martedì 1 giugno 2021

IL DIVIN CODINO

titolo originale: IL DIVIN CODINO (ITALIA, 2021)
regia: LETIZIA LAMARTIRE
sceneggiatura: LUDOVICA RAMPOLDI, STEFANO SARDO
cast: ANDREA ARCANGELI, VALENTINA BELLE', MARTUFELLO, ANTONIO ZAVATTERI, ANDREA PENNACCHI
durata: 93 minuti
giudizio: 


Ventidue anni di carriera di Roberto Baggio, detto "il Divin Codino", ovvero il giocatore italiano più talentuoso del calcio moderno, l'unico ad essere rimasto nel cuore di tutti gli sportivi malgrado le tante (prestigiose) maglie indossate. Il film si sofferma più che altro sulla vita privata del campione, segnata da terribili infortuni e scelte personali non facili (come quella di abbracciare il Buddismo...)




Per quanto il calcio sia uno sport viscerale, capace di spremerti grandi emozioni, c'è stata una sola volta in vita mia in cui ho pianto per una partita di calcio (e sì che noi interisti di lacrime - soprattutto di rabbia - ne abbiamo sempre versate tante). Era il 23 maggio 2000: a Verona l'Inter allentata da Marcello Lippi si gioca in una notte una stagione intera. Una stagione che avrebbe dovuto essere trionfale e che invece si riduce a un misero spareggio per la Champions League contro il forte Parma di Alberto Malesani. Lippi, a sorpresa, schiera titolare Roberto Baggio, con cui per tutto l'anno ha avuto un rapporto a dir poco burrascoso: litigi, incomprensioni, musi lunghi, tante panchine. Comunque vada, è certo, per Baggio sarà l'ultima partita in maglia nerazzurra.

Baggio, secondo i maligni, avrebbe tutto l'interesse a tirare indietro la gamba: se l'Inter perde Lippi salta, sarebbe la sua grande occasione per vendicarsi di tante amarezze e magari guadagnarsi un altro anno di contratto. Invece in campo Baggio gioca come un indemoniato e vince la partita da solo: prima con un gol su punizione da posizione impossibile, sorprendendo sul primo palo l'esterrefatto Buffon, poi con un fantastico sinistro al volo a cinque minuti dalla fine che fa esplodere il Bentegodi. Al fischio finale c'è la standing ovation del pubblico e l'epilogo più folle: Baggio saluta e se ne va a testa altissima, Lippi resta e prolunga solo la sua agonia, che sarà certificata dall'esonero di qualche mese più tardi, eliminato nei preliminari di coppa dai modesti svedesi dell'Helsingbors.

In questo episodio c'è tutta la grandezza di Robi Baggio: un giocatore cui solo l'umiltà superava la sua immensa classe. Un uomo schivo, timido, poco incline alla mondanità, di poche parole e molti fatti. E perfino con una testa pensante, a differenza di quello che diceva Vujadin Boskov di (quasi) tutti i suoi allievi ("testa di giocatore buona per portare cappello..."). Baggio preferiva la caccia alle anatre ai locali notturni, stava insieme alla stessa ragazza fin dai tempi della scuola invece di portarsi a letto ogni sera una starlettina diversa, agli allenamenti era sempre il primo ad arrivare e l'ultimo a uscire, nonostante gli eterni problemi con le sue ginocchia fragili.

Accadde poi una cosa meravigliosa, che il sottoscritto mai avrebbe potuto immaginare: dopo un'estate passata da disoccupato, Baggio accetta di trasferirsi al Brescia, per rimettersi in gioco e provare a riconquistare la Nazionale. E io in quegli anni, in quei bellissimi anni, per motivi di lavoro vivevo proprio a Brescia, a pochi chilometri dal centro sportivo dove la squadra di Carletto Mazzone preparava le partite. Fu come toccare il cielo con un dito: ogni sera, uscito dall'ufficio, andavo al campo a vedere gli allenamenti: il grande Baggio, con umiltà ancora più grande, provava le triangolazioni con Calori, Bisoli, Tare, Kozmisnki, i gemelli Filippini... gente non proprio dei piedi di velluto. Eppure lui, nonostante il Pallone d'oro, le quasi 250 partite (e i 150 gol segnati) con Juve, Inter e Milan, gli scudetti e le coppe vinte, si metteva a disposizione come un ragazzino per salvare una squadra di provincia. 


