martedì 19 dicembre 2023

FERRARI

titolo originale: FERRARI (USA, 2023)
regia: MICHAEL MANN
sceneggiatura: TROY KENNEDY-MARTIN
cast: ADAM DRIVER, PENELOPE CRUZ, SHAILENE WOODLEY, PATRICK DEMPSEY, GABRIEL LEONE, SARAH GADON
durata: 130 minuti
giudizio: 




Modena, 1957. Enzo Ferrari sta vivendo il momento più difficile della sua vita: diviso tra l'amore di due donne (la moglie Laura e l'amante Lina), tormentato dalla morte del figlio Dino (deceduto l'anno precedente) e imbarazzato per quello illegittimo, Piero, nonchè angustiato dalle difficoltà economiche in cui versa la casa automobilistica che porta il suo nome, ha un solo modo per risollevare la sua immagine: vincere la prestigiosa Mille Miglia respingendo l'attacco della Maserati, la diretta concorrente in campo sportivo.




Chiedo per un amico: perchè tutti coloro che hanno sbeffeggiato Ferrari fin dalla sua prima proiezione alla Mostra di Venezia e continuano a farlo anche ora, specialmente sui social (dove la "critica" si divide, al solito, tra capolavoro e ciofeca, in questo caso in massa per la seconda) non hanno avuto reazioni altrettanto dure per l'orrendo Napoleon di Ridley Scott o per il deludente The Palace di Polanski, dove invece hanno tentato in ogni modo di arrampicarsi sugli specchi per difendere l'indifendibile? Non capisco, davvero, tutto questo astio nei confronti di Michael Mann e di questo Ferrari che, lo dico senza problemi, non è certo il suo miglior film in carriera ma rimane sempre e comunque un gran bel film, di gran lunga superiore alla media di ciò che passa oggi in sala, oltre ad essere un titolo importante per quello che racconta, sia per il regista che per il pubblico.

Nel mio piccolo, posso solo provare a indovinare la causa di questo accanimento mediatico. Che, mi dispiace dirlo, parte proprio dalla ridicola campagna "protezionista" scatenata da Pierfrancesco Favino proprio a Venezia, secondo la cui stravagante teoria un attore americano non può interpretare un personaggio italico... frase che si commenta da sola ma che fa capire, purtroppo, il provincialismo della nostra critica: il problema di Ferrari non è la lingua (gli attori parlano un inglese "italianizzato" che può sembrare buffo a noi autoctoni, ma nel resto del mondo beatamente se ne fregano: questo è uno dei rari casi in cui il doppiaggio farà del bene a un film), non è nemmeno la colonna sonora in alcune parti "riciclata" (Mann lo ha fatto anche in altre sue opere, tra cui lo splendido Heat) nè tantomeno il presunto uso poco accorto della CGI nelle scene di corsa (che invece sono bellissime).

No, il motivo secondo me è un altro: questo Ferrari (il film) non è affatto un agiografia di Ferrari (l'uomo), come sicuramente avrebbe fatto un qualsiasi altro regista italiano. Il ritratto che ne esce dal film di Michael Mann non è un "santino" ma un qualcosa di molto più complesso, contraddittorio, di cui il regista si serve per girare un film molto più personale di quello che sembra. E di cui evidentemente la nostra critica si è risentita.

Il Ferrari (uomo) di Mann non è affatto un eroe nazionale. O meglio, lo è nella vita professionale (nessuno gli nega la sua visionarietà, il suo intuito, la sua competenza nelle corse, la sua determinazione) ma non certo in quella privata, cui Mann non risparmia nulla: sullo schermo vediamo la cupa quotidianità di uomo anaffettivo, donnaiolo, traditore seriale, incapace di assumersi le proprie responsabilità (dalla paternità del figliastro al rapporto con la moglie), ossessionato solo dai propri interessi, che poi si riducono a uno solo: vincere nelle corse, contro chiunque e a qualsiasi costo (anche umano: i piloti per Ferrari sono semplici "oggetti da corsa", numeri, manodopera aziendale). Il Ferrari privato è un uomo pieno di dubbi e di paure, oltre che tormentato dai suoi fantasmi: primo fra tutti quello del figlio Dino, la cui morte prematura ha creato un baratro tra lui e la moglie Laura, molto più forte nell'elaborare il lutto. Lutto che invece Enzo non accetterà mai.

