sabato 28 novembre 2020

ELEGIA AMERICANA

titolo originale: HILLBILLY ELEGY (USA, 2020)
regia: RON HOWARD
sceneggiatura: VANESSA TAYLOR
cast: AMY ADAMS, GABRIEL BASSO, GLENN CLOSE, HALEY BENNETT, FREIDA PINTO
durata: 118 minuti
giudizio: 


La (vera) storia di J.D. Vance, da ragazzino cresciuto in povertà in un piccolo paese della profonda provincia americana, in Ohio, fino alla laurea in giurisprudenza a Yale e il successo come scrittore e manager. Un successo ottenuto però a caro prezzo, tra drammi familiari e un'infanzia infelice e turbolenta.



La differenza sta sempre e comunque nel "manico". Sono sicuro che se Elegia Americana fosse stato diretto da Clint Eastwood sarebbe stato un capolavoro, poichè un film del genere rappresenta perfettamente, dal punto di vista etico, politico e sociale, la filosofia del grande Clint. Invece lo ha diretto Ron Howard, che sta a Clint Eastwood come Roberto Gagliardini sta a Diego Maradona (citazione ovviamente non casuale, oggi), e certo senza voler nulla togliere al buon Gagliardini che, lo dico da interista, ha sempre fatto con dedizione il suo lavoro nei limiti della sua mediocrità. Esattamente come Ron Howard, che genio proprio non è ma che in carriera non ha mai fatto film orrendi: per questo ritengo che le stroncature, numerosissime e feroci, che il film ha raccolto dalla critica, soprattutto oltreoceano, siano eccessive e non meritate. Ma non mi stupiscono, e vi spiego perchè.

Elegia Americana trae spunto dalla biografia di J.D. Vance, in apparenza il classico self-made-man che partito dal nulla è arrivato al successo, ovvero il Sogno Americano fatto persona. Il titolo originale, Hillbilly Elegy, si riferisce a quelle popolazioni del "profondo Midwest" degli Stati Uniti che vivono in zone rurali, ai margini della civiltà, culturalmente ed economicamente arretrate rispetto agli stati più ricchi ed evoluti delle coste orientali e occidentali. Il protagonista del film è un ex ragazzino che, cresciuto in un contesto sociale complicato (senza un padre, con una mamma assente e drogata, una nonna rigida e mezza matta, il vagabondaggio da una casa all'altra e da un compagno - della madre - all'altro) riesce a laurearsi a Yale e anche a trovare la donna della sua vita, al prezzo però di una famiglia devastata...

Ciò che racconta Elegia Americana è un pezzo di America che agli americani non piace vedere: è l'America povera, depressa, ottusa, fatta di grandi spazi e grandi distanze (non solo fisiche ma soprattutto sociali), di povertà, di ignoranza, di una sottocultura destrorsa e violenta da sempre poco incline alla tolleranza e alla diversità, e che negli ultimi mesi la pandemia ha messo a dura prova facendo prevalere nel paese gli istinti più beceri. E' quell'America dove bianchi e neri, paradossalmente, condividono la stessa rabbia sociale susseguita alla grande crisi del 2006 e ancora ne pagano le conseguenze sotto forma di disoccupazione, sfratti, depressione e sottosviluppo. E' quell'America che ha votato in massa per Trump senza rinnegarlo, in risposta alle promesse cadute nel vuoto di quell'altra America, quella benestante, democratica e radical-chic, che ha preferito (anche al cinema) nascondere la testa sotto la sabbia.


Per questo non mi stupisco delle recensioni negative della stampa a stelle e strisce, quasi tutta schierata a sinistra e che rifiuta di sentirsi sotto accusa, allontanando un film che non è affatto pro-Trump (come tanti hanno frettolosamente scritto) ma che, semmai, ci mostra perchè Trump ha vinto le scorse elezioni ed è arrivato a un passo da fare il bis, nonostante incarnasse la figura di un miliardario spaccone ed esibizionista, lontano anni luce dai contesti mostrati nella pellicola. Ma che ha rappresentato per milioni di cittadini il simbolo della protesta di chi si è sentito abbandonato dalla politica, tradito negli ideali.

Intendiamoci: non è che Elegia Americana entrerà mai nella storia del cinema, ci mancherebbe. Ma non è nemmeno così brutto come lo si dipinge: è un film onesto, piatto, senza virtuosismi di regìa nè tantomeno di sceneggiatura, che però si fa apprezzare per la sincerità di quello che racconta. E' un drammone famigliare che si regge più che altro sulle interpretazioni di due grandi attrici come Amy Adams e Glenn Close, invecchiate, imbruttite, imbolsite per ragioni di scena ma sempre credibilissime nei loro ruoli, cui basta un'espressione del viso, una ruga, per arrivare al cuore degli spettatori. Ai quali, forse, interesserà poco dell'aspetto politico del film ma magari si appassioneranno a una storia di dolore e sofferenza che non glorifica affatto la famiglia (tipica visione "di destra") ma, semmai, aiuta a capire come riuscire ad ottenere un posto nel mondo nonostante la famiglia stessa...

 

8 commenti:

  1. I film di Ron Howard mi sono piaciuti quasi tutti, vedrò anche questo volentieri. Il cast mi ispira.
    Un abbraccio e buon weekend.
    Mauro

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    1. Ron Howard è un onesto mestierante del cinema che quasi mai ha deluso. Non gira certo capolavori ma i suoi film sono tutti dignitosi, e pure questo lo è (a mio parere).
      Buona settimana, Mauro!

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  2. Sinceramente anche questo, nonostante la profonda ammirazione per le due attrici, mi respinge molto fortemente, ma anche solo guardando le immagini, senza scomodare tutte le stroncature che ha ricevuto...

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    1. Le due attrici secondo me sono bravissime (in generale e pure in riferimento a questo film). Perchè vuoi privarti a prescindere della visione di un film? Prova a vederlo e giudicarlo con la tua testa. Magari non ti piacerà... ma magari anche sì! :)
      Vedilo e poi ne riparliamo.

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  3. Nemmeno a me è dispiaciuto. Penso anch'io che le critiche americane siano profondamente influenzate dalla politica, ho letto che difficilmente questo film concorrerà agli oscar a causa proprio della scarsa attenzione della critica: beh, secondo me ci sono titoli ben peggiori che hanno vinto fior di statuette!

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    1. Ah, su questo non ci sono dubbi! Ma il discorso sugli Oscar si farebbe lungo... è comunque assodato che per vincerli servono doti non sempre e solo riconducibili alla qualità artistica. La politica c'è sempre stata: gli Oscar avranno forse scarso valore qualitativo, ma sono da sempre un termometro indicatore della classe dirigente americana.

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  4. Non mi pare certamente un film riuscito. Lodevole nelle intenzioni ma la storia non prende mai quota. Sarei curioso di leggere il libro per fare un confronto.

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    1. Nemmeno io ho letto il testo da cui è tratto: e pure io sarei curioso di sapere fino a dove si spinge la critica. E' ovvio che Howard non ha la statura nè artistica nè politica per farne un pamphlet contro le disuguaglianze sociali, tuttavia mi pare ingeneroso non riconoscergli almeno una certa sincerità e onestà di fondo.

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