Il film di Letizia Lamartire non può, ovviamente, raccontare tutto questo. Non è possibile ridurre in appena 90 minuti la carriera di uno dei giocatori più forti e amati della storia del calcio italiano, l'unico, forse, ad essere amato proprio da tutti i tifosi di tutte le squadre, nonostante le tante maglie indossate. La giovane regista barese sceglie quindi (per me, giustamente) di raccontare l'uomo e non il campione, operando una scelta drastica che, sono pronto a scommettere, scontenterà molti appassionati. Il Divin Codino mostra la sfera intima di Roberto Baggio, scandita attraverso tre momenti-chiave, corrispondenti ad altrettante delusioni: il primo grave infortunio, a soli 17 anni, proprio alla vigilia del debutto in Serie A; il rigore sbagliato in finale nel 1994 a Pasadena, che costò all'Italia la Coppa del Mondo; la mancata convocazione ai Mondiali del 2002, malgrado le finte rassicurazioni del CT Trapattoni. Tre cadute seguite da altrettante risalite, esemplari nel mostrarci la grande umanità e la grande tenacia di un ragazzo cresciuto in una famiglia povera (sesto di otto figli) e consapevole del valore del denaro.

Ne Il Divin Codino si parla poco di calcio e molto del percorso umano del campione, descrivendoci una giovinezza fatta di sacrifici e solitudine, della voglia di mollare tutto mitigata solo dalla grande forza d'animo (ereditata da un padre burbero ma amorevole) e anche da una scelta spirituale, quella di abbracciare il Buddismo, nata quasi per caso nei primi difficili mesi a Firenze e che tanto scalpore fece all'epoca.

Il film è fatto ad uso e consumo del pubblico di Netflix: lo stile è smaccatamente televisivo, in certe parti anche piuttosto ingenuo, scivola su diversi luoghi comuni (primo fra tutti, una "parlata" toscana al limite della caricatura), eppure riesce ad empatizzare con il pubblico trasmettendogli l'autenticità di un campione di calcio che è riuscito a restare con i piedi per terra. Non è grande cinema, ma è un cinema sincero che riesce perfino a far uscire qualche lacrimuccia, soprattutto nel finale, quando le immagini di repertorio dell'addio al calcio di Baggio si sovrappongono alla fiction creando la giusta commistione tra realtà e leggenda calcistica.

Molto del merito va al giovane protagonista, Andrea Arcangeli, la cui somiglianza con "l'originale" è davvero incredibile. Bravi anche Valentina Bellè (nel ruolo della moglie di Roberto) e Andrea Pennacchi (il padre), i cui volti sanno esprimere quell'umanità tipica della gente onesta di periferia, sempre capaci di non abbattersi nelle difficoltà e non esaltarsi nella gioia. Il Divin Codino è un film che rispecchia perfettamente il carattere di Roberto Baggio: un film umile, rispettoso, controllato, consapevole dei propri limiti e onesto nella realizzazione. Ovviamente, lo ripeto, non basta a comporre un ritratto completo del campione: forse servirebbe una serie, ma (forse) non basterebbe neanche quella... se poi dovesse venirne fuori una trashata come Speravo de morì prima (la deludente fiction su Totti), allora, credetemi, molto meglio così. Perchè tanto, lo sapete, i fantasisti non si possono ingabbiare in uno schema...


23 commenti:

  1. Non ho mai pensato neppure lontanamente di guardare la serie su Totti, mentre voglio vedere questo film.
    Pur non essendo mai stata appassionata di calcio, quel codino magico mi ha sempre affascinata.
    E forse proprio perché la pellicola parla poco del calciatore e più dell'uomo, mi piacerà ancora di più.

