venerdì 22 novembre 2019

L'UFFICIALE E LA SPIA


titolo originale: J'ACCUSE (FRANCIA, 2019)
regia: ROMAN POLANSKI
sceneggiatura: ROBERT HARRIS, ROMAN POLANSKI
cast: LOUIS GARREL, JEAN DUJARDIN, MATHIEU AMALRIC, GREGORY GADEBOIS, EMMANUELLE SEIGNER
durata: 126 minuti
giudizio: 



Parigi, 1895. L'ufficiale francese Georges Picquart, appena nominato capo dei servizi segreti transalpini , scopre che sono state falsificate alcune prove a carico del generale Alfred Dreyfus, accusato ingiustamente di aver trasmesso informazioni riservate alla Germania e ora detenuto presso l'Isola del Diavolo, in mezzo all'Oceano Atlantico. Picquart si rende conto ben presto che l'unica colpa di Dreyfus è quella di essere ebreo e cercherà in ogni modo di scagionarlo, anche a rischio di mettere a repentaglio la sua carriera e la sua vita. 



Ai Festival, si sa, i vincitori spesso e volentieri sono più improbabili che al gioco dell'oca. Per questo, aldilà delle simpatiche "scaramucce tra cinefili", in sede di recensione non mi ci si soffermo mai più di tanto: il giudizio di un film prescinde sempre dai premi che riceve o che non riceve, a maggior ragione, figuriamoci, quando si parla di uno come Roman Polanski, cui ormai un Leone d'oro in più o in meno, a 86 anni suonati e dopo tanti capolavori diretti, non può più fare nè caldo nè freddo.

Eppure, seppur mio malgrado, stavolta per recensire L'ufficiale e la spia bisogna partire proprio da quel Leone d'oro mancato all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, perchè il fatto è essenziale ai fini del ragionamento che sto per fare. Vi chiedo solo di pazientare il tempo di una doverosa, non breve ma indispensabile premessa...


Torniamo a Venezia, dunque. E' risaputo che L'ufficiale e la spia era il film largamente in testa alle preferenze dei giurati. Diciamo pure di TUTTI i giurati tranne... una, nella fattispecie la presidentessa di giuria, la regista argentina Lucrecia Martel, colei che fin dal suo arrivo al Lido aveva messo in chiaro di detestare cordialmente l'anziano Polanski per i suoi ben noti trascorsi giudiziari. In sintesi: la Martel è da sempre una femminista convinta e l'idea di dover premiare un collega, seppur autorevole, sospettato di aver abusato sessualmente di una minorenne, ovviamente non le passava nemmeno per la testa. Sappiamo com'è andata: la Martel prima si rifiuta di vedere il film alla proiezione ufficiale (per non essere "costretta" ad applaudire il regista) e poi impone agli altri giurati il suo diktat: in nessun caso Polanski dovrà vincere il Leone d'oro (finito poi a Joker) a prescindere dalla qualità artistica del film.


Poco importa (alla Martel) che la surreale vicenda di Polanski abbia ormai raggiunto confini grotteschi: stiamo parlando di fatti che risalgono al 1977, e Polanski non è mai stato accusato di stupro ma solo di aver fatto sesso con una minorenne, peraltro consenziente. La stessa ragazza, l'ex modella Samantha Geimer, all'epoca appena quattordicenne, ha da tempo perdonato il regista ed ha sempre ribadito in tutte le interviste di non essere mai stata violentata ma di essere andata a letto con lui solo per farsi strada nel mondo del cinema. Ma per la "pasionaria" Martel, "è ancora impossibile - dopo oltre quarant'anni, ndr - riuscire a separare l'uomo dalla sua opera"...

