sabato 8 maggio 2021

RIFKIN'S FESTIVAL

 

titolo originale: RIFKIN'S FESTIVAL (USA, 2020)
regia: WOODY ALLEN

sceneggiatura:
WOODY ALLEN
cast:
WALLACE SHAWN, GINA GERSHON, LOUIS GARREL, ELENA ANAYA, SERGI LOPEZ, CHRISTOPH WALTZ, STEVE GUTTENBERG

durata:
92 minuti

giudizio:



Mort, ex insegnante di storia del cinema e sua moglie Sue, giornalista, volano in Spagna per seguire il Festival di San Sebastian. Lui, seppur riluttante, accetta di accompagnare la consorte solo perchè teme che abbia una relazione con un giovane e affascinante regista francese, Philippe, di cui cura l'ufficio stampa. Una volta sul posto, però, anche Mort si accorgerà di non essere nemmeno lui esente da tentazioni...




Rifkin's Festival
si apre, manco a dirlo, con una seduta di psicanalisi... già dalla prima inquadratura si capisce quindi che non dobbiamo aspettarci troppe sorprese dall'ultimo film di Woody Allen, e del resto come potrebbe essere altrimenti per questo omino di 86 anni che, giunto ormai al crepuscolo della  sua carriera, ci appare ancora più stanco e più fragile dei personaggi che mette davanti alla macchina da presa? Allen, lo sapete tutti, è stato praticamente messo alla porta da Hollywood dopo le assurde e in larga parte infondate accuse  di comportamenti sessualmente scorretti mossegli dal movimento #metoo, e da allora è costretto ogni volta a girare il mondo alla ricerca di finanziatori per i propri film, bazzicando soprattutto la vecchia Europa (che a differenza dell'America lo ama ancora nonostante tutto).

Il vecchio Woody, ormai lo sappiamo, gira film a scopo auto-terapeutico per continuare a sentirsi vivo, per non (ri)cadere nelle manìe depressive che lo tormentano da tutta la vita. Li gira più per se stesso che per il pubblico, e si vede: il tasso di autoreferenzialità è evidente e dominante in tutti i suoi lavori più recenti, alla stregua di altri illustri "colleghi" che, come lui, usano il cinema come mero strumento per sfogare la propria insoddisfazione personale (pensiamo a Lars Von Trier o Terrence Malick, giusto per citare gli esempi più noti). Sarebbe però ingiusto, cinico e pure umanamente ignobile "suggerire" ad Allen di piantarla con la cinepresa e ritirarsi a vita privata, oltre naturalmente a non avere alcun titolo per farlo. Quindi caro Woody non ascoltare nessuno, in particolar modo i blog dilettanti e insignificanti come questo e vai pure avanti per la tua strada, ci mancherebbe altro.

Questo per dire, lo avrete capito, che Rifkin's Festival è uno dei film più deboli e meno ispirati di sempre del regista newyorchese. Certo, è un'operetta leggera che si lascia seguire al solito con simpatia (e se siamo ben disposti riesce pure a stapparci qualche risata...) ma siamo davvero lontani anni luce dalle sue pellicole migliori. Un'esile, convenzionalissima commedia romantica che solleva i soliti interrogativi alleniani sulla vita e la morte (nonchè su amore, salute, arte) invitandoci all'ennesima riflessione sulla vacuità dei rapporti umani. Non c'è niente di nuovo o particolarmente brillante in questo film: Allen ricorre ancora una volta ai sogni (e quindi alla psicanalisi) per superare il difficile presente (suo e dei suoi protagonisti) affidandosi al mestiere degli attori e alle parodie di grandi capolavori del passato che in teoria dovrebbero scaldare i cuori degli spettatori: da Quarto Potere a Il Settimo Sigillo, i siparietti in bianco e nero che omaggiano il grande cinema europeo sono buffi ma ben poco empatici in una pellicola di appena 92 minuti che sembra scritta dal generatore automatico di testi di Google...

Così, il Festival del Cinema di San Sebastian, la cui 68. edizione è iniziata proprio con l'anteprima di questo film, serve ad Allen come pretesto per presentarci il suo nuovo - si fa per dire - alter ego cinematografico: uno scrittore veterano, Mort (Wallace Shawn) che sta attraversando una crisi esistenziale causata da un blocco creativo e, soprattutto, da matrimonio in declino con una moglie forse troppo bella per lui (Gina Gershon) che non a caso flirta con uomo molto più giovane (Louis Garrel). Mort la seguirà in Spagna solo per pedinarla, trovando puntualmente riscontro ai suoi sospetti di infedeltà coniugale: il suo dolore sarà alleviato soltanto dalla bellezza dei luoghi (sapientemente immortalati come di consueto dalla fotografia di Vittorio Storaro) e da un nuovo interesse romantico (verso la giovane dottoressa Rojas, interpretata da Elena Anaya) che lo illuderà di potersi permettere l'ultima svolta della sua vita.

