venerdì 21 gennaio 2022

AMERICA LATINA


titolo originale:
AMERICA LATINA (ITALIA, 2021)

regia:
DAMIANO E FABIO D'INNOCENZO

sceneggiatura:
DAMIANO E FABIO D'INNOCENZO
cast:
ELIO GERMANO, ASTRID CASALI, MASSIMO WERTMULLER, MAURIZIO LASTRICO

durata:
90 minuti

giudizio:
 



Massimo Sisti è uno stimato dentista, guadagna bene, ha una bella casa e una bella famiglia. Un giorno però scopre nella sua cantina una giovane donna legata e imbavagliata, e il suo tranquillo universo va in frantumi...




Forse - e dico forse - sono io ad avere problemi con il cinema dei fratelli D'Innocenzo... verso i quali, tengo a specificarlo, non nutro alcuna antipatia nè particolari pregiudizi (non potrebbe essere altrimenti, dato che non li conosco di persona) ma di cui proprio non riesco ad apprezzare il loro stile fintamente disturbante e carico di un insopportabile formalismo estetico quasi mai accompagnato da contenuti adeguati, già abbastanza repulsivo nei loro primi due film (La terra dell'abbastanza, e soprattutto Favolacce) ma che in America Latina raggiunge livelli di stucchevolezza ben oltre la mia personale sopportazione. Personale, lo sottolineo: nulla infatti è così soggettivo come la percezione di un fastidio quasi fisico legato a una forma d'arte. Un po' come quando sentiamo un cantante che canta in falsetto e, per quanto bravo sia, quella voce ci disturba e ci irrita "a pelle". Non puoi farci nulla. Ecco, a me i film dei D'Innocenzo fanno lo stesso effetto: seppur impeccabili per una buona fetta della critica, per me sono da sempre indigesti. Questione di sensibilità.

Ho trovato America Latina un film di grande eleganza formale ma sostanzialmente vuoto e prevedibile, stravisto. Dura solo 90 minuti ma ti pare di percepirne il doppio, sarà anche perchè dopo nemmeno un quarto d'ora uno spettatore mediamente scaltro già intuisce la telefonatissima rivelazione finale, preceduta però da una ripetitiva messinscena "allucinogena" che più che mettere a disagio genera solo spossatezza: la progressiva discesa agli inferi del protagonista non è infatti assolutamente empatica, tutto il film risulta forzato e prevedibile, sospeso in un continuo loop tra sogno e realtà senza che però mai si abbia l'impressione di un cambio di passo, di un qualcosa che ti incuriosisca e ti spinga a proseguire la visione. Neppure Elio Germano, qui in veste di mattatore assoluto dopo la partecipazione corale in Favolacce pare essere troppo convinto del suo personaggio: un ruolo, un'interpretazione che vorrebbe essere "respingente" e che invece non lascia il segno. Come tutta la pellicola, del resto.

Siamo nei pressi di Latina, terra strappata alla palude e simbolo di perenne precarietà. In una grande casa dallo stile modernamente kitsch e immersa in un territorio desolato vive il dentista Massimo Sisti, uno che proprio a Latina pare aver trovato l'America: uomo in apparenza mite e razionale, benestante, titolare di uno studio medico affermato e diligente padre di famiglia (con lui vivono la moglie e le due figlie piccole), sembra quasi il prototipo del maschio-alfa. Questo quadretto idilliaco è però solo la punta dell'iceberg della personalità tormentata e instabile dell'uomo, che si scoprirà nascondere molti segreti sotto il tappeto. La crisi arriverà violenta e inaspettata, nei panni di una misteriosa ragazzina che Massimo trova legata e imbavagliata nel sottoscala di casa sua e la cui presenza gli manderà in pezzi il cervello. Massimo terrà nascosta la notizia alla sua famiglia e comincerà misteriosamente a indagare per conto suo, precipitando nella pazzia...

Peccato però che tutto questo, come dicevamo sopra, si svolga a malapena nei primi quindici minuti del film, che poi finisce con l'avvitarsi su se stesso e non progredisce affatto nel mostrarci il decadimento psichico del protagonista, incartandosi in una sceneggiatura che dà l'impressione di non saper bene come riempire il tempo che manca alla fine, seppur sorretta da una struttura tecnica di valore: le musiche dei Verdena contribuiscono infatti a rimarcare lo straniamento del protagonista, la fotografia fredda di Paolo Carnera e le scenografie volutamente asettiche di Roberto De Angelis imprimono bene nello spettatore un disagio visivo che dovrebbe metterlo in guardia da una realtà ben diversa da quella che sembra. Tuttavia la ricerca estrema di questo formalismo di fondo mal si accompagna con una storia piuttosto banale e che rende inutile tanta perfezione estetica: sebbene più riuscito rispetto a Favolacce (non che ci volesse molto...), anche America Latina si conferma un film pretenzioso, irrisolto e prevedibile, che vorrebbe essere disturbante e che invece finisce per rivelarsi a malapena sgradevole e noioso.


