venerdì 9 aprile 2021

JUDAS AND THE BLACK MESSIAH

 


titolo originale:
JUDAS AND THE BLACK MESSIAH (USA, 2020)

regia: SHAKA KING
sceneggiatura: WILL BERSON, SHAKA KING
cast: LAKEITH STANFIELD, DANIEL KALUUYA, JESSE PLEMONS, MARTIN SHEEN
durata: 125 minuti
giudizio: 


Chicago, 1969. Il ladruncolo minorenne Bill O'Neal, "pizzicato" dall' FBI dopo un tentativo di furto d'auto, accetta in cambio della libertà di infiltrarsi nel movimento delle Pantere Nere e fare da spia per il governo americano. Incontrerà così il leader del partito, il carismatico Fred Hampton, restandone affascinato e favorendone l'ascesa politica...




E' chiaro che un film come Judas and the Black Messiah poteva venire alla luce solo in tempi propizi. E quale epoca più propizia poteva esserci se non quella susseguente alle clamorose proteste del Black Lives Matter e dell'ennesima inchiesta sul feroce razzismo della polizia americana? Niente di nuovo sotto il sole quindi, così come il proliferare di pellicole come questa che, ciclicamente, vanno ad inserirsi in veri e propri filoni a tema, quasi da diventare anch'esse perfino "modaiole"... con questo non voglio dire che Judas and the Black Messiah sia un film falso, tutt'altro, però è evidente la volontà di sfruttare (anche commercialmente, non è certo un reato) il momento favorevole dell'opinione pubblica, incline ad attribuire a questi film meriti anche ben superiori alla loro effettiva qualità artistica.

Per questo, lo dico subito, le sei candidature all'Oscar mi paiono francamente esagerate: Judas and the Black Messiah è un film piuttosto ordinario, senza grossi guizzi di regìa nè attoriali, oltretutto anche un po' confuso perchè mette fin troppa carne al fuoco, certamente più di quella necessaria per essere ragionevolmente contenuta in 125 minuti di lunghezza (che comunque, va detto, filano via abbastanza snelli). Ma è più che altro la sua ovvietà a togliere al film ogni tipo di sorpresa, dato che offre allo spettatore esattamente ciò che questo s'immagina: una pellicola revisionista e dichiaratamente risarcitoria nei confronti del movimento delle Pantere Nere, all'epoca considerato dal governo americano e dai servizi segreti (soprattutto dal loro "leggendario" capo J. Edgar Hoover, qui impersonato da un appesantito Martin Sheen) alla stregua di un'organizzazione criminale e violenta, da reprimere senza pietà.

In realtà, sappiamo bene che Hoover non temeva le Pantere Nere in quanto terroristi, bensì come possibili avversari politici: il loro leader Fred Hampton arringava le folle propagandando ideali socialisti nella comunità afroamericana, pronto a metterli in pratica una volta che un nero fosse diventato Presidente degli Stati Uniti. Un rischio troppo grande da correre in un paese già scosso dai brutali omicidi di Malcom X e Martin Luther King, un problema da risolvere alla radice attraverso la sistematica "attenzione" (per usare un eufemismo) riservata agli esponenti del partito, cui spesso e volentieri venivano negati i diritti civili più elementari. Il resto lo faceva il controspionaggio, attraverso l'infiltrazione di spie all'interno dei gangli dell'organizzazione, pronti a riferire alla polizia ogni "soffiata" che potesse presagire ad eventuali tentativi di ribellione.

E infatti il film di Shaka King ci parla proprio di uno di questi "Giuda", raccontando la storia (vera, ma parecchio romanzata) del giovane Bill O'Neal (Lakeith Stanfield), ex ladruncolo assoldato dall' FBI per sorvegliare le Pantere Nere dell'Illinois e diventato in poco tempo braccio destro del suo "messia", ovvero il già citato Fred Hampton (Daniel Kaluuya). La ricostruzione di King è alquanto parziale, in quanto ammorbidisce non poco i fatti e ignora molte delle violenze (che c'erano, eccome) perpetrate dalle Pantere: magari lo fa in buona fede (o magari no), certo è che il film funziona abbastanza bene quando si concentra su Hampton descrivedone il suo potere magnetico sulla comunità nera (e qui va reso merito all'interpretazione di Kaluuya, l'unica - forse - meritevole di Oscar), mentre delude su tutta la linea quando tenta di politicizzare il discorso, offrendo una visione d'insieme piuttosto superficiale e poco accurata, tesa unicamente a riabilitare la reputazione delle Pantere.

