martedì 21 giugno 2022

LA PERSONA PEGGIORE DEL MONDO


titolo originale: VERDENS VERSTE MENNESKE (NORVEGIA, 2021)
regia: JOACHIM TRIER
sceneggiatura: JOACHIM TRIER, ESKIL VOGT
cast: RENATE REINSVE, ANDERS DANIELSEN LIE, HERBERT NORDRUM
durata: 127 minuti
giudizio: 



Julie, studentessa trentenne, è una giovane donna inquieta che non ha ancora scelto la sua strada (scrittrice? giornalista? psicologa? fotografa?) Non le va meglio nemmeno dal punto di vista sentimentale, almeno fin quando non incontra Axel, fumettista più grande di lei e capace di contenere la sua volubilità. Ma l'irrequietezza di Julie non è certo finita dopo aver trovato l'amore, anzi: la vita di coppia le farà venire ancora più dubbi, e anche il destino farà la sua parte...  




Dodici capitoli (più un prologo e un epilogo) per raccontare a fondo i primi trent'anni di vita di Julie, la protagonista de La persona peggiore del mondo, giovane donna insicura e figlia di genitori borghesi e separati che, ovviamente, non sa ancora cosa farà da grande e si arrovella saltando da un lavoro all'altro e di fidanzato in fidanzato, in una condizione di perenne precarietà ma comunque sempre con il sederuccio ben parato dalla famiglia... vi ricorda qualcosa questa storia? Direi! E' dai tempi del famigerato Frances Ha di Noah Baumbach (2013) che assistiamo ciclicamente al riproporsi di questi film sull'inconcludenza giovanile, tanto che la critica ha addirittura coniato un termine e catalogato un genere, il mumblecore (letteralmente: "gente che borbotta"), ad identificare un certo cinema finto indie, oltremodo fighetto e abbastanza scollegato dalla realtà: perchè è vero che il mondo (purtroppo) è pieno di ragazzi precari che non possono decidere il loro futuro a causa della loro condizione, soprattutto economica, ma un conto è appunto essere frustrati per via di una precarietà che non si sono scelti, altro conto sono i figli o le figlie di papà che a trent'anni ancora riflettono se diventare scrittrici o psicologhe... 

La situazione addirittura peggiora quando l'ambientazione si sposta dagli Stati Uniti alla fredda Scandinavia, e quando a dirigere il film c'è un regista danese naturalizzato norvegese (Joachim Trier) che per rendere il tutto ancora più "autoriale" asciuga al massimo le parti leggere (s)bilanciandole con una robusta iniezione di ruffianissima drammaticità, appesantendo così un canovaccio già piuttosto stantìo di suo... Trier struttura il suo film come se fosse un diario intimo di una donna anagraficamente adulta ma ancora acerba di carattere, costretta a crescere in fretta dalle circostanze della vita. Solo che l'umorismo nordico, per quel poco che c'è, non è esattamente travolgente (per usare un eufemismo) e per contro nemmeno le parti "serie" della pellicola riescono a farci empatizzare con i personaggi, che appaiono tutti alquanto distanti dalla nostra comune sensibilità: non tanto per colpa degli attori, che sono bravi (la protagonista, Renate Reinsve, ha vinto una meritata Palma d'oro a Cannes) quanto per una sceneggiatura schematica e molto fredda, oltremodo frammentaria, che va avanti a scatti senza mai arrivare al giusto climax.

Freddezza nordica? Può anche darsi, ma a mio parere il difetto più grave del film è quello di non aggiungere niente di nuovo rispetto a una struttura già alquanto abusata negli ingredienti e nella messinscena: per quanto elegante nei dialoghi e curato nei particolari, il copione scritto dallo stesso regista insieme al fido Eskil Vogt non si distacca mai dai soliti stereotipi: amore, nevrosi, insicurezza, malattia. Il solito spaccato borghese e radical-chic di una generazione non abituata a combattere davvero, e dove ogni periglio della vita viene ingigantito da una depressione profonda ma esagerata, tipica di chi non è per nulla abituato alle difficoltà di tutti i giorni... e proprio per questo il dramma finale, con la catartica comparsa del male incurabile appare del tutto avulsa dalla storia. Vorrebbe essere perlappunto un film "generazionale", ma i trentenni ricchi e annoiati di Trier sono ben lontani dall'ordinarietà che ci passa quotidianamente sotto gli occhi, quella di una generazione che più di tutte ha subito i danni economici e psicologici dell'ultima, grande Depressione.

Risulta così difficile provare commozione (o anche solo comprensione) per una protagonista che tra un party e l'altro, tra un cocktail e un abito all'ultima moda, non solo non sa e non ha fretta di decidere sul proprio futuro (sempre e comunque borghese) ma dimostra in ogni circostanza il proprio inconsapevole egoismo spacciato per "voglia di indipendenza", rinunciando a legami sentimentali solidi e preferendo restare in un comodo limbo di superficialità. Un ritratto dei nostri tempi, certo, legato ai meccanismi mediatici che ce lo fanno passare per normalità. Ma di cui onestamente non sentivamo la mancanza.


8 commenti:

  1. Al mumblecore di solito preferisco il mumbleGore, tuttavia questo film mi è piaciuto parecchio per il modo in cui fa propri tutti i cliché della commedia romantica sovvertendoli e facendoli a pezzi attraverso una protagonista incontentabile e insopportabile. Il "troppo bello per essere vero" si fa "troppo vero per essere bello" e i sogni si infrangono nella mediocrità della vita quotidiana. Condivisibile, pure troppo, almeno per me.

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    1. MumbleGore è bellissima, chapeau!! :)
      Concordo con te sulla protagonista, che è davvero molto brava (palma d'oro meritata), però non riesco a vederci grandi meriti nella sua insopportabilitá: trovo che più che il personaggio sia la scrittura (e quindi il film) ad essere insopportabile. Ma magari sbaglio io eh!

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  2. Questa volta sono d'accordo con te: poco empatico e pretenzioso. Quasi irritante direi!!

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  3. A me è piaciuto tantissimo, pellicola che incarna perfettamente il "male di vivere" delle persone e dei trentenni in particolare. Molto meno ruffiano e più profondo di Frances Ha (che comunque mi era piaciuto anche quello)

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    1. Più profondo di Frances Ha sicuramente (non ci voleva molto...) però, ripeto, in QUESTI trentenni (quelli del film) più che il male di vivere ci vedo la noia della famiglia piccolo borghese, che grossi problemi per il futuro non ha mai avuto...

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  4. Ma infatti il film si intitola "LA PERSONA PEGGIORE DEL MONDO", quindi non credo che lo scopo fosse farci tifare per la protagonista.
    Almeno io l'ho interpretata così.

    I miei migliori saluti
    T.S.

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