martedì 12 novembre 2019

GLI UOMINI D'ORO


titolo originale: GLI UOMINI D'ORO(ITALIA, 2019)
regia: VINCENZO ALFIERI
sceneggiatura: VINCENZO ALFIERI, ALESSANDRO ARONADIO, RENATO SANNIO, GIUSEPPE G. STASI
cast: FABIO DE LUIGI, GIAMPAOLO MORELLI, EDOARDO LEO, GIUESEPPE RAGONE, GIANMARCO TOGNAZZI, MATILDE GIOLI, MARIELA GARRIGA
durata: 108 minuti
giudizio:


Torino, 1996: Luigi Meroni, detto "il playboy", è un dipendente delle Poste a cui mancano tre mesi per andare in pensione e correre a spassarsela in Costa Rica. Ma quando il governo Dini, in una notte, allunga di vent'anni l'età pensionabile, all'uomo non resterà altro che rapinare, con l'aiuto di altri tre colleghi, il furgone portavalori che guida abitualmente...



"Ma davvero tu preferisci farti vent'anni di galera piuttosto che vent'anni alle Poste?"
"Perchè, fa differenza?"


E' difficile rinunciare a un sogno proprio quando questo ti sta per sfuggire di mano, quando ormai si è a un passo dal realizzarlo. Per Luigi Meroni, quarantenne e piacente fattorino postale, la scelta è tra crederci e impazzire. Tra l'idea di aprire un chiringuito in Costa Rica, tra donne, spiagge, mare e noci di cocco, e la raggelante routine quotidiana, che significa scorrazzare un furgone blindato da una parte all'altra di una Torino piovosa e grigia come la divisa che indossa, trasportando tanti di quei soldi come mai riuscirà a vedere in una vita intera...

Siamo nel 1996: Tangentopoli ha distrutto la classe politica italiana, Craxi è scappato in Tunisia, Berlusconi è stato "tradito" da Bossi e al governo c'è Lamberto Dini, uno di quei "tecnici" messi lì, come sempre, per sbrigare il lavoro sporco, quello che la politica non ha il coraggio di fare. E allora stop ai sogni, alla bella vita, all'illusione di poter vivere al di sopra delle proprie possibilità. E stop alle baby-pensioni, dato che adesso per godersi la sospirata liquidazione occorreranno, perlappunto, vent'anni in più. Vent'anni, un'altra vita.

E' curioso, e anche molto bello, che i migliori film attualmente in sala evochino tutti, a modo loro, la questione sociale, la lotta di classe, argomenti che parevano appartenere ormai al passato remoto della cinematografia: Joker di Todd Phillips ci racconta la struggente disperazione di un uomo malato che è stato abbandonato dalle istituzioni e cerca, a modo suo, di rimettere le cose a posto. E anche nel grottesco Parasite di Bong Joon-ho vediamo una famiglia intera, indigente, che prova a sostituirsi fisicamente a un'altra per sopravvivere e campare. Eppure, con tutto il rispetto per queste opere appena citate, mi permetto di dire che Gli Uomini d'oro è senz'altro il miglior film "sulla crisi" visto da diversi anni a questa parte. Non fosse altro perchè racconta una storia davvero tutta "italiana", cucita su misura per noi, sulla nostra pelle.

 Una storia incredibile, assurda, peraltro realmente accaduta, che come scrisse all'epoca il cronista di Repubblica Meo Ponte, che seguì l'intera vicenda, "se ne facessero un film comincerebbe come I soliti ignoti di Monicelli e finirebbe come Le iene di Tarantino". Venuto a conoscenza del fatto, il giovane e talentuoso regista Vincenzo Alfieri lo ha preso in parola, girando un film coraggioso e spiazzante, insolito per il panorama italiano, che non ha paura di omaggiare i grandi maestri appena citati e al contempo rivisitare il cinema di genere (in questo caso l' heist-movie) per costruirci sopra una spietata fotografia del sistema-italia, che oggi come allora spinge persone ingenue, sprovvedute e disperate a cercare la realizzazione personale attraverso l'inganno, l'illusione dei soldi facili, da guadagnare senza fatica e senza merito.