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    1. Baggio è stato, senza timore di smentita, il calciatore più amato dagli italiani, l'unico che pur avendo giocato in squadre acerrime rivali (Juve, Inter, Milan) è sempre stato stimato e rispettato da tutti. Proprio per la sua umiltà e la loro onestà intellettuale. Il film va verso la direzione che preferisci (racconta l'uomo, non il campione) e penso che possa davvero piacerti :)

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    2. Ok Sauro, peccato che,come direbbe Johnny Stecchino,"non ci somiglia pe niente"

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    3. @Bela: no, dai... a me pare incredibilmente somigliante invece! Sembra proprio lui, non solo per l'aspetto fisico ma anche per le movenze, la voce. Secondo me difficilmente si poteva fare meglio

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    4. Ma anche l'autista Dante ,in effetti,una certa somiglianza con il boss mafioso ce l'ha...
      Onestamente però io l'ho trovato un film veramente povero, povero di regia, povero di sceneggiatura,povero di emotività,non si può condensare la vita di Baggio in 92 minuti e non mi ha convinto neppure sotto l'aspetto del racconto dell'uomo Baggio, troppo incentrato sul rapporto col padre (quasi protagonista)e dipinto in maniera eccessivamente depressa.
      Mi rendo conto che era un impresa ardua fare un film che risultasse piacevole ed interessante senza cadere sul docufilm ma qui siamo a livello di una fiction di rete 4
      Occasione persa

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    5. Mi premeva poi aggiungere una cosa, sulla carriera sportiva c'è poco ,ok, ma se mi parli di "episodi chiave" beh, il gesto di raccogliere la sciarpa lanciatagli da un tifoso viola alla fine di un Juventus Fiorentina (con annesso grande rifiuto di calciare un rigore) quello non può proprio mai mancare caro Sauro.

      P.S.
      La tua prefazione al film con i vari aneddoti personali l'ho invece apprezzata molto.
      Un caro saluto

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    6. @Bela: che il film sia molto televisivo l'ho scritto, non si discute. D'altronde il pubblico medio di Netflix non va al cinema e vede i film (e quindi anche le fiction) in tv: io però non l'ho trovato così scadente... è indubbiamente povero dal punto di vista registico, ma compensa queste carenze con il lato contenutistico ed emozionale (che per me non è secondario). Quanto all'episodio della sciarpa, secondo me i media lo hanno montato fin troppo. Capita a tutti i calciatori di tutte le categorie, specialmente quando si è molto giovani, rifiutarsi di tirare un rigore contro una squadra con la quale si è emotivamente coinvolti. Tra l'altro sono gli allenatori stessi che il più delle volte ti dicono di non farlo. Quell'episodio fece scalpore più per via della grande rivalità tra Juventus e Fiorentina che per l'effettiva rilevanza sul Baggio calciatore, che infatti lo ha sempre minimizzato...

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  2. Anch'io da ragazzina adoravo Baggio, e chi non lo adorava? :) Però il film mi pare davvero poca cosa. Il protagonista è davvero somigliante, ma onestamente non mi ha convinto più fi tanto, più brava la Bellè forse...

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    1. Come ho scritto, il film ha una struttura piuttosto televisiva (il target perfetto di Netflix) e non si può certo parlare di capolavoro. I difetti che gli riconosci sono oggettivi. Però non riesco a giudicarlo senza il fattore umano: si tratta di una pellicola sincera e umanissima, che sa cavarti fuori le emozioni. Per questo per me merita ampiamente la sufficienza.

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  3. Il film su Totti davvero inguardabile, questo punta più sul melodramma, ne ho visto qualche pezzo qua e là. Me lo faccio bastare..

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    1. Da interista, non ho mai straveduto per Totti. Però, davvero, er Pupone meritava una fiction migliore di quella di Sky. Imbarazzante, per me.
      Questo su Baggio a me non è dispiaciuto. Certo, va preso per quello che è: un onesto tv movie. Però sincero e a tratti perfino commovente. Temevo il peggio, forse è per questo che l'ho apprezzato di più... ;)

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  4. Purtroppo per me non ho mai avuto il piacere di vederlo giocare dal vivo ma come raccontavo nel mio post il mio primissimo ricordo calcistico è legato al suo codino svolazzante sui campi di USA'94. Se penso al prototipo di calciatore che mi piacerebbe essere in un universo parallelo sceglierei Roberto Baggio: umiltà al limite del disfattismo, fragilità caratteriale, grande amore per il pallone. Caratteristiche che oggi non trovi più.

    Tra l'altro nel post hai citato una riflessione che facevo insieme alla mia ragazza: Baggio ha avuto la stessa ragazza per tutta una vita, una bella tenuta in cui abitare ma senza sfarzo eccessivo e un comportamento sempre schivo e pacato. Una persona che ha dei valori che apprezzo molto.