Il "problema", se vogliamo chiamarlo così, è che è impossibile recensire L'ufficiale e la spia senza separare l'uomo dall'opera: perchè L'ufficiale e la spia non è altro che una potente, toccante, lungimirante metafora dei nostri tempi e di tutto ciò che abbiamo detto sopra. La storia, lo sapete, è quella del celeberrimo affaire Dreyfus, peraltro già sfruttata ampiamente dal cinema nel corso degli anni, cui però Polanski dà una doppia interpretazione: non solo - e sarebbe già tantissimo - la condanna di ogni tipo di discriminazione razziale, politica e religiosa in tutto il mondo, ma anche un duro atto di accusa verso tutti coloro che lo hanno - a suo dire - perseguitato per decenni per le sue vicende private, spesso "a comando", per tornaconto e opportunità. Non a caso proprio J'accuse è il titolo originale del film: il riferimento letterario, certo, è al famoso editoriale di Emile Zola, ma è impossibile non vedere in questa vicenda il dilemma personale di un uomo famoso che si sente sotto processo da tutta una vita per accuse infamanti.


Del resto la vicenda personale di Dreyfus non è meno amara, anzi. E' risaputo che l'ufficiale francese venne condannato con prove false solo perchè "scomodo" alla sua nazione, in primis per la dichiarata fede ebraica: ben prima di Hitler, la civilissima Francia inaugurò la sciagurata stagione delle discriminazioni razziali e politiche, basate sulla menzogna, le fake-news, il pregiudizio, l'ignoranza (e quindi la paura) della gente. Dreyfus, che per tutto il film rimane voltamente sullo sfondo, comparendo solo a sprazzi (splendida l'interpretazione "sottotraccia" di Louis Garrel), seppur alla fine scagionato grazie all'encomiabile operato di un uomo onesto e di grande integrità morale, il capitano Picquart (non meno bravo in questo ruolo Jean Dujardin) non riuscirà mai ad ottenere giustizia fino in fondo, dovendo scontare per sempre il pregiudizio popolare. Esattamente come accade oggi, dove è facilissimo finire in pasto al tritacarne mediatico ed è complicatissimo uscirne, perchè la redenzione e il ristabilimento della verità non fanno, ahimè, mai abbastanza notizia.


Polanski descrive questo universo omertoso con una messinscena cupa, grigia, dove i colori lividi degli esterni e la fotografia slavata degli ambienti chiusi (quasi tutti ricavati dentro al carcere) creano un senso di oppressione assolutamente metaforico dell'epoca buia cui l'Europa si stava apprestando (quella delle due guerre mondiali). Ma a stupire è soprattutto la ricostruzione meticolosa, quasi maniacale delle carte del processo e delle sue fasi che, pur raccontate in maniera quasi statica (nel film non c'è praticamente azione) finiscono per appassionare e coinvolgere esattamente come in un thriller: solo che stavolta non ci sono i "buoni" e i "cattivi" d'ordinanza, ma solo persone che agiscono perlopiù in base al loro opportunismo e (poche) alla loro coscienza, demandando la giustizia a un uso strumentale, di parte e perciò molto pericoloso: io come Dreyfus, dice Polanski, e non siamo sicuri di riuscire a dargli torto...


Io credo, ed è un'opinione del tutto personale, che a chiunque debba essere concessa la possibilità di difendersi e, se colpevole, di redimersi. Vale per l'uomo della strada come per un regista famoso, in ogni caso non meritevole della persecuzione cui è soggetto da oltre quarant'anni. L'ufficiale e la spia ci inchioda di fronte alle nostre responsabilità: Dreyfus potremmo essere tutti noi, perchè a chiunque può capitare di sbagliare o, peggio, di essere condannati dall'opinione pubblica e non dai tribunali. E' giusto pagare per espiare le nostre colpe, ma non essere vittime del pregiudizio degli altri. Che peraltro nel caso di Polanski continua: in Francia ho letto di appelli a boicottare il film, promossi da persone che il film probabilmente non lo hanno neppure visto... il mio invito allora è uno solo: boicottate i boicottatori e andate al cinema. Per farvi LIBERAMENTE la vostra opinione. E per vedere un gioiello di film.