Gli uomini d'oro racconta una vicenda e una realtà storica vecchie di un quarto di secolo, ma che potremmo tranquillamente raccontare oggi. Parla di precariato, di lavoro nero, di razzismo strisciante: come quello che il napoletanissimo Meroni (Giampaolo Morelli) è costretto a subire dai colleghi, primo fra tutti il suo compagno di equipaggio, il torinese incarognito e frustrato Alvise Zago (Fabio De Luigi) che odia i "terroni" che gli rubano il lavoro... lui che, cardiopatico e depresso, di lavori è costretto a farne addirittura tre per far quadrare i conti familiari. Felicemente da rimarcare è la performance di De Luigi, per una volta impiegato in un ruolo non comico e, anzi, del tutto opposto. Il suo personaggio cinico, sgradevole, maschilista, impotente, risulta davvero riuscito e degno di riconoscimento (ne riparleremo ai prossimi David di Donatello).


La metafora, azzeccatissima, che il regista applica al suo film è quella calcistica, e calza a pennello: il calcio è lo specchio, spesso distorto, della società contemporanea. E così la rivalità sportiva tra il Torino (la squadra proletaria, più debole, amata dalle classi popolari) e la Juventus (la squadra dei "ricchi", vincente e prepotente) diventa il detonatore di una rabbia incontrollata e fino allora repressa che avrà conseguenze devastanti per tutti. Occhio anche ai nomi dei protagonisti, vera finezza artistica: Luigi Meroni, Alvise Zago, Luciano Bodini (il terzo complice, interpretato da Giuseppe Ragone) sono tutti nomi di ex calciatori delle due squadre, ognuno con la loro storia particolare, che si sostituiscono a quelli dei veri artefici del colpo dando al film una visione del tutto "universale" e simbolica.

C'è tanta carne al fuoco in questo film, ma la notizia è che questa, per una volta, è cotta proprio a puntino, cosa che accade di rado: il taglio è quello dei classiconi americani del genere (luci al neon, fotografia sgranata, plumbea, pioggia battente, sgommate, inseguimenti, incidenti) che però si fonde bene con la realtà italiana e i suoi personaggi. Un film "ruvido", ansiogeno, per certi versi volutamente sgradevole, pensato "al maschile" ma senza esaltare il maschilismo (anzi), dove le donne seppur defilate agiscono in maniera fondamentale sulla psiche dei loro uomini (bravissime Mariela Garriga e Matilde Gioli). Bravi anche Edoardo Leo e Gianmarco Tognazzi, impiegati in ruoli minori ma incisivi, di quelli che lasciano il segno.

Un film potente, impegnato, inaspettato, che a dispetto della facciata "di genere" disegna l'Italia della crisi più e meglio di tanti altri drammoni a tema. La struttura, non proprio originalissima, ricorda quella de Il capitale umano di Virzì (o, mirando alto, perfino Rapina a mano armata di Kubrick) con una differenza sostanziale, però: che mentre questi ultimi raccontavano storie inventate e scritte appositamente per il cinema, qui siamo di fronte a un caso giudiziario reale, emblematico, datato eppure attualissimo. Amara dimostrazione che, ahimè, la storia si ripete sempre ma gli uomini non imparano mai.
 

8 commenti:

  1. Davvero non gli avrei mai dato un euro. Ma leggere una recensione così entusiasta mi fa venir voglia di andare ;)

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    1. Questi sono i commenti che mi rendono felice: quando qualcuno, spinto dalle mie paroline, va a vedere un film che magari non avrebbe visto... quindi vedilo e dimmi che ne pensi! :)

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  2. Anche io non ci avrei puntato molto, ma mi fai ricredere...

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    1. eh... temo però che difficilmente arriverà dalle tue parti :(

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  3. Su questo film non c'avrei scommesso due lire, anche perché chi le ha più le lire?, e invece dopo questa tua recensione potrei puntarci qualche eurino. ;)

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    1. Fossi in te ce lo punterei... ;) è un film sorprendentemente "cattivo", duro, lontanissimo dalla commedia che ti aspetteresti visto il cast. Vedilo e poi fammi sapere!

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  4. Per fortuna non è solo l'ennesimo remake dei Soliti Ignoti ma un film bello teso e ansiogeno, raro per il cinema italiano.

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    1. Esatto: il film italiano che mai ti aspetteresti, nel segno buono!

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