Allen,
tra il serio e il faceto, ha rilasciato più volte dichiarazioni alla stampa dove ammetteva candidamente di essere volato in terra iberica più per concedersi una vacanza che per girare il film (da lui considerato quasi come una "scusa" per giustificare la sua permanenza in riva all'Atlantico). Un lavoretto facile facile per coniugare lavoro e piacere, senza troppo impegno e ben remunerato, e perdipiù rigenerante dal (suo) punto di vista mentale. Un film che verosimilmente piacerà solo ai suoi tanti estimatori, che gli perdonano tutto e ogni volta non vedono l'ora di godersi il loro Allen d'annata, puntuale come le tasse... Noi invece ci limitiamo a dargli uno sguardo tollerante e benevolo, ben consapevoli di trovarci di fronte a un grande cineasta ormai avviato verso un declino senile onorevole e, purtroppo, ormai irreversibile.

10 commenti:

  1. Finalmente, oggi,tornerò al cinema, e inizierò con questo film qui. Ti leggerò dopo, ediamo se siamo concordi sul grande Woody, che manco il covid19 ferma!

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  2. ... e io invece come sempre non riesco a non amare Woody! <3 è ovvio che si ripete, del resto a 86 anni come si può pensare che faccia qualcosa di nuovo? Ma i suoi film sono sempre adorabili, forse proprio perchè sono esattamente come te li aspetti! Per me è un sì :)

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    1. Quando di mezzo c'è il cuore non oppongo resistenza! :) a parte gli scherzi, é un dato di fatto che Allen ha uno zoccolo duro di fan affezionati che lo adorano e aspettano ogni suo film quasi come si aspetta un vecchio amico a cena... ed ho il massimo rispetto per tutti loro. Io non sono un "tifoso" sfegatato di Allen, ne riconosco ovviamente la grande carriera, ma dovendo dare un giudizio critico questo non può che essere mediocre per i motivi che ho scritto nella recensione. Poi, certo, il valore affettivo è ben altra cosa...

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  3. Il "solito" Allen ma in senso buono: avercene di autori raffinati come lui. Il suo peggior film sarà sempre migliore di tanti altri, di tanto cinema spazzatura che vediamo ogni giorno.

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    1. La "raffinatezza", in questo caso, per me sfocia nel manierismo... ma aldilà di questo, certo, Allen è un gigante del cinema e preferisco mille volte vedere un suo film piuttosto che tanta altra roba, però rivendico il fatto di poter scrivere di quanto negli ultimi anni si sia insoluto il regista newyorchese.

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  4. Da alleniano di ferro devo dire che mi è piaciuto un sacco, è un film suo in tutto e per tutto, con le sue tematiche ripetute mille volte (e noi alleniani speriamo ancora e ancora), come tu giustamente sottolinei e anche sopra qua Rebecca. In sala, molto vuota oggi (era il primo spettacolo del pomeriggio e la giornata bella non spingeva verso la sala, senza dire del covid, che ancora qualche paura fa)si rideva di gusto, perché è un film che fa ridere, con battute memorabili. Gli omaggi cinematografici sono nel suo stile, e ci stanno, come il collegamento sogni/cinema/psicanalisi. Negli ultimi 20/30 anni ci sono state delle cadute di Allen, dei film che si poteva evitare, ma Rifkin's Festival non lo metterei tra questi, non è un Allen minore. Mi auguro di vedere un film di Woody su questo periodo strano, fatto di mascherine e divieti. Spero trovi finanziatori e attori, come quelli di Rifkin's Festival decisamente alleniani. Spiace solo lui non possa interpretarli, vista l'età. Scusa se mi sono preso troppo spazio, adoro quel vecchietto, sono invecchiato con lui.

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    1. Ma ci mancherebbe che tu debba scusarti per aver scritto troppo! :) Sono invece felicissimo di questo commento che è anche una piccola recensione... entrando nel merito, capisco benissimo anch'io che non si può chiedere all'86enne Allen di stupirci con qualcosa di nuovo: come ho scritto, Allen ormai fa film per esorcizzare la paura della depressione e della morte, e io sono felice che continui a farli anziché rinchiudersi nell'inedia, il problema é che ormai il tasso di autoreferenzialitá di questi lavori fa sì che lo spettatore critico (quindi non il fan) li trovi davvero stanchi e ripetitivi, non solo nei contenuti ma anche nella forma. Io, sinceramente, di battute "memorabili" in questo film non ne ho sentite, anzi. C'è ne sono alcune (tante) così telefonate che le puoi indovinare fin da prima ("se mi danno un mese di vita di sicuro sarà febbraio", sic!) e, per quanto il film possa essere, perlappunto, "carino" e stilisticamente ben fatto, mi pare davvero enormemente distante dai titoli universalmente acclamati dalla critica. Poi, è ovvio, la "mano" di Allen è sempre la stessa, così come la mente, e certi passaggi (come gli omaggi cinefili) sono deliziosi, tuttavia resto dell'idea che sia davvero un Allen minore, e nemmeno di poco...

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  5. Fino a qualche anno fa era intoccabile anche per me, nonostante i vistosi scivoloni. Ma non so perché ultimamente sono diventata intollerante anche nei confronti dei miei miti, tra i quali appunto Allen.

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    1. Diciamo che Allen con gli ultimi film ha messo abbastanza alla prova l'affetto dei suoi fan. A me una cosa del genere è successa con Verdone... ne parlerò presto ;)

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