8 commenti:

  1. Io come sai non sono femminista, tuttavia credo che sia necessario scindere l'uomo dalla sua opera. Non si può non riconoscere che Polanski sia un maestro del cinema e certi suoi film mi hanno commosso come pochi altri (Il Pianista) però non riesco a "perdonarlo" per quello che ha fatto a quella povera ragazza, anche se tanti anni fa. Grandissimo regista, piccolissima persona.

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    1. Non ho nulla da obiettare: il perdono non è una legge, appartiene all'animo umano, alla sensibilità di ognuno di noi, e pertanto sei padronissima di non perdonare Polanski, ci mancherebbe. Quello che però volevo farti notare (a te come a tutti quelli che leggono questo post e si fanno un'opinione) è che in questo film è impossibile scindere l'uomo dalla sua opera, perchè è evidente che in "J'accuse" il riferimento alla vicenda personale del regista non è certo velato, è palese. E ti obbliga a schierarti e a farti un'opinione.

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  2. Ho trovato questa questione sempre molto spinosa. Però diciamo che tendenzialmente sono per scindere un'opera dalla vita privata, giudicabile o meno, del suo creatore. Io guardo Il Pianista o Rosemary's baby, esempio, e vedo due film della madonna. Che mi frega se il regista ha fatto quello che ha fatto? E comunque, pur volendo dare importanza alla cosa, invece, dopo quarant'anni avrà "scontato" la sua pena?

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    1. Come ho scritto sopra, in questo caso (parlando di questo film) è davvero difficile scindere il Polanski pubblico e privato. Sul resto però sono d'accordo con te: trovo che, per principio assoluto (morale prima che giuridico) a tutti coloro che sbaglianodeve essere data la possibilità di redimersi, altrimenti scendiamo al loro pari. I "fatti" di cui è accusato Polanski si riferiscono a oltre quarant'anni fa, e la storia ci ha poi descritto con chiarezza quello che è accaduto davvero... credo che battere ancora il tasto su questa vicenda sia vero e proprio accanimento.

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  3. Sono dell'idea che certi rati odiosi come lo stupro non debbano mai andare in prescizione (non giuridica, parlo dal punto di vista morale). è troppo comodo perdonare perchè "ormai è vecchio e decrepito", altrimenti andava perdonato anche Priebke. Polanski è un maestro del cinema ma ciò non toglie che sia stato un uomo deprecabile e odioso, meglio valutarlo solo per i suoi film.

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    1. ma dai... ma sei seria?? ma davvero paragoni Polanski a Priebke, ho letto bene? Priebke era un boia nazista e non meritava nessuna pietà, Polanski da oltre quarant'anni è "prigioniero" in casa propria per essere SOLO andato a letto con una minorenne. Comportamento poco edificante, certo, nessuno lo difende, ma da qui ad associarlo a un criminale nazista ce ne vuole! Oltretutto, Polanski non ha stuprato nessuno: la stessa vittima, più e più volte, ha sempre ribadito di essere stata consenziente e di averlo perdonato. Sono passati 44 anni... ma di che parliamo?

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  4. Faccio comunque notare che, in tre commenti ricevuti, nessuno ha parlato del film ma unicamente dell'uomo-Polanski... questo dimostra, senza voler assolutamente criticare nessuno, la potenza della macchina mediatica del nostro tempo che fa passare in secondo piano qualsiasi cosa che non sia legata alla sfera privata delle persone famose: la regola è sbattere sempre il mostro in prima pagina, perchè è l'unica cosa che interessa al pubblico e, subliminalmente, colpisce chiunque, anche noi (cinefili) che pensiamo di essere immuni. E' il mondo visto dalla parte dei social-network, sempre meno edificante...

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  5. Io credo che ormai dopo quarant'anni, bisogna metterci una pietra sopra, certo approfittarsi di una bambina di 13 anni è deprovevole, però i processi non possono durare per tutta la vita, alla fine devi darci un taglio e battere il martelletto per chiudere il caso, e una volta chiuso c'è la giusta condanna e la vita continua, questi processi prolungati non fanno bene a nessuno

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