lunedì 24 agosto 2020

VOLEVO NASCONDERMI


titolo originale: VOLEVO NASCONDERMI (ITALIA, 2020)
regia: GIORGIO DIRITTI
sceneggiatura: GIORGIO DIRITTI, TANIA PEDRONI, FREDO VALLA
cast: ELIO GERMANO, PIETRO TRALDI, ANDREA GHERPELLI, FABRIZIO CAREDDU, FRANCESCA MANFREDINI
durata: 120 minuti
giudizio: 



Biografia di Antonio Ligabue, celebre pittore e scultore naif negli anni a cavallo tra le due guerre, nato in Svizzera da emigranti italiani e poi allontanato sia dai genitori veri che da quelli adottivi per i suoi seri problemi fisici e mentali. Rispedito in Italia in giovane età (a Gualtieri, nel Reggiano) e poi internato in manicomio, una volta libero vivrà vagabondo sulle rive del Po fino a quando un noto critico dell'epoca (Renato Mazzacurati) si accorgerà di lui invitandolo a coltivare il suo talento artistico.



L'arte come ancora di salvezza per sfuggire alla pazzia, alla solitudine, alla discriminazione di un mondo che teme la diversità e rifiuta chi non è omologato ai suoi standard, specialmente in un'epoca (quella fascista) dove il culto dell' "uomo forte" e della famiglia non lasciava spazio ai più deboli ed emarginati. Per questo l'unico desiderio di Antonio Ligabue (un irriconoscibile, grandioso Elio Germano), artista geniale gravemente affetto dalla malattia fisica e psichica, era solo quello di essere accettato e amato, come artista, come uomo e come membro della società.

Non è un semplice biopic Volevo nascondermi, cui non interessa raccontare pedissequamente la vita del suo protagonista bensì restituire al pubblico (quel pubblico che ha apprezzato Ligabue solo dopo la sua morte) l'anima e il talento espressivo di uomo disturbato e geniale, animalesco nei modi ma generoso di indole, disadattato, represso, eppure allo stesso tempo ambizioso e consapevole della sua arte. Il film di Giorgio Diritti non segue una narrazione lineare, anzi, diciamo pure che non c'è nessuna narrazione (se non nella parte finale): la pellicola avanza volutamente a strappi, con continui salti temporali e sbalzi di ritmo, esattamente come la salute mentale di Ligabue, il cui stato rifletteva le (molte) delusioni e le (pochissime) gioie della sua vita.

Una vita fatta di stenti, di solitudine, di freddo, di fame. Un'infanzia negata, un'adolescenza difficile, un contesto storico-politico che tende ad allontanare i reietti piuttosto che a inserirli in società ("Siete celibe, non occupato, nullatenente, non contribuite in nessun modo alla vita del Paese..."): Volevo nascondermi è un grande, commovente e autentico trattato sull'emarginazione, girato con stile quasi documentaristico, essenziale, senza concedere alcuno spazio alla retorica e rifuggendo ogni ruffianeria, oltre a perseguire un'idea di cinema umanista e intimo, strettamente legato al territorio (Diritti è stato allievo di Ermanno Olmi, e si vede) fino al punto di operare scelte coraggiose e commercialmente impopolari: almeno 3/4 dei dialoghi sono infatti recitati in dialetto o lingua originale, faticosi da capire per il pubblico ma necessari per calarsi nel contesto provinciale e patriarcale in cui il povero Ligabue si muoveva come un marziano...

Otto anni dopo il poco fortunato Un giorno devi andare, film complesso e scarsamente empatico verso lo spettatore, Giorgio Diritti torna a concedere a quest'ultimo la possibilità di emozionarsi con il protagonista e indignarsi contro il becero razzismo della gente "normale" (e quindi contro se stesso), oltre che avvicinarsi al potere immenso dell'arte, che attraverso il suo linguaggio figurato consente a chiunque di esprimersi liberamente aldilà di qualsiasi barriera fisica o mentale: una volta messo in condizione di esprimersi, Ligabue riusciva attraverso i propri quadri a scacciare il male oscuro che lo affliggeva anzichè auto-infliggersi barbaramente ferite sul corpo allo scopo di far uscire i propri demoni allo scoperto.

E, anche se una buona fetta della riuscita del film va al sempre più istrionico Elio Germano, impressionante nell'interpretare un personaggio così complesso senza mai cadere nel ridicolo, Volevo nascondermi non è affatto uno one-man-show costruito apposta per vincere premi: è invece un film che brilla di luce propria, che cattura lo spirito di Ligabue e lo consegna al pubblico costringendolo ad interrogarsi su quanto i pregiudizi e l'ignoranza possano far male alle persone, anche (soprattutto) a quelle che consideri lontanissime da te e che invece, se conosciute e stimolate, possono regalarti incredibili lezioni di vita.

6 commenti:

  1. Ci credi che ancora non sono tornato al cinema dopo il lockdown? E questo film mi ispirava anche prima della tua recensione, adesso ho il film giusto per tornare in sala!
    Un caro saluto.
    Mauro

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    1. Nemmeno io, sai Mauro? Questo l'ho visto a un'arena estiva, ma non sono ancora rientrato in una "vera" sala cinematografica. Lo farò sicuramente con "Tenet", nel weekend, e anche questo potrebbe essere un film "giusto"... l'importante è andare!!
      Ricambio il saluto.
      Sauro

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  2. Me felice! Ho sempre adorato Germano, appena posso corro a vederlo!

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    1. Allora non resterai delusa, nè da lui nè dal film. Poi ne riparliamo!

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  3. Indubbiamente da non perdere. Diritti e Germano sono una coppia che promette benissimo.

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    1. E' il loro primo lavoro insieme, e indubbiamente il risultato è notevole. Non so se proseguiranno la collaborazione, me lo auguro perchè sono entrambi due fuoriclasse (anche se Diritti mi aveva un po' deluso con il suo penultimo film, "Un giorno devi andare", ma con questo si è riscattato alla grande!)

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