venerdì 29 settembre 2023

EL CONDE

 

titolo originale: EL CONDE (CILE, 2023)
regia: PABLO LARRAIN
sceneggiatura: GUILLERMO CALDERON, PABLO LARRAIN
cast: JAIME VADELL, ALFREDO CASTRO, GLORIA MUNCHMEYER, PAULA LUCHSINGER, STELLA GONET
durata: 110 minuti
giudizio: 




L'ex dittatore cileno Augusto Pinochet è in realtà un vampiro vecchio di 250 anni che si è finto morto per sfuggire alla giustizia. Rintanatosi in una vecchia masseria insieme all'avida moglie Lucia, il subdolo maggiordomo Fyodor e i cinque figli inetti, e pur avendo ormai perso la voglia di vivere, non riesce a venir meno alla sua natura di assassino... 





Nessuno può andare contro la propria natura, nemmeno i registi. Fin dai primissimi esordi il cinema di Pablo Larraìn è stato influenzato dalla figura ingombrante di Augusto Pinochet: il dittatore cileno ha sempre rappresentato una specie di "convitato di pietra" per Larraìn, un personaggio opprimente, mai presente direttamente eppure sempre pronto a condizionare le sue storie. Da Tony Manero a Post Mortem, da El Club a Neruda fino a NO, i giorni dell'arcobaleno, passando perfino per l'hollywoodiano Jackie (dove si raccontava la fine del Sogno Americano - coincidente con la morte di Kennedy - e di conseguenza l'inizio dell'incubo per il Cile, soggiogato dall'influenza ostile degli Stati Uniti) la presenza di Pinochet aleggiava in ogni film di Larraìn. Non c'era, ma c'era. Un po' come la mafia nei libri di Camilleri o il fascismo nei film con i telefoni bianchi: mai diretta protagonista eppure sempre in scena, in ogni angolo e in ogni momento.

Pablo Larraìn è nato nel 1973, non certo una data qualsiasi. In quello stesso anno, esattamente l' 11 settembre di cinquant'anni fa (altro giorno fatidico), Pinochet faceva bombardare il palazzo presidenziale di Santiago, la "Moneda", per rovesciare il governo democraticamente eletto di Salvador Allende e dare vita a una delle dittature più feroci della storia. E perciò appare quasi naturale, cinquant'anni dopo esatti, che Larraìn abbia deciso una volta per tutte di prendere il toro per le corna, ovvero affrontare a viso aperto e senza sotterfugi la nemesi del tiranno. 

Restava solo da decidere il "come" affrontarlo, che tipo di film fare. Non un semplice biopic, troppo scontato e troppo doloroso - forse - per un paese che ancora si lecca le ferite di un passato recente e tragico (il Cile, a differenza di altri stati sudamericani come Argentina e Brasile, non ha mai fatto del tutto i conti con la propria storia: Pinochet è morto di vecchiaia, in libertà, senza mai essere andato a processo), meglio quindi affidarsi alla satira sulla falsariga de Il Dottor Stranamore di Kubrick, provando ad esorcizzare con il sarcasmo e una buona dose di humour nero tutto l'orrore di una generazione vissuta all'ombra della dittatura.

Larraìn
ricorre quindi a una geniale allegoria del potere, rileggendo in un'originale ed esilarante chiave gotica la spaventosa ordinarietà di un uomo incolore, triste, detestato da tutti (in primis dalla sua famiglia) e obbligato a comandare grazie all'unica arma in suo possesso, la paura. Pinochet è raffigurato come un vampiro vecchio di 250 anni che ha attraversato tutte le epoche dal mondo (dalla Rivoluzione Francese alla Prima Guerra Mondiale) cibandosi del sangue delle vittime innocenti, possibilmente giovani, i cui frullati (letterali) di cuori freschi gli assicuravano l'elisir di lunga vita.

Ma ora, ormai vecchio e stanco, deluso dalla vita e ripudiato dai propri (ex) sudditi, l'anziano dittatore (interpretato da Jaime Vadell) sembra aver deciso di farla finita: non tanto per il rimorso degli orrendi crimini commessi (rinfacciategli uno a uno da una sensualissima suora-inquisitrice-esorcista, Paula Luchsinger, che ricorda molto la celebre Giovanna d'Arco di Dreyer) quanto per l'ingratitudine e l'avidità dei propri familiari, in particolare la moglie Lucia (Gloria Munchmeyer) e i cinque figli inetti, che ne aspettano con ansia la morte per ereditare l'enorme fortuna fatta di opere d'arte, titoli e conti correnti sparsi in tutto il mondo, ovviamente depredati alle vittime del regime. E nemmeno il suo unico servitore, il viscido maggiordomo Fyodor (un grande Alfredo Castro, attore-feticcio di Larraìn) pare essere così fidato come vorrebbe sembrare... eppure, come si diceva all'inizio, nessuno può sfuggire alla propria natura: per un colpo di scena clamoroso (che ovviamente non vi riveliamo), e per un rigurgito di appetito sessuale, Pinochet non esiterà a rimettersi uniforme e mantello per tornare ad uccidere: perchè un dittatore sarà sempre un dittatore, anche se in disarmo e pieno di acciacchi.

El Conde
è un'estrosa, bizzarra, libera produzione Netflix, e si vede in tutto: del resto quale major hollywoodiana avrebbe avuto il coraggio di produrre un'opera così particolare, presentata sotto forma di una macabra, sanguinolenta dark-comedy che abbraccia gli stilemi dell'horror (virata in uno sfavillante bianco e nero grazie alla sapiente fotografia del veterano Edward Lachman) per rappresentare l'inferno del Cile a cavallo degli anni '70-'80, oppresso da un regime sanguinario e dispotico? La morale è chiara: ogni totalitarismo trae linfa dalla paura, dalle vittime inermi, e proprio come i vampiri può tornare in qualsiasi momento se non si creano gli anticorpi giusti (democrazia, cultura, consapevolezza). Divertente, inquietante, irriverente, pungente, amabilmente splatter, El Conde è l'opera più sorprendente e innovativa vista all'ultima Mostra del Cinema di Venezia: il premio vinto per la miglior sceneggiatura è assolutamente meritato, ma la cifra tecnica, seppur notevole, non deve comunque far venir meno il messaggio del film, a monito di tutte le future generazioni.
 

6 commenti:

  1. Uno dei film più originali e interessanti visti quest'anno, da Larraín non so davvero più cosa aspettarmi, perché ogni volta riesce a sorprendermi!

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    1. Larraìn è uno degli Autori diciamo "under 50" con il maggiore talento artistico. Personalmente lo ammiro tantissimo, finora nessun sul film mi ha davvero deluso (nemmeno Spencer, che comunque a livello stilistico è davvero notevole)

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  2. Prima devo recuperare gli altri suoi lavori, poi passerò a questo! Li consigli?

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    1. Li consiglio tutti! Da "Tony Manero" in poi. "Post mortem" secondo me è il suo film più sconvolgente: la scena finale è una delle più ansiogene e terribili che abbia mai visto in vita mia!!

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  3. Il problema è che il doppiaggio italiano rovinerà il colpo di scena finale, che invece nella versione originale è perfetto data la perfetta pronuncia inglese della voce narrante ;) ad ogni modo gran film, condivido

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    1. Hai ragione, sai che non ci avevo pensato? Ad ogni modo credo che con Netflix si possa scegliere la lingua originale... e lo consiglio vivamente!!

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