Peccato, sì, perchè dopo il discreto esordio con La terra dell'abbastanza, meno accurato ma ben più di spessore, i D'Innocenzo si sono intestarditi nella loro critica della società borghese e benpensante senza però mai affondare davvero i colpi: il loro rimane uno stile ruffiano, vecchio, più da reporter che da registi. Che si fa ammirare ma che non emoziona, nè sconvolge nè indigna, anzi semmai annoia.
Haneke, davvero, abita ben lontano da qui.
 

14 commenti:

  1. Risposte
    1. Questo è superiore (non che ci volesse molto...) ma solo per la prestazione di Germano che, pur non essendo visibilmente a suo agio, affronta il ruolo con professionalità. Ma i difetto di fondo sono gli stessi.

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  2. sei troppo cattivo, secondo me (fastidio quasi fisco è un errore semplice, o serve Freud? :) )

    ho controllato, Haneke ha fatto il primo film per il cinema a 47 anni, i gemelli italiani a 30, non potranno che migliorare, penso io

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    1. Ah ah! Hai ragione, ho corretto! :) No, Freud non c'entra niente... è solo un errore di battitura per una recensione scritta a un orario improbabile:)
      Scherzi a parte, è ovvio che possono migliorare: il talento ce l'hanno eccome, è innegabile, bisognerebbe che fossero (per me) più spontanei e non rincorressero (o scimmiottassero) altri registi e altri stili. Il tempo è indubbiamente dalla loro parte.

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  3. Uno dei pochi blog dove ne leggo male. Ma l'ennesimo dove leggo che il "colpo di scena" è prevedibilissimo. A me Favolacce era piaciuto molto però. Quindi cercherò come sempre di recuperarlo al più presto per farmi un'idea personale.

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    1. Secondo me leggere che "il film è bello" ma "il colpo di scena è prevedibile" è un ossimoro, anche perché sulla rivelazione finale è costruita l'intera storia e la prevedibilità non può essere un valore aggiunto. Ma aldilà di questo il film (per me) è poco riuscito per la banalità dei concetto che esprime, camuffati da cinema d'autore.

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  4. A me non è parso così male. Devo dire che mi ha abbastanza turbato, non tanto per il finale quanto per l'atmosfera opprimente che si respira e secondo me purtroppo non è affatto campata per aria. La solitudine è il bisogno di accettazione sono mali del nostro tempo, l'ho trovato molto attuale.
    Un saluto e buona serata.
    Mauro

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    1. Mi fa piacere, sul serio, che tu abbia provato queste sensazioni e questo coinvolgimento, a testimonianza che l'empatia verso un certo tipo di film è sempre è comunque personale.

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  5. Noiosissimo, lento e prevedibile. Mamma mia che delusione!! Mi sa che siamo in due ad avere problemi con i fratelli D'Innocenzo

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    1. Hai usato tre aggettivi che calzano a pennello. Ad ogni modo non siamo soli: la critica nazionale è abbastanza divisa, quella internazionale unanime nelle stroncature...

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  6. Amo i film anche strani, disturbanti, sgradevoli. C'è l'imbarazzo della scelta, il primo che mi viene in mente è Festen, o i film di Haneke. Dico questo per non essere frainteso. Non è che non ami il cinema "duro". È che America Latina è un insopportabile guazzabuglio senza capo né coda che copia ovunque senza andare da nessuna parte. La critica della famiglia borghese ormai è stata fatta da chiunque e francamente ha anche rotto le scatole per ripetitività. Qui per sovrappiù ci si annoia a morte in un clima di angoscia finta come una moneta da tre euro. Come possa piacere per me è un vero mistero, peccato per l'ottimo Giordano che ci è finito invischiato.

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    1. Esattamente. Un film che non aggiunge nulla a una già corposa produzione sul tema, e che oltretutto annoia a morte: dura solo un'ora e mezza ma il tempo percepito è il doppio. Non potevi dirlo meglio.

      (p.s. Giordano sarebbe Germano, vero?)

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    2. Sì ovviamente il t9 non era d'accordo però:-D. Il film poteva essere un corto di 25/30 minuti, inizio fine e un paio di scene in mezzo. Grazie per l'apprezzamento

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