venerdì 30 settembre 2022

DON'T WORRY DARLING

titolo originale: DON'T WORRY DARLING (USA, 2021)
regia: OLIVIA WILDE
sceneggiatura: KATIE SILBERMAN
cast: FLORENCE PUGH, HARRY STYLES, OLIVIA WILDE, CHRIS PINE, KIKI LAYNE
durata: 122 minuti
giudizio: 



America, anni '50. In un'oasi in mezzo al deserto un imprenditore visionario ha intenzione di costruire la sua "città ideale", portando con sè uomini e donne disposti a condividere dogmaticamente la sua utopia. A Victory (questo il nome della città) gli uomini lavorano a un progetto segretissimo e guadagnano bene, mentre le loro mogli se ne stanno in casa a fare la bella vita. Tra queste coppie (apparentemente) felici c'è anche quella composta da Jack e la sua giovane consorte Alice, la quale si accorgerà ben presto che la comunità in cui vivono, a dispetto delle apparenze, è in realtà tutt'altro che perfetta...   



Di solito non mi occupo di gossip su queste pagine, in special modo quando scrivo recensioni, ma quando succede (sempre più raramente, per fortuna) che un film fa notizia più per la cronaca rosa che per gli effettivi meriti artistici, questo deve quantomeno far riflettere. In soldoni: alla Mostra di Venezia, dove è stato presentato Don't worry darling, le uniche notizie che si leggevano sui media erano la love story (vera? presunta?) tra la regista Olivia Wilde e il protagonista Harry Styles, e soprattutto il "gran rifiuto" della co-protagonista Florence Pugh di presenziare in conferenza stampa per (vere? presunte?) divergenze artistiche proprio con la stessa Wilde: ufficialmente per il maschilismo volgarotto delle poche scene di sesso presenti nel film (a detta della Pugh, che sostiene di non essere stata informata preventivamente), ma più probabilmente per pura, semplice, sana gelosia femminile... 

Storie di donne, insomma. Esattamente come le donne sono le vere protagoniste di questo film strambo, pesantuccio, la cui impronta femminista è l'unico carattere distintivo davvero riconoscibile (in mezzo a un guazzabuglio di mille altre cose) e l'unico merito effettivo da riconoscergli. Don't worry darling è ambientato nell'America perbenista e patriarcale degli anni '50, dove il ruolo della donna era quello di tenere in ordine la casa, accudire il marito, soddisfarlo sessualmente al ritorno da lavoro, e naturalmente procreare: nella "comunità ideale" in cui si svolge la storia le mogli senza figli sono viste come "incomplete", mentre le mogli separate vengono trattate alla stregua di malate di mente da redimere a colpi di elettroshock. Un ritratto agghiacciante ma assolutamente realistico dell'epoca, in un Paese dai colori pastello ma nero come la pece nelle intenzioni, che si preparava a perdere ogni tipo di "verginità": politica, morale, sociale, militare (la Corea e il Vietnam erano dietro l'angolo)


Il problema però è che che questo sincero e meritorio affresco femminista non è sostenuto da una struttura artistica adeguata, che anzichè esaltare (giustamente) questo tema-base si disperde invece in mille rivoli senza trattarne adeguatamente nemmeno uno: l'acerba Wilde, che aveva dimostrato buone qualità registiche nel precedente, interessante La rivincita delle sfigate, qui compie forse il passo più lungo della gamba producendosi in un'opera produttivamente complessa ma narrativamente molto povera. Don't worry darling è un cupo thriller distopico che si rifà in modo fin troppo evidente a The Truman Show (diciamo pure che ne è una copia conforme), senza averne però la stessa potenza visionaria e soprattutto senza il carisma degli interpreti: con tutto il rispetto per Harry Styles, idolo incontrastato delle giovanissime (e forse assoldato proprio per questo... giusto per tornare al gossip), il suo mestiere non è quello dell'attore, mentre la pur brava Florence Pugh dimostra chiaramente di non essere a suo agio davanti alla mdp, recitando quasi sempre sopra le righe, in un collaudato stile "Midsommar", anche nelle scene dove tale enfasi drammatica non è del tutto richiesta.

Don't worry darling scorre un po' appesantito per due ore abbondanti, navigando in acque sicure ma già sperimentate, senza sorprese, senza sussulti, soprattutto senza colpi di scena: il climax macabro è quello giusto ma il finale (e tutte le sequenze propedeutiche) sono assolutamente prevedibili, del tutto prive di pathos, pecca grave per un film che vorrebbe - forse - essere un disturbante thriller psicologico, ma che alla fine si rileva come un accomodante, innocuo filmone hollywoodiano, con due star gossipare e litigiose (più un Chris Pine al minimo sindacale) che palesemente si odiano ma devono sfoderare sorrisi a trentadue denti per ragioni commerciali. In questo senso, davvero, dentro queste due ore c'è tutto il classicismo dello star-system e della vecchia, cara Hollywood. Non invedibile, ma se ne può fare tranquillamente a meno.

6 commenti:

  1. Probabilmente da quantyo ho letto, mezz'ora in meno avrebbe giovato nella visione d'insieme.

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    1. No, questo no... il film tutto sommato scorre bene ed è pure piacevole a livello visivo (costumi e scene sono di ottima fattura). Ma ciò ovviamente non basta a sollevarlo da una assoluta scintatezza

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  2. Avevo letto buone critiche di questo film, ma tanto qui da me non è arrivato il problema non si pone
    Però mi piacerebbe vederlo prima o poi.
    Buon weekend!
    Mauro

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    1. Ciao Mauro, io ho visto il film a Venezia e in quei giorni ti assicuro che nessuno parlava altro che di gossip... a ogni modo spero che tu riesca a vederlo presto così ne parliamo

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    2. Certo, più che volentieri.
      Mauro

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