mercoledì 12 aprile 2023

AIR, LA STORIA DEL GRANDE SALTO


titolo originale: AIR (USA, 2023)
regia: BEN AFFLECK
sceneggiatura: ALEX CONVERY
cast: MATT DAMON, BEN AFFLECK, VIOLA DAVIS, JULIUS TENNON, JASON BATEMAN, CHRIS MESSINA, CHRIS TUCKER, MARLON WAYANS
durata: 112 minuti
giudizio: 



Beaverton (Stati Uniti), 1984. La Nike, azienda leader mondiale nel settore delle scarpe da corsa, è invece clamorosamente indietro nel comparto basketball, schiacciata da Adidas e Converse. Sarà il talent-scout Sonny Vaccaro a dare la svolta, convincendo (contro ogni logica) l'amministratore delegato Phil Knight a investire tutto il budget a disposizione su un giovane giocatore in ascesa, di cui si dice un gran bene: il suo nome è Michael Jordan... 



Ormai è chiaro che Ben Affleck ha la forza nei capelli, un po' come Sansone. Ovvero: più la sua pettinatura è improponibile più i suoi film sono importanti. Lo avevamo visto recitare con capelli gonfi e frangia improbabile in Argo, lo ritroviamo con buffi riccioloni boccoluti in Air. In entrambi i casi non lo si può vedere senza farsi una grassa risata, eppure anche stavolta ci troviamo a recensire uno dei migliori film americani dell'anno. Sottolineo americani, perchè Air altro non è che una grande storia americana fino al midollo che, proprio come Argo, funziona maledettamente bene. E, sempre alla stregua di Argo, anche Air racconta una vicenda che tutti conoscono, di cui tutti sanno il finale, e che malgrado tutto ha la forza di tenerti incollato alla sedia... diciamo almeno fino alla penultima scena! Scusate se è poco.

Chiariamoci: Air non ha nulla di innovativo o di clamorosamente geniale. E' semplicemente una storia ben raccontata, un ottimo prodotto medio che riesce a divertire e far riflettere ricorrendo al cinema di genere (che potrebbe essere quello d'inchiesta, ma in realtà è costruito quasi come un thriller) e capace di allargare il proprio orizzonte per fotografare un paese intero in un'epoca speciale, gli anni '80, dominata dall'arrivismo e dal capitalismo senza freni. Perchè Air potrà anche sembrare a prima vista una celebrazione fin troppo dogmatica del Sogno Americano, eppure se la si guarda bene si vede che dietro i suoi protagonisti, dei self-made-men che le azzeccano tutte e vincono ogni scommessa, c'è invece tutto il cinismo e la spietatezza del liberismo senza freni: perchè in America se azzecchi le mosse sei un Dio ma se sbagli sei fallito, senza rete di salvataggio. Air è la storia di una scommessa vinta, ma che in ogni momento ci ricorda che dietro ogni progetto visionario c'è una percentuale di rischio enorme, che può rovinare le vite degli uni e arricchire indebitamente quelle di altri. E in questo film si tocca con mano in ogni momento la follìa del libero mercato. 

Nel 1984 la Nike era un'azienda in crescita ben lontana dalle colossali dimensioni di adesso. Fabbricava  ottime scarpe da corsa ma arrancava nel comparto basket, dominato da Adidas e Converse. Per tirare su il marchio serviva una partnership commerciale, cioè un uomo-immagine capace di convogliare la pubblicità. I migliori giocatori professionisti (Magic Johnson, Larry Bird, Kareem Abdul-Jabbar...) non ne volevano però sapere di abbinare il proprio volto a quello della casa di Beaverton, ritenendola qualitativamente scarsa. Fu così che il "mitico" talent scout della Nike, Sonny Vaccaro (un imbolsito Matt Damon), cercò di convincere i vertici aziendali a intraprendere una scommessa folle: sacrificare tutto il budget a disposizione (250 milioni di dollari) per sponsorizzare un solo giocatore, uno soltanto: un ragazzino diciottenne proveniente dai campionati universitari di cui si diceva un gran bene ma che doveva ancora dimostrare di essere un campione. Un salto nel vuoto, che rispondeva al nome di Michael Jordan.

Vaccaro si giocava tutto in questa scelta: non solo il posto di lavoro, ma anche la reputazione e la carriera. Cominciò logorando "ai fianchi" prima il CEO della Nike, il leggendario Phil Knight (interpretato dallo stesso Affleck, da cui riprende la capigliatura di cui sopra), poi l'agente di Jordan, il vulcanico e irascibile David Falk (Chris Messina), quindi la madre nonchè manager del ragazzo (Viola Davis, voluta nel cast - pare - dallo stesso Jordan) fino naturalmente a Jordan stesso: che nel film, per intelligente scelta artistica, non vediamo mai se non in qualche inquadratura di spalle. Facile capire il perchè, ce lo spiega lo stesso Affleck: "Questa non è la biografia di Michael Jordan, non volevo che tutta l'attenzione si concentrasse su di lui. Jordan è troppo grande per essere interpretato da chiunque. E non è nemmeno la celebrazione della Nike: questa è la storia di altre persone, una storia importante e americana, che meritava spazio..."

Non gli si può dare torto: Air è la quintessenza di una nazione intera, una macchina del tempo che ti trasporta direttamente negli anni '80, quando tutto sembrava possibile e i sogni parevano realizzarsi, in una bolla ipertrofica che sarebbe esplosa di lì a poco riportandoci alla realtà. Affleck richiama a sè ancora una volta l'amico di sempre Matt Damon, affidandogli il film e consegnandogli le chiavi per emozionare il pubblico. Ma gran parte del merito va anche a una colonna sonora incredibilmente nostalgica, che "saccheggia" lo scibile dell'epoca: dai Dire Straits a Cindy Lauper, da Chaka Khan ai The Clash, fino all'iconica Born in the U.S.A. di Bruce Springsteen, travolgente eppure dolorosa, trascinante eppure amarissima, perfetta sintesi del film. Che, aldilà di una minima, (forse) inevitabile retorica che affiora nelle didascalie finali, è solido come un blocco di granito. O come la mascella del suo regista (è un complimento, ci mancherebbe)

4 commenti:

  1. Credo di non essere il primo a dirlo, ma Ben Affleck lo preferisco molto più come regista che come attore. Anche in Argo era così.
    Buona giornata!
    Mauro

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    Risposte
    1. Ciao Mauro: no, non sei il primo... e siamo praticamente tutti d'accordo! ;)
      Buon weekend!

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  2. Continuo a non capire tutto questo entusiamo per Affleck, personaggio onestamente anonimo nel panorama hollywoodiano anche più commerciale. Mah.

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    1. Se ti riferisci all'Affleck attore posso anche essere d'accordo con te (anche se comunque il buon Ben non è affatto così scarso come tanti detrattori dicono - non dico a te)
      Sull'Affleck regista invece non sono affatto d'accordo: da "The Town" passando per "Argo" e "Air" il nostro ha dimostrato di saperci fare. Non saranno film d'autore ma sono comunque bei film.

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