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    1. Condivido pienamente. Tra l'altro la moglie di Baggio, Andreina, è davvero una donna "normale" (nel senso più positivo del termine) e non certo la "bellona" di turno che ci si aspetterebbe da un calciatore. Baggio, poi, dopo il ritiro si è sempre (volutamente) tenuto lontano dal mondo del calcio, in cui non si riconosceva più. E questo spiega tante cose sul calcio di oggi...

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    2. Direi che spiega tutto.
      P.S. Complimenti per il blog ispirato a un megaclassico della fantascienza

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    3. Grazie! Sì, "Solaris" è il mio film dell'anima: un film imprescindibile :)

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  5. Guarda, è un film che per le tue stesse ragioni mi incuriosisce, por sapendo che la qualità cinematografica è probabilmente scarsa. Baggio è l'unico giocatore che ho adorato, e quando ha smesso di giocare ho smesso di guardare il calcio.
    Per ora ho visto la sua intervista di mezz'ora legata al film e già mi è piaciuta da matti...

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    1. Anch'io ho visto quell'intervista, e non nego che mi ha toccato profondamente. Ti capisco benissimo quando dici che hai smesso di seguire il calcio dopo l'addio di Baggio, lui (come ho detto sopra) è stato l'ultimo campione davvero amato da tutti. Il film non è di bassa qualità: è un tv-movie a misura del pubblico di Netflix. Non passerà alla storia, ma la bruttezza è un'altra cosa :)

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  6. Sinceramente non condivido il giudizio positivo: una misera ora e mezza dove non si riesce ad analizzare quasi niente e fa apparire baggio come un ragazzino viziato, fragile e piantagrane. Un campione come Baggio avrebbe meritato un tributo ben diverso!

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    1. Rispetto la tua opinione, ma non la condivido. È vero che il film "analizza" poco (immagino ti riferisca soprattutto alla carriera sportiva di Baggio) ma, come ripetutamente detto, l'intento della regista non era quello di realizzare un biopic in senso stretto (in 90 minuti, perlappunto, sarebbe stato impossibile) bensì di soffermarsi sul lato umano del personaggio: e sinceramente non capisco come il Baggio uscito fuori dal film possa sembrarti viziato e fragile... a me è parso l'esatto contrario. Del resto anche il vero Baggio si è complimentato con attore e regista per la verosimiglianza

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  7. Visto, finalmente. L'ho trovato umanissimo e delicato, toccante anche (o soprattutto?) per chi come me non ama il calcio. Mi è piaciuto e l'ho pure consigliato.
    Buona domenica!
    Mauro

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    1. Infatti secondo me il vero scopo era proprio quello: riuscire a far appassionare anche i non appassionati... perchè Baggio appartiene a tutti noi.
      Un abbraccio, Mauro!

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  8. Ciao Sauro, come stai?
    Spero meglio dalla riapertura delle sale, almeno sotto questo aspetto:)

    Mi è piaciuto molto il post e come hai rivalorizzato il protagonista del film, un film che onestamente non ho ancora visto.


    Baggio l'ho approfondito attraverso un altra persona e il filo conduttore mi pare sempre lo stesso, bellissimo...

    "La giovane regista barese sceglie quindi (per me, giustamente) di raccontare l'uomo e non il campione, operando una scelta drastica che, sono pronto a scommettere, scontenterà molti appassionati.


    Quel" per me, giustamente "... va liberato dalle parentesi, perché non è facile far emergere tale forma di bellezza... oggi come oggi dove la cultura della visibilità antepone prima il campione è poi l'uomo.

    Buon fine domenica


    L.

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    1. Su Baggio forse sono di parte perché, come ripeto, è un personaggio che ho avuto modo di vedere da vicino, molto meglio di altri. Per questo ho trovato il film molto umano e molto attinente alla figura di questo campione.
      Hai ragione: oggi si guarda di più il pubblico che il privato delle star, eppure quasi mai ci si ricorda che anche i calciatori (e gli uomini famosi in generale) hanno la loro intimità e la loro umanità. Il film cerca di soffermarsi su questi e secondo me, lo ripeto, fa bene.

      Come sto?
      Diciamo così così... non é un gran momento a livello personale, sono in una fase di apatia che dura da parecchio tempo ormai. Ma so benissimo di non essere l'unico a provare questa condizione, e quindi... niente lamentele.
      Un caro saluto, e grazie del messaggio!

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