venerdì 1 aprile 2022

CODA (I SEGNI DEL CUORE)

 
titolo originale: CODA (USA, 2021)
regia:
 SIAN HEDER

sceneggiatura:
 SIAN HEDER
cast:
 EMILIA JONES, TROY KOTSUR, MARLEE MATLIN, EUGENIO DERBEZ, DANIEL DURANT

durata:
 105 minuti

giudizio:
 



La sedicenne Ruby è l'unica persona udente della sua famiglia, cui fa da interprete: i genitori e il fratello sono infatti sordi dalla nascita. Tutti insieme gestiscono, faticosamente ma felicemente, una piccola impresa di pesca. Ma quando Ruby, stimolata dal suo professore di musica, maturerà la decisione di iscriversi al college per coltivare la sua passione per il canto, si troverà costretta a scegliere tra lo studio e la sua famiglia, che senza il suo aiuto si troverebbe in grande difficoltà nella vita di tutti i giorni...




Mettiamola così: se CODA non avesse sbancato l'ultima Notte degli Oscar e fosse rimasto placidamente confinato nello streaming casalingo (per il quale era stato pensato) forse non avrei nemmeno sprecato una recensione intera per parlarne, data l'oggettiva, innocua inconsistenza di una pellicola del genere. Il fatto però che questo piccolo film indipendente si sia aggiudicato addirittura tre statuette pesanti (tra cui la più preziosa, quella di miglior film dell'anno) mi porta per forza di cose a tornarci sopra, cercando di capire come sia stato possibile un tale exploit e quale sia il giusto modo di approcciarsi alla visione di un'opera del genere.

CODA (tradotto malamente in italiano con I segni del cuore) è, lo sapete, il remake statunitense di un film francese di buon successo del 2014, La famiglia Bélier, una commedia leggera e non proprio imprescindibile che affrontava in maniera garbata il tema della disabilità uditiva. CODA infatti non è altro che l'acronimo di Children of Deaf Adults, ovvero "figli di genitori sordi", proprio come la protagonista del film in questione, la sedicenne Ruby Rossi (Emilia Jones), una ragazzina impacciata che divide la sua vita tra la scuola e la sua famiglia particolare: Ruby è infatti l'unica persona udente di una famiglia di sordomuti, composta dai genitori Frank (Troy Kotsur) e Jackie (Marlee Matlin) e dal fratello Leo (Daniel Durant), costretti ad appoggiarsi a lei come interprete e unico tramite con il mondo esterno.

Un ruolo che Ruby pratica da tutta la vita e che non sembra pesargli, almeno fino a quando la ragazza, spinta dal "solito" professore di musica burbero ma dal cuore d'oro, comincia a maturare la voglia di iscriversi al college per inseguire il desiderio di diventare cantante, trovandosi perciò davanti a un bivio: tagliare il cordone ombelicale con la famiglia per seguire la sua strada oppure rinunciare ai propri sogni per senso di responsabilità. 

Come andrà a finire potete facilmente intuirlo: lo spettatore capisce fin dalle prime battute di trovarsi di fronte a una commedia garbata, semplice, esile esile, rivolta a un target prettamente adolescenziale, il cui happy end è scontato e doveroso. CODA è un filmetto per famiglie, politicamente correttissimo, un tipico racconto di formazione che segue tutti i clichè del caso e si dipana esattamente come te lo aspetti. In più, offre al grande pubblico quel tanto che basta di inclusività, sensibilità e tolleranza, argomenti da sempre graditi all'Academy (la "community" votante degli Oscar) che non a caso l'ha premiato anche più del dovuto... ma di sicuro non a sorpresa: si può infatti essere d'accordo o meno con le scelte dell'Academy ma certo queste non sono mai casuali: CODA quest’anno era il film(etto) giusto al momento giusto, un titolo innocuo, pulito, senza pretese ma perfettamente in linea con la morale “buonista” dell’americano medio. A differenza, ad esempio, di un film molto più bello ma anche più scomodo sul tema come Sound of Metal (2020), che metteva invece seriamente in discussione il sistema sanitario e assistenziale degli Stati Uniti.


Una critica sociale di cui naturalmente in CODA non c’è traccia: il film di Sian Heder è l’esatta copia conforme (ma sarebbe meglio dire un  ciclostile) de La famiglia Bèlier, cui la stessa Heder (anche sceneggiatrice) nemmeno si è sforzata di adeguare dialoghi e situazioni alla realtà locale. E alla luce di questo l’Oscar vinto per la miglior sceneggiatura non originale suona quasi come una barzelletta... semmai, in caso,  avrebbero dovuto darlo ai “colleghi” francesi, visto che l’unica “licenza poetica” che si è permessa la Heder è stata quella di cambiare la professione dei membri della famiglia di Ruby (da agricoltori a pescatori), ed é tutto dire.

A dire il vero però una differenza tra i due film c’è eccome: se infatti ne La famiglia Bèlier gli attori protagonisti erano tutti “normali”, cioè attori udenti che recitavano la parte di sordomuti, in CODA la produzione ha fatto ricorso a attori realmente portatori di handicap . Un dettaglio non proprio secondario, viste anche le polemiche che il film francese aveva suscitato in patria proprio per la scelta di far “interpretare” la disabilità a persone che disabili non erano. Il problema è che in CODA questa differenza non si nota affatto, e non tanto per demeriti degli attori protagonisti (che, anzi, sono bravissimi: Troy Kotsur è stato premiato con l’Oscar, l’unico davvero meritato dei tre ricevuti dal film, mentre Marlee Matlin lo aveva già vinto nel lontano 1987, al suo debutto, per Figli di un Dio minore) quanto per un copione talmente impersonale e talmente attento a non scomodare nessuno da risultare piatto come una tavola da surf. In questo modo CODA si trasforma da pellicola attenta al sociale a banalissima rom-com cui l’aspetto umano dei personaggi viene quasi in secondo piano, svuotandone del tutto o quasi l’aspetto emozionale.

Ma tant’è: in una Awards Season mai così mediocre come quest’anno, anche un film banalotto ma furbescamente costruito come CODA può conquistare il suo momento di gloria. Del resto, come già detto sopra, gli Oscar sono il termometro dello stato di salute di Hollywood: la qualità dei premi rispecchia quella delle opere, e laddove ci fossero anche delle lodevolissime eccezioni (come Licorice Pizza di P.T. Anderson) queste vengono sacrificate sull’altare del conformismo e dell’immediatezza. E quest’anno per CODA era davvero il momento giusto, di quelli che capitano una sola volta nella vita...

5 commenti:

  1. L'Oscar ad un copincolla. Incredibile. Io avrei premiato Don't Look up! A maggior ragione dopo aver visto alcuni dei concorrenti come Licorice pizza, Drive my car e Il potere del cane, tutti abbastanza scialbi, deludenti e pretenziosi, chi per un verso, chi per l'altro. Ma ovviamente si rimane nel campo della soggettività.

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    1. Don't look up non avrebbe mai potuto vincere... troppo "scorretto" e soprattutto battente bandiera Netflix, che l'Academy vede come il fumo negli occhi. A me Licorice Pizza è piaciuto tantissimo, ma è indubbio che quest'anno, davvero, prima di CODA qualsiasi titolo andava bene!

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  2. Imbarazzante direi (il film, non quello che hai scritto). Sei stato fin troppo buono

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    1. Ma guarda, il problema di CODA (si fa per site) è proprio quello di aver vinto l'Oscar: preso a sé infatti non è un film terribile, anzi. Si lascia perfino guardare. Ma vederlo trionfare come miglior film dell'anno no, proprio non si può

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