sabato 3 ottobre 2020

WAITING FOR THE BARBARIANS


titolo originale: WAITING FOR THE BARBARIANS (ITALIA, 2019)
regia: CIRO GUERRA
sceneggiatura: J.M. COETZEE
cast: MARK RYLANCE, JOHNNY DEPP, ROBERT PATTINSON, GRETA SCACCHI
durata: 112 minuti
giudizio: 


Ai remoti avamposti di un grande Impero, uno spietato Colonnello appena arrivato dalla Capitale cattura e tortura persone inermi per indurle a confessare se e quando si verificherà un attacco dei fantomatici "barbari", ovvero le popolazioni indigene che vivono oltre confine. Così facendo si scontrerà con il mite funzionario di frontiera che, da sempre, amministra con saggezza quel lembo di terra adottando la linea del dialogo e della tolleranza...




Era da più vent'anni che si vociferava di una trasposizione cinematografica di Waiting for the Barbarians, uno dei romanzi più famosi del Premio Nobel sudafricano J.M. Coetzee nonchè testo fondamentale (all'epoca) contro l'apartheid e il razzismo. In tanti a Hollywood ci avevano provato in passato, ma è stato grazie alla testardaggine di un produttore americano semi-indipendente, Michael Fitzgerald, oltre a un regista dal nome italianissimo ma in realtà colombiano, Ciro Guerra, e una produzione, questa sì tutta italiana (la Iervolino Entertainment) che il film è riuscito ad arrivare in sala.

Waiting for the Barbarians esce sui nostri schermi a un anno esatto di distanza dalla sua presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia: in Inghilterra hanno preferito farlo uscire direttamente on-demand (con grande successo, tra l'altro) mentre in Italia si è preferito, meritoriamente, tentare la distribuzione in sala. E il coraggio ha pagato: dopo il primo weekend di programmazione, Waiting for the Barbarians è risultato il film con la miglior media/presenze per schermo. Significa che il pubblico non si è lasciato scoraggiare da una distribuzione non proprio capillare (un centinaio di schermi in tutto il paese) ed è accorso numeroso per assistere a un'opera importante e accorata sul tema dell'intolleranza e contro il rifiuto della diversità, temi oggi più che mai tristemente attuali.

Merito, certo, di un trio di attori di grande richiamo (Mark Rylance, Johnny Depp e Robert Pattinson), di una confezione extralusso (la fotografia è del grandissimo Chris Menges, già premiato con l'Oscar per Mission e Urla del silenzio) ma anche di un "passaparola" che ha attirato un pubblico cinefilo desideroso di film di qualità. Waiting for the Barbarians è stato sceneggiato dallo stesso Coetzee, che ha leggermente ritoccato il suo testo letterario per adattare al cinema una storia universale, ambientata in un tempo indefinito, distopico, immaginando di condurre lo spettatore ai confini di un imprecisato Impero senza nome dove un mite funzionario (un umanissimo Mark Rylance) cerca di amministrare il suo avamposto di frontiera attraverso il dialogo e la pacifica convivenza con coloro che stanno oltre le mura (i "barbari", appunto) e che ovviamente non vedono di buon occhio gli ultimi arrivati, i "colonizzatori".

Sarò l'arrivo del feroce colonnello Joll (un diabolico Johnny Depp), incaricato di riferire sulle attività cospiratorie e terroristiche dei presunti barbari, ad accendere la scintilla della follìa: Joll inizia a torturare e uccidere tutti coloro che, a suo dire, sono reticenti o traditori verso il regime, instaurando un clima di odio e di tensione verso un nemico che non si vede mai e che fino allora non aveva manifestato alcun sentimento ostile. Ne farà le spese anche il funzionario Mark Rylance, incapace di assistere passivamente a tanta violenza e che si schiererà palesemente contro il Colonnello, subendone l'immediata e dura ritorsione.

Il film è un apologo fin troppo chiaro verso due modi di intendere e esercitare il Potere: dialogando e integrandosi con i "diversi", sforzandosi di capirli e accettarli, oppure esercitando il pugno di ferro e governando con durezza e repressione. La scelta è tra la convivenza e la prigionia, la follìa contro la ragione, la pace contro la schiavitù. Il personaggio di Depp (che sta sullo schermo solo qualche decina di minuti ma è la presenza più iconica della pellicola) incarna simbolicamente tutti gli spietati dittatori di ogni tempo, etnìa e luogo, mettendoci in guardia dai pericoli del totalitarismo, che può e deve essere combattuto solo con la ragione.

Ne viene fuori un film onesto e palesemente schierato, persino troppo, dalla morale ovvia (i veri barbari siamo noi stessi, che abbiamo la presunzione di sentirci superiori agli altri senza nemmeno conoscerli).  Il limite di Waiting for the Barbarians è infatti il suo eccessivo schematismo e i personaggi tagliati con l'accetta, senza sfumature, forse volutamente caricaturali (in particolare quello di Robert Pattinson, che interpreta un sadico capitano militare con l' "hobby" della tortura) ma che finiscono più per dare fastidio che far riflettere il pubblico. Ad ogni modo, un'allegoria efficace contro nemici purtroppo duri a morire (razzismo, dittatura, intolleranza) e che non ha paura di stare dalla parte giusta. Di questi tempi ce n'è sempre un gran bisogno.

6 commenti:

  1. Non conoscevo né il libro né il film, grazie per averne parlato! Sembra molto interessante. Mi ricorda un Deserto dei Tartari dove però, per passare il tempo, si tortura qualcuno... Non andrò al cinema temo ma lo vedrò alla prima occasione!

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    1. In effetti le attinenze con Il Deserto dei Tartari sono parecchie. Il libro di Coetzeee era (è) molto più incentrato sull'apartheid, mentre il film ha un'impronta più "universale", probabilmente per volere della produzione. Quando lo vedrai magari ne riparliamo ;)

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  2. Effettivamente un po’ schematico, ma con una coppia di grandi attori, non mi è affatto dispiaciuto.

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    1. C'è sicuramente di peggio, però proprio il grande cast faceva sperare in un risultato meno scontato e artisticamente più valido. Invece la sceneggiatura di Coetzee è (a mio avviso) piuttosto canonica e tutto il film poggia in realtà sull'interpretazione di Rylance: Depp e Pattinson compaiono solo per qualche decina di minuti e obiettivamente non lasciano il segno.

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  3. Devo ammettere che Robert Pattinsn mi fa molto tenerezza :dopo Twilight ha scelto di dedicarsi inteneramente al cinema d'autore e da festival per dimostrare di essere un bravo attore quasi come se quella saga fosse un peccato assoluto da espiare

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    1. Dici? Io credo, semplicemente, che sia cresciuto. Esattamente come la sua "collega" Kristen Stewart: è normale che i giovani attori, ad inizio carriera, si facciano le ossa con filmetti giovanilistici e di cassetta (e comunque Twilight per me non è affatto terribile) per poi passare a titoli più impegnativi. Direi che fa parte del percorso artistico di ogni attore.

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