHALAMET, MAURA TIERNEY, AMY RYAN
durata: 119 minuti
giudizio: 


Nicolas Sheff è un brillante diciottenne di buona famiglia: è bello, intelligente, colto, eccelle nello sport. Ma tra lui e il successo si mette di mezzo la droga, entrando in un tunnel dal quale non riuscirà più a uscire malgrado gli sforzi (e la disperazione) dei genitori, soprattutto di suo padre.



Negli Stati Uniti i decessi per abuso di droghe sono ancora oggi la prima causa di morte sotto i cinquant'anni di età. Ancora oggi, lo ripeto, malgrado tutta l'informazione, la sensibilizzazione, la prevenzione praticata, inimmaginabile rispetto agli anni '90, epoca in cui è ambientato Beautiful Boy. Tratto da due autobiografie (quelle dei due protagonisti, padre e figlio) il film racconta la storia di Nicolas Sheff, ragazzo e studente modello che, partendo dalle canne e proseguendo con l'eroina e ogni altro tipo di droga, entrerà in una spirale senza fine distruggendo la sua vita e quella delle persone più vicine.

La morale di Beautiful Boy è piuttosto scontata (pur non essendo questo il principale difetto di un film non particolarmente riuscito): chiunque può cadere nel vortice della droga, anche i ragazzi di buona famiglia, istruiti, benestanti, senza apparenti problemi. Nicolas Sheff è un ragazzo iper-sensibile, per certi versi estraneo dalla "tribù"dei suoi coetanei: ama disegnare, scrivere poesie, leggere libri "decadenti", che lo portano a chiudersi in se stesso e isolarsi dal mondo. La droga diventa così una compagna di viaggio, un'amica fidata, una presenza ingombrante della quale sarà sempre più difficile fare a meno...

Il film non è altro che la cronaca di una discesa agli inferi, raccontata attraverso gli occhi del padre (Steve Carell) disposto a tutto pur di aiutare un figlio brillante e inverosimilmente in difficoltà. Il problema è che il regista Felix Van Groeningen lo fa in modo superficialissimo, grossolano, ma soprattutto senza alcuna delicatezza, muovendosi con la sensibilità di un elefante in una cristalleria: sono gli stessi difetti che già mi avevano disgustato nel suo film precedente, il controverso Alabama Monroe (vedi recensione) e che qui ritroviamo pari pari, con appena un po' di retorica e moralismo in meno. Ma neanche tanto.

Succede quindi che il dramma di Nicolas (un Timothée Chalamet stavolta lontanissimo dell'attore convincente ed empatico che avevamo ammirato in Chiamami col tuo nome, colpa anche - forse - di una sceneggiatura affrettata e poco adatta a lui) non diventa mai credibile, non tocca le corde sensibili dello spettatore e non si capisce perchè mai dovremmo provare pena (o rabbia, o qualunque altra reazione) per uno sbarbatello un po' fancazzista che entra ed esce dalla bellissima casa dei genitori senza mai dimostrare davvero il suo disagio interiore.

Il dramma del film, ad essere sinceri, dovrebbe però essere quello del padre, un giornalista di successo che le prova tutte, ma proprio tutte (facendo ricorso anche alla sua professione e alle conoscenze che da questa ne derivano) per salvare un figlio che non vuole saperne di essere salvato. E' questo l'aspetto più riuscito del film, forse l'unico: il profondo cambiamento intimo di un genitore che si sente impotente, devastato nei confronti di un figlio fuori controllo, e che alla fine si vedrà costretto a compiere un gesto estremo, forse l'unico davvero efficace (e che ovviamente non vi dico).

Vi dico però che il film si guarda bene dall'affrontare il vero aspetto che, a mio modo di vedere, dovrebbe emergere da una storia del genere, ovvero la critica al sistema capitalistico americano, che fa in modo tale che gli aiuti a certe persone, seppure inutili, vadano solo a chi se li può economicamente permettere... in America puoi essere supportato nel tuo percorso di reinserimento solo se sei ricco, bianco, colto e consumatore. E magari (anche) un bel ragazzo. Il che non guasta mai.

12 commenti:

  1. A me come sai era piaciuto anche Alabama Monroe. Non vedo in questo regista la retorica che dici tu. Questo film è forse più trattenuto ma l'ho trovato comunque coinvolgente e sincero. E' solo la mia opinione di semplice spettatrice.

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    1. Ciao Elena, sì ricordo benissimo che avevi apprezzato "Alabama Monroe": ovviamente rispetto la tua opinione, ci mancherebbe, tantopiù in presenza di un regista come Van Groeningen che ha un approccio molto "viscerale" (e quindi umorale) verso il pubblico. Tradotto: è un regista che gioca con le emozioni, e le emozioni sono sempre soggettive... solo un appunto, però: come dici anche te questo è un film molto più trattenuto (secondo me piatto) e funziona poco anche da questo punto di vista. Ma sono gusti.

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  2. Film piuttosto convenzionale il cui risultato è piuttosto prevedibile, al di là delle buone interpretazioni degli attori.

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    1. Esatto. E secondo me nemmeno le prove degli attori sono così stratosferiche, in special modo quella di Chalamet: di tutt'altro spessore (in negativo) rispetto a quella di "Chiamami col tuo nome"

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  3. l'ho trovato piuttosto faticoso, senza guizzi

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    1. Io pure. Manca il ritmo, manca il coinvolgimento, mancano le emozioni. A me non è piaciuto nemmeno (come ho scritto) l'approccio etico del regista al film, ma questo è un dato soggettivo. E' invece oggettivo il fatto che questo film non decolla mai.

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  4. Non ci va giù leggero Van Groningen ma i suoi film sono autentici schiaffi per i benpensanti. Avercene di registi come lui che hanno ancora il coraggio di sbatterti in faccia il male del nostro tempo senza fronzoli e senza ammiccamenti, ma andando dritto al sodo. Mi è piaciuto molto così come le interpretazioni di Carell e Chamalet, entrambi rigorosi e volutamente sotto le righe.
    C.

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    1. Beh, insomma... di film sulla droga ne abbiamo visti un bel po' negli anni indietro, onestamente non l'ho trovato così "disturbante" come dici. E nemmeno gli attori mi sono sembrati in palla, in verità. A me pare che vada tutt'altro che "dritto al sodo" ma che, invece, si dilunghi oltremisura in una piattezza di fondo che non arriva mai al cuore della gente.

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  5. Attori meravigliosi ma poco altro. La sceneggiatura è una furbata, chissà come sono i libri scritti dai due protagonisti.

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    1. Non li ho letti, come (quasi) sempre... ma il film non mi invoglia di certo! :(

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