Non ci vuole molto a capire che Ferrari è innanzitutto un film sulla morte. Lo spettro della morte agita tutto il film: non solo negli aspetti famigliari ma anche in quelli sportivi, dove vediamo i piloti da corsa uccidersi con bolidi che sfrecciano a 300 km/h per le normali strade cittadine, a loro volta seminando morte tra la gente comune... è ovvio che Ferrari è un film spiazzante per che ama il cinema di Michael Mann: non è un action (anche se le riprese delle corse, lo ripetiamo, sono all'altezza della sua fama) ma un film molto intimo, riflessivo, un film con cui un regista ormai 80enne affronta il pensiero della morte, che per ovvie ragioni anagrafiche sente molto più vicina che in passato. E la paura della morte si lega indissolubilmente a quella della solitudine, la paura di ritrovarsi soli, nudi e impotenti di fronte all'ineluttabile: la scena in cui Enzo e Laura si recano, separatamente e senza degnarsi di sguardo, davanti alla tomba del figlio, accecati dal dolore, è la più straziante e allo stesso tempo più ansiogena di tutto il film: vi troviamo tutta la fragilità di due persone potentissime nelle vita ma impotenti di fronte al dolore.

Quello di Michael Mann è un cinema dal respiro antico, epico, che si prende tutto il tempo che vuole (la gestazione è durata quasi vent'anni) e omaggia la classicità attraverso una formalità stilistica che personalmente adoro. Un cinema che (forse) non è per giovani, lontano com'è dalle atmosfere metaversiche e videoclippare tanto in voga adesso, ma che ancora sorprende per la raffinatezza della messinscena, l'accuratezza della confezione e la direzione degli attori: lo spilungone Adam Driver è fisicamente poco somigliante al vero Ferrari (lo era molto di più Remo Girone in Le Mans '66: la grande sfida) ma la sua interpretazione è di tutto rispetto, checchè ne dica Favino, anche se la splendida Penélope Cruz, nel ruolo della moglie tradita, ferita e orgogliosa, gli ruba la scena in ogni momento.

Film popolare, lineare, nel solco della grande tradizione classica americana. 
D'altronde, è un film di Michael Mann.

8 commenti:

  1. Sono curiosissima di vederlo, amo Michael Mann e il suo cinema

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  2. Molto d'accordo, mi colpisce sempre la coerenza sfoggiata da un Autore, devo dire che Mann ne ha una tematica e stilistica soffocante, pur restando nel solco del classico e sfornando il suo film più centrato sul protagonista (anche più di "Alì"), si capisce perché fosse interessato a questa porzione della vita di Enzo Ferrari, un altro protagonista metodico, dedito al suo lavoro, alla sua etica e custode di un mondo che sta morendo. Romanticismo vecchia scuola quello di Mann, ma soprattutto grande cinema. Cheers!

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    1. Condivido. "Alì" sfruttava il personaggio per comporre un affresco storico, mentre "Ferrari" è tutto centrato sul suo protagonista: attraverso la figura del "Drake" Mann costruisce un film sulla solitudine e la paura della morte, cambiando registro ma restando coerente con se stesso. Lo stile è classico ma il film è tutt'altro che senile. Mann è sempre stato a favore della tecnologia, a suo modo fu un innovatore: fi uno dei primissimi che abbandonarono la pellicola per il digitale, in tempi non " sospetti"

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  3. Mann è un autore che esalta il cinema classico, i suoi lavori possono non piacere ma non si può disconoscerne almeno la qualità tecnica. Credo che questo non sia il suo film migliore ma da qui a stroncarlo ce ne corre!
    Buona giornata!
    Mauro

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    1. Ciao Mauro, indubbiamente non è il miglior Mann (l'ho scritto) tuttavia ritengo che "Ferrari" resti sempre un film degnissimo di rispetto: dici bene: la tecnica è sopraffina, gli attori bravi e la regia sicura. Sarà anche stato fatto con lo zampino, ma avercene di film "medi" così... ricambio il saluto.

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  4. Non il miglior Mann, comunque. Le sequenze della Mille Miglia sono poche e non esaltanti, e nuociono a un film coraggioso ma piuttosto lento, che non decolla mai. Più che una Ferrari, un'utilitaria.

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    1. A me invece sono piaciute molto. Certo, l'ho scritto e ripetuto, non è il "solito" film di Mann con inseguimenti e sorpassi da brivido. In questo spiazza, è vero, ma penso si possa concedere all'ormai 80enne Mann la facoltà di girare un film più riflessivo e attento alla condizione attuale. Sul fatto che non sia il più bello... Fe gustibus.

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