Alla resa dei conti, Judas and the Black Messiah è un ordinario bignami di storia che nulla aggiunge alla ormai già ampia produzione sul tema, cui noi europei - diciamo la verità - siamo "mediamente" interessati: nel senso che i fatti raccontati in questo film (e in mille altri) ci sono utili per farci un'idea del contesto storico in cui si svolgono, ma non hanno certo la stessa "presa" emotiva che possono avere sul pubblico americano, in particolare su quello di colore. La pellicola di King scorre bene, tiene alto il ritmo nelle sue due ore e passa e ci conduce spedita alla fine senza particolari sorprese. E' un buon prodotto medio che, come dicevamo nell'incipit, ha saputo sfruttare al meglio il momento in cui uscire e ne trarrà senz'altro beneficio (leggi probabili Oscar) ma che, mettiamolo bene in chiaro, non può essere minimamente paragonato al miglior Spike Lee o al miglior Steve McQueen, autori di opere ben più profonde e toccanti di questa.

11 commenti:

  1. In realta' mi inspira molto e spero di non rimanere delusa, ho aspettative abbastanza alte. 'In difesa dell'autodifesa', era il motto delle Pantere Nere. A guardare il BLM, poco e' cambiato.

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    1. Personalmente, vedendo il film ho capito ben poco dello spirito che animava le Pantere Nere. Il film è correttissimo ma privo di mordente, non mi ha emozionato praticamente mai. Può essere utile per un "ripasso" storico, ma non credo riesca a coinvolgere più di tanto... diciamo che è un compitino costruito apposta per gli Oscar.

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  2. In effetti è nato un vero e proprio filone di film a tema Black live matters, ma secondo me non è necessariamente un male. In fin dei conti denotano una presa di coscienza da parte dell'opinione pubblica e fanno luce su un periodo storico da noi poco conosciuto. Comunque quando l'avrò visto ti farò sapere che ne penso.
    Per adesso ti auguro buon weekend.
    Un caro saluto.
    Mauro.

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    1. Ci mancherebbe, Mauro. Nessuno ha detto che sia un male che escano film di questo tipo: se è un modo per far conoscere e denunciare il razzismo e l'intolleranza nella storia ben vengano. La mia critica è squisitamente cinematografica: mi pare che, salvo rare eccezioni (come "One Night in Miami") dal punto di vista artistico queste opere siano tutte abbastanza convenzionali. Ma ovviamente è solo la mia opinione.
      Ricambio il saluto :)
      Buona domenica!

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  3. Solo l'idea di vederlo mi fa venire l'orchite! :D

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    1. No, dai! :) il film non è affatto noioso, credimi. Anzi, ha pure un bel ritmo e si segue molto bene. I difetti sono altri...

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  4. A me è sembrato "morbidino" e patinato, come film, ben lontano dallo stile rozzo e feroce che secondo me avrebbe meritato, visto il tema. Per fortuna loro, come attori, sono molto bravi.

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    1. Sì, infatti tutti abbiamo "salvato" gli interpreti. Sono loro che salvano un film abbastanza piatto. E' vero, ci sarebbe voluta molta più "verve"... ci sarebbe voluto lo Spike Lee dei tempi migliori. Ma di Spike Lee ce n'è uno solo, purtroppo.

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  5. Va a finire che di film come questo ne vedremo talmente tanti che ci parrà di averli messi dentro un frullatore, con tanto di scene intercambiabili l'uno con l'altro. Madonna che palle!!

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    1. E' una tendenza figlia dei tempi, è sempre stato così. E come sempre ci ricorderemo dei film buoni e ci dimenticheremo di quelli meno buoni... come è giusto che sia.

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