sabato 19 ottobre 2019

PANAMA PAPERS


titolo originale: THE LAUNDROMAT (USA, 2019)
regia: STEVEN SODERBERGH
sceneggiatura: SCOTT Z. BURNS
cast: MERYL STREEP, GARY OLDMAN, ANTONIO BANDERAS, JEFFREY WRIGHT, DAVID SCHWIMMER
durata: 97 minuti
giudizio: 


Ellen Martin, vedova inconsolabile, è disposta a tutto pur di recuperare i soldi che l'assicurazione (farlocca) avrebbe dovuto riconoscerle per l'incidente che le ha portato via il marito. Si scontrerà con una miriade di società off-shore che, come le scatole cinesi, speculano sulla pelle della povera gente...


Non dice molto di nuovo Panama Papers, ma come (spesso) capita al suo regista Steven Soderbergh, quel poco lo mette in scena benissimo: attraverso la figura simbolica della vedova Ellen Martin (una sontuosa Meryl Streep, qui perfino in un doppio ruolo), vittima dell'assicurazione che avrebbe dovuto risarcirle i danni dell'incidente in cui è perito l'amato consorte, Soderbergh rivela al pubblico cinefilo uno degli scandali finanziari più noti della storia recente, ovvero la divulgazione dei fascicoli segreti relativi a una miriade di società off-shore, avvenuti nel 2015 da parte del giornale tedesco Suddeutsche Zeitung, che coinvolsero molti dei personaggi più potenti del pianeta.

Tutto cominciò (come anche il film) dalle disavventure di un piccolo e sconosciuto studio legale panamense, i cui due soci Jurgen Mossack e Ramon Fonseca (sullo schermo gli impagabili Gary Oldman e Antonio Banderas) videro sbattute in prima pagina dopo una "soffiata" le liste dei loro clienti più prestigiosi, i quali (come molti altri) sfruttavano la legislazione particolarmente permissiva del paese caraibico per riciclare i loro guadagni sporchi (da qui il titolo originale del film - The Laundromat - certo molto più eloquente) alla faccia dei poveracci cui avevano estorto i soldi attraverso il solito gioco di scatole cinesi e gusci vuoti, tipico della finanza del nuovo millennio...

Non è certo la prima volta che il cinema si occupa di finanza malata: lo fa fin dai tempi di Michael Douglas alias Gordon Gekko in Wall Street di Oliver Stone (1987) fino a La Grande Scommessa (2015) e Vice, l'uomo nell'ombra (2018), entrambi di Adam McKay, in cui certe tematiche vengono trattate ben più radicalmente sia a livello stilistico che di contenuti. La qualità di Soderbergh è però quella di riuscire a spettacolarizzare e rendere "simpatiche" queste piaghe sociali attraverso la sua narrazione irriverente, scanzonata, sarcastica ma anche patinatissima, volta a rassicurare fintamente lo spettatore facendogli credere di essere estraneo a un mondo in cui invece tutti siamo dentro fino al collo: lo fa ricorrendo a una "tecnica mista" che mette insieme fiction, immagini di repertorio, siparietti comici, perfino cartoni animati, con cui con leggerezza ci mette di fronte alle storture del sistema.

La qualità principale di Panama Papers è senza dubbio la sua essenzialità: Soderbergh non spreca mai un'inquadratura, una scena, un dialogo di troppo. Il film è esemplare per asciuttezza e ritmo, dura solo 97 minuti e Dio solo sa quanto questo sia un pregio nel cinema di oggi. E' un giocattolino costruito alla perfezione e ben oliato da una sceneggiatura scoppiettante (di Scott Z. Burns) che va diretta al punto, impreziosito anche dall'apporto di attori bravissimi (molti dei quali impegnati in piccoli ma significativi camei come Sharon Stone, Matthew Schoenaerts, David Schwimmer, Will Forte).  Lo produce e lo distribuisce Netflix, garantendo al regista budget importanti e maggior libertà di movimento rispetto alle major.

Dove invece il film convince meno è nell'approfondimento degli argomenti e nella voglia di andare fino in fondo: il cinismo di Soderbergh non è mai davvero così caustico quanto richiederebbero queste operazioni, limitandosi a lanciare il sasso ritirando la mano. Traduzione: per quanto irriverente possa essere, Panama Papers non riesce a liberarsi da un certo moralismo di fondo secondo il quale la ricchezza e il benessere hanno sempre connotazioni negative e derivano sempre dallo sfruttamento delle classi più deboli, ingenue e immacolate. Sappiamo bene che la realtà è ben diversa e che il mondo ha qualche sfumatura in più oltre al bianco e nero, e che forse sarebbe utile lanciare al pubblico messaggi più mirati e meno populisti, che oggi di populismo ce n'è già fin troppo...

D'altronde però siamo "solo" al cinema, e fare dell'intrattenimento intelligente, divertente, autoriale e a buon mercato non è poco. Panama Papers non aggiunge niente a una filmografia a tema già piuttosto corposa, ma riesce comunque a intrigare e farti sorridere, facendoti credere di aver assistito a un'opera ben più scomoda di quanto in realtà non lo sia... e chi ama questo filone certo non potrà restarne deluso.

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